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ROMA | Mattatoio – Padiglioni 9A e 9B | 7 ottobre 2021 – 9 gennaio 2022

di MARIA VITTORIA PINOTTI 

Nell’immaginario del critico d’arte del Seicento esisteva una capacità unica, quella del saper costruire una scenografia mentale, giacché lo scrittore Marco Boschini nella Carta del Navegar pittoresco, illustrava, con lucidità inedita, l’avventuroso itinerario che si doveva compiere per percorrere una galleria d’arte fantastica; questa era composta da soffitti, spazi piani ed archi concavi in modo tale che lo spazio potesse tessere “agli occhi industriosi inganni” [1]. Si tratta, in altri termini, di una scenografia puramente cerebrale, capace com’era di costruire un teatro virtuale, con muri e spazi fisici plasmati da una distaccata atemporalità estetica. Una simile costruzione mentale prenda ora forma nel progetto Conosco un labirinto che è una linea retta, dell’artista Dora García (1965, Valladolid, Spagna), a cura di Angel Moya Garcia, in programmazione dal 7 ottobre 2021 al 9 gennaio 2022 presso i Padiglioni 9A e 9B del Mattataio di Roma. L’esposizione, composta da sei performances e un video, si inserisce nel contesto del programma triennale che il curatore ha ideato per il luogo espositivo, intitolato proprio Dispositivi sensibili. Il procedimento curatoriale attorno al quale si è sviluppato il progetto è “incentrato sulla convergenza fra metodi, estetiche e pratiche delle arti visive e delle arti performative, attraverso un modello di presentazione che si evolve costantemente”. Secondo Garcia, a giocare un ruolo altrettanto determinante è stata la particolare identità del luogo, caratterizzato com’è da ampie sale, la cui “conformazione architettonica e, soprattutto, la relazione specchiante di questi due padiglioni ci hanno portato a lavorare su uno sdoppiamento della struttura del progetto attraverso la psicoanalisi e la narrativa labirintica”.

Dora García, Conosco un labirinto che è una linea retta, exhibition view, Mattatoio, 2021, Ph. Credit M3studio

Una tale indagine artistica ha svelato una complessa ricerca sul compendio dell’essere umano, con interessanti citazioni desunte dalle teorie psicoanalitiche di Jacques Lacan, a sua volta intrecciate a fonti letterarie, quali quelle di J.L. Borges e Julio Cortázar. In questo modo, le sei performance ideate Dora García si sviluppano come azioni delegate ad gruppo di performers così da essere motivi d’indagine sull’atto performativo, inteso come un campo allargato volto ad indagare la specificità ontologica del corpo chiamato sulla scena. Sempre a voler sottolineare l’aspetto site-specific delle performances, queste si sviluppano nello spazio del padiglione i cui pavimenti sono segnati da frasi e linee rette che accompagnano il percorso dello spettatore. La cifra caratterizzante di questo allestimento visivo è quella secondo cui che il visitatore è chiamato a rispettare il divieto di non calpestare alcun dispositivo segnico, proprio per voler indurre appieno il senso di sacralità e potenza evocativa delle tracce. Taluni segni visivi e verbali appaiono, infatti, quali orme di momenti d’incursione nella distensiva atmosfera che aleggia negli spazi espositivi collegandosi così al titolo del progetto: un labirinto normalmente caratterizzato da una struttura geometrica complessa, in cui è norma perdere l’orientamento, qui si presenta come un percorso lineare che accompagna il visitatore verso momenti performativi simultanei.

Dora García, La partitura Sinthomo, Mattatoio, 2021, Ph. Credit M3studio

Va anche precisato che in tutte le performances emerge anche un atto d’indagine verso l’aspetto comportamentale del pubblico, che si trova vicendevolmente ad interagire ed essere spettatore dell’azione. In questo modo le azioni si pongono come una verifica del corpo e dell’io: dapprima come una forma di isolamento percettivo e successivamente come una situazione intersoggettiva che trova sviluppo nella forma dialogica tra performer e spettatore. È in questo particolare rapporto che secondo il curatore si sviluppa un’incessante negoziazione tra attore e pubblico, in cui viene sovvertito il limite tra la finzione della rappresentazione e la realtà dell’accadimento. In questo senso viene richiesta un’osservazione attiva che invita il visitatore a non considerare l’indifferenza come un’opzione praticabile e a decidere coscientemente se entrare in una situazione o sottrarsi ad essa”. Proprio per dar vivido corpo a questa relazione, Dora García affronta una questione cruciale nella storia della performance, già rilevata nel 1970 dal critico Willoughby Sharp, convinto come era che è proprio il corpo a donare una valenza connotativa a questa forma d’arte, quale “soggetto ed oggetto dell’opera.” [2] Questione interpretativa rintracciabile nell’azione La partitura Sinthomo, che ha il suo fulcro nell’ascolto e nell’alterità della comprensione visiva e uditiva dello spettatore. L’azione si svolge a partire da una lettura ad alta voce della traduzione italiana del seminario di Jacques Lancan, intitolato Le Sinthome (1975-1976), composto da dieci lezioni riferibili ad una serie di scritti di James Joyce atti ad approfondire il concetto di lingua ed inconscio.

