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Cosa c’entrino un gatto (El Gato) e un comignolo (Chimney) nel senso comune non è dato sapere ma per fortuna qualcosa sfugge ogni tanto al dominio della ragione e si fa prendere da fantasticherie. Marco Campori aka El Gato Chimney del regno dell’immaginazione ne sa davvero qualcosa. Come direbbe il cappellaio matto di Alice, Marco ha una malattia che si chiama fantasia: porta quasi all’eresia è considerata pazzia… I luoghi, gli oggetti e le creature nei suoi lavori abitano in uno spazio imprecisato tra il sogno e la sua rappresentazione, un’intercapedine da cui gettare lo sguardo su un luogo unico al mondo dove un po’ matti bisogna essere per cavarsela. Davanti ad un suo lavoro, che sia realizzato su muro, tela, tavola o ceramica, si ha come l’impressione di avere un asso nella manica, una via di uscita attraverso un’atmosfera nebulosa, un vapore denso, un’energia che non inquina il pensiero ma lo rende straordinariamente limpido pur restando avvolto in un alone di mistero…

Francesca Di Giorgio: Marco Campori o El Gato Chimney e viceversa. Un alias tanto surreale quanto il tuo lavoro. Lo sai, te lo devo proprio chiedere: perché?
El Gato Chimney: Come puoi immaginare è una domanda che mi è stata posta parecchie volte ed è normale, vista la stranezza e la complessità del nome.
Come ormai sanno tutti, chi lavora nell’ambito del writing e della street art ha un suo pseudonimo, e il mio è una combinazione di due elementi a me molto cari, il gatto e il comignolo. Entrambi questi elementi erano i soggetti principali dei miei primi adesivi e poster, erano gli albori della così detta “street art” in cui era quasi fondamentale lavorare su un logo che fosse il più riconoscibile possibile e, ovviamente, originale.
Questa mia scelta di utilizzare musi di gatti da me disegnati e successivamente oggetti a vapore, soprattutto comignoli, mi hanno portato a farli diventare anche il mio nome.
La scelta di usare una parola spagnola come “El Gato” deriva, molto semplicemente, dal fatto che un mio amico sudamericano, vedendo uno dei miei adesivi, l’aveva chiamato nella sua lingua natale… e mi è suonato subito bene e così è rimasto.

Dal writing alle culture di strada, dai poster e gli stickers ai murales e ai toys e, più di recente, dalle tele alle tavole fino ad arrivare alla produzione ceramica. So che non è facile ma provi a raccontarci da dove viene El Gato Chimney, chi ha incontrato sulla sua strada e quali direzioni ha imboccato?
Tutto nasce nel lontano 1996, quando dei miei amici mi portarono per la prima volta al “Muretto” di San Babila a Milano, noto punto di ritrovo milanese di tutti i personaggi più noti che gravitavano nell’ambito della scena hip hop. Da qui l’amore a prima vista per il writing e i primi approcci alla strada. Successivamente com’è giusto che accada, ho subito delle evoluzioni e vedendo, verso il 2003, un massiccio approccio nelle strade della mia città di arte urbana che si distaccava notevolmente dal writing per tecnica e interventi (quello che viene identificata come “street art”) mi ha spinto verso questa via, permettendomi di sperimentare senza vincoli le mie idee, soprattutto stilistiche.
Quindi ho iniziato a produrre stickers, poster e a realizzare muri dipinti a pennello in grande scala, sviluppando sempre di più un mio immaginario e uno stile personale.
Tutto questo mi ha permesso successivamente di partecipare ad eventi internazionali e di poter lavorare a fianco di artisti veramente bravi, che hanno influenzato molto, anche a livello umano, il mio modo di vedere e fare arte. Senza dubbio l’artista che ha contribuito maggiormente alla mia crescita professionale è stato lo statunitense Doze Green, l’incontro con lui mi ha aperto nuove prospettive e mi ha fatto scoprire le potenzialità del mio lavoro e le direzioni che poteva prendere. Cose che da autodidatta quale sono, mi mancavano.
Da qui, poi, la voglia di sperimentare tecniche e superfici diverse come appunto la customizzazione di toys in vinile, tele, tavole e appunto le ceramiche, che sono la mia esperienza più recente. Inutile dire che l’opportunità di produrre dei miei soggetti in tre dimensioni è veramente fantastico! E per questo devo ringraziare Superego design…

Oggi nessuno bada più di tanto ai passaggi schizofrenici da un mezzo all’altro senza soluzione di continuità e in virtù del tuo modo di fare arte ti hanno equiparato a questo e a quell’altro “movimento”, influsso o “corrente”: Cosa leggi, cosa ascolti e cosa ti piace osservare fuori e dentro di te?
Si, ormai il mondo dell’arte subisce delle evoluzioni veramente veloci, nascono ogni giorno neologismi e nomi per identificare stili e tipologie di arte. Capisco benissimo la necessità di voler identificare sotto un nome un determinato artista, ma credo che alla fine imponga troppi limiti.
Cerco costantemente di migliorarmi e superarmi, cercando dei punti di riferimento sempre più lontani senza pormi il limite di un “etichetta” che ridurrebbe tutto ad avere lo stesso sapore. Per quanto riguarda i miei gusti letterari, posso dire che sono un accanitissimo lettore di gialli e noir, soprattutto se sono stati scritti tra gli anni ’20 e ’60 per intenderci dal giallo “sottile” di John Buchan, al più crudo hardboiled di Mickey Spillane fino ad arrivare al contemporaneo Joe Lansdale, che adoro. Non disdegno nemmeno la letteratura fantastica, soprattutto se di matrice “steampunk”. Per quanto riguarda la musica invece ascolto praticamente solo rap e reggae, che sono poi le mie colonne sonore quando dipingo.

