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San Casciano in Val di Pesa (FI) | Sedi varie | 5 giugno – 30 settembre 2021

intervista a DAVIDE SARCHIONI e AGLI ARTISTI DI CHIANTISSIMO di Livia Savorelli

Siamo in un territorio suggestivo come quello del Chianti classico – di una bellezza straordinaria dal punto di vista paesaggistico e ricco di stratificazioni storiche legate a personaggi illustri che nel passato hanno intrecciato la loro storia a quella del luogo – ricco di castelli, pievi, ville (Villa Mangiacane, ad esempio, o Villa Machiavelli, che fu la dimora di Niccolò Machiavelli durante l’esilio), cantine (una su tutte Antinori nel Chianti Classico, di proprietà dei Marchesi Antinori, da oltre seicento anni “vinattieri in arte”), fattorie (come la Fattoria La Loggia) riportate a nuovo lustro che coniugano alti livelli di accoglienza turistica ed ospitalità, custodendo anche una importante collezione d’arte, portando avanti con le nuove generazioni la visione e il processo di valorizzazione fortemente voluto dal fondatore Giulio Baruffaldi, mercante d’arte milanese. Ed è proprio da questi favorevoli presupposti, dalla lungimiranza di un’amministrazione – il Comune di San Casciano in Val di Pesa e del suo sindaco Roberto Ciappi – e dall’iniziativa di un gruppo di lavoro affiatato e determinato – l’Associazione Accaventiquattro Arte in sinergia con il curatore Davide Sarchioni – che nasce Chiantissimo, un “contenitore di arte contemporanea” che esplora, mappa ed archivia le opere pubbliche presenti sul territorio e le collezioni private dell’area.
Entriamo nel vivo di Chiantissimo attraverso la testimonianza del curatore Davide Sarchioni e dei quattro artisti chiamati a dar vita a questa prima edizione: Antonio Barbieri, Antonello Ghezzi, Simone Gori, Matteo Nasini.

Mauro Staccioli, San Casciano, 2005-2008, acciaio corten, ulivi, salici e viti, Rotatoria San Casciano in v.p. (FI), ph Dimitri Angelini

Chiantissimo è un progetto di arte pubblica che nasce per il territorio, il Comune di San Casciano in Val di Pesa, e in dialogo con le forti presenze artistiche disseminate in questo luogo, che vanta la presenza di opere monumentali di artisti come Mauro Staccioli, Roberto Barni, Mario Merz (la cui opera sovrasta le mura della città diventandone simbolo). Rispetto a questa consolidata presenza di opere permanenti di tale caratura, su quali presupposti avete dialogato con gli artisti per un progetto, come Chiantissimo, che si basa su opere site-specific ma caratterizzate da una temporalità, coincidente con la fine della manifestazione? Quali specificità sono state valorizzate nella scelta degli artisti e dei progetti e come sono stati individuati i luoghi con i quali innestare il dialogo? Alla luce di un primo bilancio, state già pensando alla prossima edizione?
Davide Sarchioni
: Chiantissimo nasce come un progetto articolato a partire dall’esplorazione e la mappatura progressiva delle opere d’arte contemporanea, sia pubbliche sia private, ubicate nel territorio comunale di San Casciano in Val di Pesa. Un territorio che ha saputo negli anni coniugare la tradizione con l’innovazione riuscendo a conservare i propri valori, ma aggiornandoli al mutare dei tempi. Incontrare l’arte contemporanea a San Casciano è ormai una consuetudine tant’è che uno dei “nuovi” simboli entrati a far parte dell’immaginario collettivo locale è il cervo di Mario Merz, che svetta sulle antiche mura seguito dalla successione numerica di Fibonacci in neon azzurro. Un’opera monumentale e storicamente importante che ci ricorda lo stretto legame fra la cittadina toscana e l’arte contemporanea. Un legame che, a distanza di anni rispetto alle ultime iniziative realizzate, Chiantissimo ha voluto rinnovare e consolidare non solo riaccendendo i riflettori sulle opere già presenti, ma anche inserendo nel contesto urbano nuovi segni della contemporaneità, presentando alla sua prima edizione le installazioni inedite dei 4 artisti invitati (Antonio Barbieri, Antonello Ghezzi, Simone Gori, Matteo Nasini) a rileggere alcuni dei luoghi chiave del centro storico.