Dora García, La partitura Sinthomo, Mattatoio, 2021, Ph. Credit M3studio

Mentre uno dei due performer è intento alla lettura del testo, l’altro accompagna l’azione con particolari gesti corporei, così da creare un particolare territorio visivo surreale, ritmato dalla lettura. Tale cornice emana una forte immediatezza comunicativa ed emotiva dal carattere iperreale, giacché il lettore, in alcuni casi, si volge allo spettatore invitandolo a seguire la lettura indicandogli il numero di pagina. In questo modo l’azione scavalca i limiti ed i sotterfugi imposti dalle rigide barriere dell’arte, dimodoché il pubblico, con l’ascolto della particolare lettura dai contenuti psicoanalitici, può entrare in contatto con ciò che sta al di là del linguaggio umano, ovvero la pura realtà delle cose. Difatti, sarà proprio lo psicologo Jacques Lacan a definire questo incontro con il reale, come una sorta di “oggetto a, attorno al quale ruota un combattimento di cui il trompe-l’œil è l’anima”. [3]

Dora García, Il labirinto della libertà femminile, Mattatoio, 2021, Ph. credit M3studio

Sempre sul tema della lettura narrata, interpretata ed ascoltata, si pone l’azione intitolata Il labirinto della libertà femminile, in cui una performer all’interno di un cerchio bianco atto ad indicare uno spazio sacro, legge delle poesie tra declamazione pubblica e sussurro privato. L’atto incuriosisce lo spettatore in quanto ragiona sulla lettura poetica, come movente utile a toccare le corde dell’animo umano. Un tale metodo si potrebbe definire come un esperimento di poesia viva e concreta, volto a porre in primo piano il linguaggio, che armoniosamente si sviluppa in questo caso nella contrapposizione binaria tra oggetto e soggetto, partecipante e performer, ascolto e lettura, corpo passivo e attivo, poiché proprio quest’ultimo diventa uno strumento declamatore di artefatti verbali di origine culturale.

Dora García, Due pianeti si sono scontrati per migliaia di anni, Mattatoio, 2021, Ph. Credit M3studio

Come già precedentemente è emerso dalle parole del curatore Angel Moya Garcia, la relazione specchiante tra gli spazi architettonici del Mattatoio ed i soggetti coinvolti nelle performance è essenza del progetto, processo di rovesciamento che si ripete anche nelle azioni, in cui lo spettatore si immedesima nella situazione vissuta dai performer stessi. In un particolare intreccio tra simbolico e fantasmico si inserisce pure l’azione intitolata Due pianeti si sono scontrati per migliaia di anni, in cui in uno spazio concentrico, evocante muri metaforici, due performer si guardano a voler rievocare la sfera dei rapporti umani. L’azione affronta il tema della destabilizzazione della sicurezza dei rapporti interpersonali e dei relativi problemi di comunicazione, questione, che, volendo rimanere in tema di analisi psicoanalitica, aveva già affrontato Sigmund Freud. Quest’ultimo, nello scritto Il disagio della civiltà, aveva infatti teorizzato l’idea secondo cui l’uomo contemporaneo vive una situazione instabile già di per sé, perché a differenza dell’uomo primordiale che ignorava qualsiasi restrizione pulsionale, l’essere contemporaneo è costretto a vivere secondo regole di vita civili che lo hanno portato a barattare parte della sua felicità per una stabilità comune, che alla fine si rivela fredda ed algida. [4] Quest’ultima condizione è ben descritta nella performance, il cui decentramento spaziale dei due performer è sinonimo dell’incapacità di seguire i propri codici istintuali, così l’uomo finisce per accontentarsi del turbamento che vive e di cui noi siamo interessati spettatori.

Ciò che mantiene salde tutte le performances sono le ricche fonti culturali da cui traggono spunto, così come nel caso del film proiettato presso il Padiglione 9 A, intitolato Segunda Vez, laddove emergono citazioni storiche e letterarie. Il video è un documentario imperniato intorno alla figura di Oscar Masotta, teorico cardine dell’avanguardia argentina dagli anni Cinquanta e Settanta, le cui idee sulla psicoanalisi lacaniana, la politica e l’arte hanno cambiato il paesaggio artistico di quella Buenos Aires degli anni Sessanta. Il titolo, Segunda Vez, trae origine da un racconto omonimo scritto da un contemporaneo di Masotta, Julio Cortázar, che racconta il clima di psicosi e incertezza causato dal trauma delle numerose e tragiche sparizioni in Argentina. Anche qui lo spettatore, assistendo al documentario, è chiamato a vivere gli spazi evocati, secondo un processo di rispecchiamento già presente nelle performance, così egli si trova risiedere accanto ai gruppi di persone che dialogano vivacemente. Per voler far riferimento alla teoria lacaniana della così detta “fase dello specchio”, secondo cui nel confronto con una superficie specchiante avviene la costruzione del nucleo dell’Io, lo spettatore si riflette vivendo ed ascoltando particolari situazioni ed affermazioni che lasciano un sapore di mistero, poiché fanno emergere situazioni inconsce soggettive.