Veniamo alla tua personale da Avantgarden gallery di Milano: un luna park come ci suggerisce il titolo…

Si esattamente, nei miei lavori cerco sempre di evocare un’atmosfera da luna park abbandonato, e nei pezzi che presento a questa mostra, ho voluto accentuare questa suggestione, sia dal punto di vista delle tematiche sia dall’allestimento.
Per quest’ultimo ho realizzato in uno degli ambienti della galleria un’istallazione che ha come punto focale le ceramiche che ho realizzato, che si ritrovano immerse in una ricostruzione parziale in tre dimensioni dei miei paesaggi. Quindi fili rossi tesi per la stanza, campanellini fluttuanti, coni e interventi sul muro, che sono riproposti in più punti della galleria per dare una continuità a tutta la mostra e cercare di immergere i visitatori il più possibile nelle atmosfere dei miei dipinti.

Alcuni dei lavori in mostra sono trittici su tavola con tanto di iscrizioni con un richiamo all’iconografia religiosa…

Si, per la mostra ho presentato 6 trittici in legno di svariate dimensioni e fattezze, di forte gusto medioevale e religioso.
La scelta si è basata sul voler dipingere su dei supporti atipici, in modo da rendere tutto il dipinto molto più prezioso e ricercato (anche perché è da tenere conto che sono dipinti da ambo i lati) però era fondamentale che il supporto avesse anche una forte carica evocativa e i trittici sotto questo aspetto sono perfetti perché avendo delle ante mobili, è possibile posizionarle in modo che chi osserva si ritrovi al centro “avvolto” e quindi più trascinato all’interno della scena.
Le iscrizioni non sono totalmente religiose alcune hanno dei velati richiami altre sono utilizzate nella storia per simboleggiare e descrivere cose anche al di fuori della religione. Credo che sia il trittico stesso, nel suo complesso, ad accentuare questo aspetto religioso dato dalla forma e dalla risonanza che le parole hanno sul nostro immaginario dirigendolo in quella direzione.

Come accade nei sogni nei tuoi lavori si rincorrono una miriade di elementi: numeri (il 3 su tutti), lettere (in ordine sparso come in un gioco enigmistico), esseri bipedi mono-oculari con il corpo di una teiera, chiavi, serrature, trottole, campane e campanelli… a me, più di tutti colpisce quella carica a molla che si può trovare nei vecchi giocattoli e nei carillon. È come se quel semplice meccanismo ridasse potere alla manualità, innescasse un gioco e restituisse la possibilità di gestire la propria immaginazione…
Mi fanno molto piacere le tue osservazioni e ciò che il mio lavoro ti ha trasmesso. Il succo sta proprio in questo, nel senso che ogni elemento ha un significato cui diverse culture ed etnie nei secoli gli hanno conferito, e questo è un dato di fatto che utilizzo, proprio come dici tu, per creare una sorta di gioco enigmatico, ma per quanto mi riguarda, non ha importanza che il fruitore abbia realmente la conoscenza per capire tutto, perché anche noi stessi nel nostro piccolo diamo a certi oggetti di uso comune dei significati e ci richiamano qualche sensazione, e a me interessa liberare proprio questo. In verità, a parte gli esseri ibridati che uso, che sono per l’appunto esseri fantastici che possono colpire per la loro stravaganza, quello che poi va a creare “mistero” e credo in qualche modo affascini chi li osserva, siano proprio gli oggetti comuni sparsi per i miei quadri, che decontestualizzati, creano domande insolubili. Tutte le risposte possono andare bene e nello stesso tempo nessuna.
Infondo se io ti chiedessi cosa c’è su un marciapiede, tu probabilmente mi diresti niente, quando in verità ci possono essere miriadi di oggetti come mozziconi, elastici, pezzi di plastica di svariate forme e provenienze ecc… ma se li estrapolassi inserendoli in un contesto impossibile per loro o te li evidenziassi come faccio nei miei lavori, tu li noteresti e forse ti faresti tante domande molto più profonde di quelle che richiederebbe una spilla da balia persa per strada.

La mostra in breve:
El Gato Chimney. Steam Funfair
Avantgarden Gallery
Via Giovanni Cadolini 29, Milano
Info: (+39) 340 3513709
www.avantgardengallery.com
22 aprile – 15 maggio 2010
Inaugurazione giovedì 22 aprile 2010 ore 18.30

In alto da sinistra:
Attimi senza fine che scorrono, 2009, acrilico su tela, cm 60×70
Il carro magico, 2010, acrilico su legno, cm 110×80
Spin Teapot, 2010, ceramica smaltata

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