Mario Merz, Senza titolo, 1997, neon, cervo tassidermizzato fuso in alluminio; ph Dimitri Angelini

La scelta degli artisti è stata dettata anzitutto dalla necessità di proporre ricerche e linguaggi innovativi rispetto al passato e di individuare artisti italiani di cui almeno due che lavorassero e vivessero in Toscana. Inoltre, alla monumentalità delle opere già presenti, si è deciso un approccio di senso opposto ragionando sulla temporaneità del “segno” e della “traccia”, metafora del tempo presente, sull’opera intesa come dispositivo immaginativo transitorio in grado comunque di dialogare con il contesto spaziale e architettonico per il quale è concepita, riattivando memorie dimenticate e generando visioni e mondi ulteriori – seppur ben radicati nella realtà – per intercettare profonde connessioni con il luogo. Dopo aver effettuato diversi sopralluoghi, sono stati individuati insieme agli artisti quattro diverse situazioni di intervento legate tanto alla storia del paese alle sue trasformazioni nel tempo, quanto a specifiche funzioni rispetto alla vita sociale e culturale. Si tratta dell’“Arena” antistante il Museo Giuliano Ghelli – luogo di incontro e di scambio quotidiano tra i frequentatori della biblioteca, i visitatori del museo e gli abitanti di ogni età – e di tre “torri”: l’antica Torre dell’Orologio in Piazza Pierozzi, fulcro del paese che scandisce inesorabile il trascorrere del tempo; la torre del Teatro Niccolini, luogo simbolo della cultura; la “Torre del Chianti”, ex Torre dell’acqua che, a seguito di un attento intervento di restauro, è diventata praticabile e costituisce un punto di osservazione privilegiato sul paesaggio circostante a circa 37 m di altezza. Le torri, che si distinguono per altezza, epoca di costruzione e caratteristiche architettoniche, simboleggiano il passato, il presente e il futuro di San Casciano.

Patrizio Travagli + Wok Design, 2014, led, acciaio, vetro, Torre del Chianti, ph Dimitri Angelini

Pur nella diversità delle tecniche, dei linguaggi e degli esiti raggiunti, ogni opera che è stata realizzata condivide un’ispirazione comune legata alla dimensione del sogno, alla fiaba e alla fantascienza, quale monito per tornare a pensare, a creare e a sognare, soprattutto a seguito delle chiusure e delle incertezze provocate dall’emergenza sanitaria. Tanto nella scelta degli artisti quanto nella selezione dei progetti, abbiamo ritenuto necessario dare priorità sia alla dimensione partecipativa dell’opera, nel coinvolgimento diretto degli abitanti del luogo ai processi di realizzazione, sia a quella interattiva del fruitore, per far sì che ogni lavoro non apparisse come un elemento estraneo ed ostile, ma diventasse l’emblema di un vissuto da raccontare e parte integrante della vita quotidiana.
Ai lavori dei quattro artisti selezionati, si aggiunge l’opera The end of second act di Perino & Vele, che venne realizzata per il progetto Tusciaelecta nel 2007 e che, in questa  occasione, è stata recuperata e fortemente voluta trovando, grazie alla collaborazione dei suoi autori, una nuova collocazione sulle antiche mura cittadine, entrando in questo modo a far parte del circuito di arte pubblica di San Casciano.

Perino & Vele, The end of second act, 2007, cartapesta, ferro e vetroresina, ph Dimitri Angelini

Chiantissimo sta riscuotendo grande successo di pubblico e di stampa ed è per questo che abbiamo deciso di posticipare la data di chiusura al 30 settembre. Insieme agli organizzatori Fiammetta Poggi e Filippo Bigagli, dell’Associazione Accaventiquattro Arte, e al sindaco Roberto Ciappi stiamo già pensando all’edizione 2022 dove, insieme alla realizzazione di nuovi interventi temporanei, desideriamo anche tornare a progettare un lavoro permanente.