Dora García, La sfinge, Mattatoio, 2021, Ph. credit M3studio

Nell’ultimo gruppo di performance l’area del padiglione si dilata oltre i canonici spazi, ed è lo stesso curatore Angel Moya Garcia a far notare come questo luogo si trasformi in una arena viva ed attiva. Se nelle performance sino ad ora descritte, il performer è solo con il suo corpo, in queste ultime azioni si instaura un cortocircuito che trasmette dei ricevitori atti a stimolare l’azione condivisa. Nella performance intitolata La sfinge, v’è, a tal proposito, un gioco basato sulla chimica dell’intelligenza emotiva: allo spettatore, infatti, viene proposto di indovinare una serie di domande rispondendo con un sì e con un no, nel caso in cui la risposta sia corretta viene formulata la domanda successiva, se è errata il gioco finisce, è la sola sfinge che conosce la risposta esatta, rimanendo un enigma se la replica fornita sia quella giusta. L’azione, probabilmente, vuole indurci a riflettere quanto il mondo si riveli enigmatico nell’essere portatore di verità recondite che trovano momento di rivelazione nel confronto con l’altro.

Dora García, Il messaggero, Mattatoio, 2021, Ph. credit M3studio

Tra le ultime performance v’è Il messaggero, basato su un processo di immediatezza fenomenologica che mette in primo piano la consapevolezza del processo di comprensione delle cose sensibili. Il performer vuole decifrare un messaggio stampato su un pezzo di carta, così egli corre, si alza in piedi e dà l’impressione di avere un fardello di cui deve liberarsi a tutti i costi. Infine, l’azione Il piccolo oggetto a che si sviluppa con una performer che cammina nello spazio con un pugno chiuso e guarda attentamente i visitatori mostrando, nel frattempo, il piccolo oggetto nella mano che viene richiusa velocemente. Quest’ultima azione, che ruota attorno al carattere liminale tra contenente e contenuto, oltre a voler ricordare la dicitura lacaniana già precedentemente citata volta ad indicare l’aspetto reale delle cose, vuole anche indurci a percepire l’origine degli oggetti oltre il loro aspetto fisico. Ed era proprio André Breton, che circa la presa di coscienza della realtà, affermava che per acquisire consapevolezza delle cose sensibili bisogna avere il “coraggio di rompere completamente con esse e a maggior ragione con ciò che di facile il loro aspetto ci propone.” [5]

Dora García, Il labirinto della libertà femminile, Mattatoio, 2021, Ph. credit M3studio

Così come è architettato il progetto artistico si pone ampiamente strutturato nella sua complessità e si presenta come un grande evento dal carattere aperto nella sua imprevedibilità, giacché come fa notare il curatore “il copione sommario e il finale aperto, con cui [l’artista] indaga l’impatto che la lingua, la letteratura, la traduzione e l’inconscio hanno nelle costruzioni sociali e nelle identità diventa estremamente coerente e viene amplificato attraverso le azioni di ogni singolo performer coinvolto”. Così tutte le performances, assieme al video documentario, sono frutto di una ricerca strutturalista e sistematica dell’uomo e del suo intelletto. Volendo far riferimento a quest’ultimo termine, fu il già citato Marco Boschini a ricordarci come la creatività artistica, altro non è che balsamo per l’intelletto “e più ci si appropria di questa sostanza e maggiormente si raffina, e in caso di cent’anni diventa miracolosa”. [6]

Dora García | Conosco un labirinto che è una linea retta
A cura di Angel Moya Garcia

7 ottobre 2021 – 9 gennaio 2022

Padiglioni 9A e 9B
Mattatoio, Roma

Info: www.mattatoioroma.it

 

[1] Marco Boschini, La Carta Del Navegar Pitoresco, Venezia, 1660, vento setimo

[2] H. Foster, R. Krauss, Y-A. Bois, B. Buchloh, Arte dal 1900. Modernismo, Antimodernismo, Postmodernismo, Bologna, Zanichelli, 2013, p. 60

[3] Hal Foster, Il ritorno al reale, L’avanguardia alla fine del Novecento, Postmedia Books, 2006, Milano, p. 143

[4] Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, 1929, p. 602

[5] André Breton, Il surrealismo e la pittura, (1928), Abscondita, 2010, p. 18

[6] Marco Boschini, op. cit

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