Parallelamente alle opere dislocate tra le vie e le piazze del centro storico, hai voluto portare il dialogo su un ulteriore livello, basato sul confronto tra passato e presente, storia e contemporaneità, innescando un dialogo tra la collezione di Arte Sacra del Museo Giuliano Ghelli e le opere di Antonello Ghezzi, Antonio Barbieri, Simone Gori e Matteo Nasini. Trovando questo dialogo molto ben riuscito, ti chiedo di raccontarmi come lo hai concepito (dalla scelta dei diversi ambienti, alla scelta delle opere su cui strutturare il dialogo…)
D. S.: Il Museo Giuliano Ghelli è un museo di arte sacra che raccoglie arredi, sculture, calici, paramenti e una piccola ma importante collezione di dipinti antichi, tra i quali spiccano le tavole di Coppo di Marcovaldo, Ambrogio Lorenzetti, Lippo di Beninvieni e Jacopo del Casentino. La concezione dell’allestimento piuttosto obsoleta e priva di attrattiva ha incentivato il desiderio di “rinnovare” temporaneamente il museo pensando a un dialogo tra arte antica e contemporanea, un esperimento e una modalità espositiva che ho a lungo praticato e che ho trovato sempre particolarmente interessante da proporre pur nella sua complessità, soprattutto considerando gli esiti inaspettati che da tale pratica possono scaturire. E il “miracolo” è di nuovo accaduto. Naturalmente il progetto è stato ben studiato e portato a termine con la collaborazione degli artisti, tenendo conto della specificità dei rispettivi linguaggi e delle possibilità offerte dall’ampia varietà dei materiali che essi solitamente impiegano. Abbiamo così deciso di occupare i soli spazi del piano terra e ad ogni artista è stata affidata una stanza all’interno della quale è stata individuata una o più opere del museo a cui dedicare il proprio lavoro. Le opere contemporanee che sono state inserite riescono a innescare sorprendenti relazioni cromatiche, formali e concettuali con quelle antiche, spesso integrandosi in un’armonia perfetta e di reciproca rispondenza.

La parola agli artisti:

Antonello Ghezzi, dettaglio Segnaletica per sognatori, ph Dimitri Angelini

Segnaletica per sognatori, omaggio a Gianni Rodari, è il titolo del vostro intervento pensato per l’antica Torre dell’Orologio in Piazza Pierozzi. Uno scandire il tempo da voi declinato attraverso una progettualità diffusa, suddivisa in tre momenti distinti ma complementari, che dal sottopasso della torre, luogo di passaggio dei cittadini, giunge alle sue estremità più elevate. In un momento difficile come quello che abbiamo vissuto, il vostro intervento apre la porte al sogno, all’abbandonarsi all’immaginazione, perché come avete premesso “Tutto ci vuole portare più su: con il cuore in alto, la mente fino all’Iperuranio e i sogni ben accesi”. Ci raccontate come nasce il progetto e perché avete scelto come luogo in cui intervenire proprio la Torre dell’Orologio? Che lavoro è invece presente nel Museo Ghelli?
Antonello Ghezzi
: Si guarda sempre meno spesso al cielo (con gli occhi e con il cuore) e la Torre dell’Orologio è ancora uno di quei luoghi che ci invita a farlo, dal centro del paese fino alle stelle.
Volevamo misurare lo scorrere del tempo con le stelle cadenti, con i desideri da esprimere e i sogni da realizzare. Il semaforo blu arriva dal mondo della letteratura, dalla favola di Rodari e si intromette nella realtà per darci il via libera per volare ma nessun vigile arriverà a spegnerlo, questa volta.
In linea con le tematiche affrontate, al Museo Ghelli è esposta una scala a pioli di specchi nella quale abbiamo inciso la scritta luminosa “OLTRE”. La scala per andare oltre è quindi uno strumento, un attrezzo per elevarsi, dove la nostra immagine, la collezione del museo e chi abbiamo intorno a noi, si specchia.

Antonello Ghezzi, Oltre, 2019, specchi, strutture in legno, luci a led, 180x52x6 cm, veduta della mostra al Museo Giuliano Ghelli, San Casciano Val di Pesa. Ph. Dimitri Angelini.

Tra le antiche mura ed il Museo Giuliano Ghelli, il tuo Grande Corallo è collocato nell’anfiteatro di Piazza Samonà, in un’aiuola circolare. Questa figura ibrida, dal colore in forte contrasto con l’architettura che la circonda, è di fatto emblema plastico di un dialogo tra opposti: forma organica e inorganica, naturale ed artificiale, tradizione manuale e innovazione tecnologica. Perché hai scelto proprio questo elemento e come convive nella tua ricerca il rapporto tra le categorie dicotomiche sopra menzionate? Come hai dialogato con la collezione del Museo Ghelli?
Antonio Barbieri: L’urgenza per me è stata quella di introdurre qualcosa che raccontasse ed evidenziasse la forza delle forme naturali celate dal contesto urbano. Lo spazio di Piazza Samonà è razionale, geometrico, affidato al quadrato e al cerchio. In essa ogni elemento esiste perché in relazione con l’insieme. In questa semplicità e regolarità ho cercato di introdurre una forma di vita, qualcosa di talmente complesso e articolato da risultare estraneo.
Ho scelto di realizzare il Grande Corallo, per esprimere al meglio l’intricata complessità che le forme naturali posso assumere grazie a quelle stesse regole matematiche che sono alla base dell’attività umana. Oltretutto è lo spazio in cui c’è la successione di Fibonacci di Merz, che racconta anch’essa come la misteriosa regolarità della natura possa in realtà generare sempre qualcosa di inaspettato.

Antonio Barbieri, Grande Corallo, 2021, ferro, acciaio, vernice acrilica, vernice poliuretanica; ph Dimitri Angelini

Riguardo il contrasto dicotomico che hai citato, devo prendere atto che è insito nel mio modo di ragionare. Ad esempio Grande Corallo è stata realizzata acquisendo modelli 3D da vari elementi vegetali e animali poi rielaborati per creare una “superforma” che li contenesse tutti. Ottenuta l’immagine del soggetto, l’ho però realizzata a mano. Questo perché non credo nell’unica direzione. Quando crei una forma, per far sì che sia plausibile, le dinamiche in gioco sono molteplici e non voglio darmi limiti. Voglio arricchire con diversi substrati l’energia che mantiene in equilibrio quella forma. Per questo cambio spesso e mischio tecniche e materiali diversi, cerco di dare un passato, una storia, a qualcosa di inesistente.
Al Museo Ghelli tutta la mia attenzione è stata rapita dal Fusto del Maestro di Cabestany. È un’opera incredibile e mi ha fatto pensare al concetto di racconto. Partendo da quella suggestione ho realizzato Gyromitra, creata grazie ad un algoritmo frattale. Questa volta non ho catturato elementi in natura ma ho lavorato direttamente sulla matematica che li compone. Volevo qualcosa che avesse il ritmo narrativo del Fusto di Cabestany, quindi ho cercato di replicarne i volumi e la “sonorità”. Dopo la costruzione con la stampa 3D, l’ho dipinta a olio. Il colore la rende vera, aliena, qualcosa che crea distacco ma anche dialogo con il candore del Fusto.

Antonio Barbieri, Gyromitra (chimera n.14), 2021, software generazione di frattali, stampa 3D in PLA, pittura a olio, resina epossidica 71*27*27 cm, ph Dimitri Angelini

Hai avuto l’onore di confrontarti con una location molto particolare – la Torre del Chianti – tanto per la sua storia (era l’ex Torre dell’acqua) quanto per la sua conformazione molto particolare (si estende fino ad un’altezza di 37 metri) che la rende un punto di osservazione privilegiato del magnifico paesaggio circostante. Indubbiamente il tuo intervento ha richiesto una mediazione tra la sua particolare conformazione cilindrica e le parti da cui è costituita – le scale, l’ascensore, la terrazza panoramica – e le forte sollecitazioni visive determinate dal paesaggio intorno. Come hai deciso di intervenire e da quali presupposti muove il tuo progetto? Che tipo di intervento hai pensato per il Museo Ghelli?
Simone Gori: L’opportunità di poter lavorare su questo luogo è stata un onore, ma anche un onere. La bellezza della vista aperta a 360 gradi su di una base circolare che non dà una direzione precisa, impone una riflessione sul modo di approcciarsi all’ambiente, decidendo se andare ad ‘ostruire’ o a creare un dialogo sinergico con il panorama. Dopo un attento studio, ho deciso di non ostruire ma ribaltare il punto di vista, il focus, non più sul panorama ma su ciò che abbiamo tutti i giorni sopra le nostre teste: il cielo.
L’opera Somnium mundi, letteralmente ‘mondo onirico’, nasce dal primo sopralluogo sulla Torre del Chianti. La struttura in sé della Torre, atipica e inusuale per il territorio del Chianti, l’architettura interna, la lunga scala elicoidale che segue tutta la struttura mi ha portato immediatamente in un’altra dimensione, in un’uscita dal tempo e dallo spazio. Ho deciso così di ispirarmi alle cinque fasi del sonno, che portano lentamente al mondo dei sogni. Partendo dall’ingresso, si ha la prima fase ovvero l’addormentamento, l’inizio del sonno identificato con il buio all’interno della torre. Successivamente si passa alla fase due, il sonno leggero, la preparazione al sonno profondo. Essa viene espressa con il suono, in quanto in questa fase siamo ancora vigili e percepiamo gli stimoli esterni. Ho deciso di servirmi del suono della Terra sentito dallo spazio, con una registrazione proveniente dagli archivi Nasa. La terza e la quarta sono le fasi del sonno profondo durante le quali si esce e si entra più volte da una all’altra.
L’andamento verticale dell’ascensore a vetri, ed il passaggio da un ambiente chiuso ad uno aperto, ho ritenuto che fossero la metafora perfetta di queste due fasi. All’interno di questa ho poi posizionato una citazione di Ennio Flaiano ‘Sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole’, un incipit all’installazione che si trova sulla terrazza.

Simone Gori, Somnium mundi, 2021, acciaio specchiato, erba sintetica, dimensione ambientale. Ph. Dimitri Angelini.

L’ultima fase corrispondente alla quinta, ovvero la fase Rem è identificata con l’opera presente sulla terrazza. Lì ho creato un prato verde sul quale ho adagiato due figure specchianti di grandi dimensioni (oltre 3 mt) impresse nell’atto di dormire. Esse riflettono costantemente il cielo, in ogni suo mutamento e cambiamento, fondendosi completamente con esso. Concludo citando un amico e accademico Attilio Maltinti, che ha saputo ben spiegare l’intento della mia installazione ‘In cima alla torre sei nell’aria. In contatto col cielo. La musica iniziale immateriale si è trasformata in luce. Così come sono rivestite di luce due figure, ritagliate in un acciaio riflettente, che rispecchiano, come distese su un prato, il cielo e tutto ciò che contiene: i colori che lo attraversano, le luci che lo abitano e le molte cose che lo riempiono. Esse sembrano appropriarsi di quella realtà dialogando con essa. Non indicano una evasione ma una visione della vita’.

Simone Gori, Alveus, 2021, ceramica, smalto, stampa 21x11x33 cm. Ph Dimitri Angelini

Nel Museo Ghelli ho presentato Alveus, una ceramica smaltata in oro, rappresentante un’istantanea del momento di creazione dell’alveare: ogni piastra è la riproduzione di un favo. Quando ho visto per la prima volta la Madonna col bambino di Ambrogio Lorenzetti presente nel museo, ho sentito subito un legame formale ed estetico. Da qui inoltre è nato un dialogo concettuale: il messaggio di speranza, che porta con sé l’opera di Lorenzetti, è lo stesso che ho cercato di trasmettere con la mia opera, creata per essere portavoce del problema attuale sulle api, esseri essenziali per la sopravvivenza dell’essere umano.

Matteo Nasini, Nel dolce tempo, 2021, fili di lana acrilica, ferro, 18 mt. Ph Dimitri Angelini

Nel dolce tempo rimanda al mondo delle fiabe e la treccia, realizzata con migliaia di coloratissimi  fili di lana e che discende morbida dalla torre del Teatro Nicolini, rappresenta l’archetipo di quel mondo perduto che le fiabe stesse evocavano e ora è ricordo lontano. Un simbolo però importante di ricongiungimento, nel legame con la ritualità della filatura e della tradizione. Ci racconti la genesi del progetto, come è stata materialmente realizzata la treccia e di quale messaggio volevi l’opera fosse portatrice? Come hai innestato invece il dialogo con la collezione del Museo Ghelli?
Matteo Nasini: Per realizzare Nel dolce tempo sono stati impiegati parecchi gomitoli di filo acrilico che ho filato nel giro di qualche giorno con l’aiuto di varie persone. L’idea alla base di Nel dolce tempo è molto semplice, quasi immediata. Questa treccia unita al suo scendere dalla torre è un segno che si fa architettura morbida e metafora che vuole evocare, con l’unione ad un luogo come quello del teatro, il senso antico della rappresentazione drammatica, dell’opera d’arte che si fa scenografia perdendo il valore scultoreo ma diventando parte del paesaggio cambiandone la percezione. In senso diverso ma in qualche modo simile Il giardino perduto (2017) esposto tra la collezione del Museo Ghelli è una colonna in lana che non sostiene nulla, un elemento architettonico che rimanda ad un passato vistoso e senza alcuna nostalgia.

Matteo Nasini, Il giardino perduto, 2018, ferro, legno, fili di lana acrilica, 200x30x30 cm. Ph Dimitri Angelini

CHIANTISSIMO. Contenitore di Arte Contemporanea. I edizione
Artisti: Antonio Barbieri, Antonello Ghezzi, Simone Gori, Matteo Nasini

a cura di Davide Sarchioni
un progetto promosso da: Comune di San Casciano in Val di Pesa e Associazione Accaventiquattro Arte

5 giugno – 30 settembre 2021

Sedi Varie, San Casciano in Val di Pesa (FI)

Info:
Mobile + Whatsapp +3516578009
Email chiantissimoart@gmail.com
www.accaventiquattrogallery.com/chiantissimo.html

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