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VENEZIA (GIARDINI E ARSENALE) | 59. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE – LA BIENNALE DI VENEZIA | 23 APRILE – 27 NOVEMBRE 2022

Intervista a CECILIA ALEMANI di Francesca Di Giorgio*

Il latte dei sogni è un’immersione totale nella realtà attraverso il filtro dell’immaginazione, senza prenderne le distanze, senza alcun tentativo di fuga.
In un certo senso il concetto di metamorfosi che attraversa l’opera letteraria di Leonora Carrington e che ha ispirato Cecilia Alemani, direttrice della 59. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, racconta anche di quella capacità di adattarsi al cambiamento e di considerare la condizione del “post”, del “dopo”, a cui tutti oggi diamo significati diversi, in modo visionario e produttivo…

Vedere oltre ha a che fare con il concetto di “post” insito nel testo letterario a cui la “tua” mostra si ispira. Un libro di favole che declina l’idea di “post”…
L’abilità più grande degli artisti resta quella di mostrarci il mondo in cui viviamo sempre con occhi diversi. L’abilità di trasformare il reale in immaginario e viceversa attraverso l’immaginazione ma non solo. Penso che, in questi ultimi due anni, l’isolamento forzato a cui anche gli artisti hanno dovuto sottostare abbia dato luogo a forme di arte che sono decisamente introspettive e se vuoi più oniriche e surreali, non come tentativo di voltare le spalle o allontanarsi dalla realtà ma come nuova strategia per leggere la realtà in un modo più intimista anche con un ritorno alla poesia ad un approccio più intimo e onirico alla realtà e questo aspetto è davvero presente nella mostra. Faccio un esempio, forse un po’ bizzarro, di un artista danese che si chiama Ovartaci (1894-1985) e che si può definire un outsider, nel senso che è un artista che non ha avuto nessun training per diventare artista ma che ha creato un suo mondo popolato di creature magiche di esseri con le ali che cercano di rompere i vincoli dell’identità e del genere. Un artista che ha prodotto un lavoro freschissimo anche se realizzato negli Anni ’50 e ’60 e che parla di tantissime tematiche, attraverso la forza della magia e la potenza dell’arte senza necessariamente essere esplicito ma semplicemente utilizzando un approccio metaforico.

Ovartaci, Untitled. Courtesy Museum Ovartaci

L’abbattimento di gerarchie, di una visione antropocentrica e specista si ritrova nelle creature ibride di Leonora Carrington, tra umano, animale e macchina…
È vero che le vicende degli ultimi anni ci hanno messi di fronte all’idea di post come conclusione di una situazione di pandemia di cui non si vedeva la fine e ci hanno portati a pensare alla “fine” come motore per guardare avanti ma il “post” di cui si parla nella mostra è connesso al concetto di post umanesimo, di post umano come attitudine che possa riuscire a farci vedere possibilità diverse da quelle che ci sono state insegnate a scuola, da quelle che la nostra società ci obbliga a credere immutabili e intoccabili, a farci immaginare una condizione di una evoluzione possibile. Forse l’insegnamento più grande di questi due anni di pandemia e drammi esistenziali è proprio l’idea di criticare l’assolutismo di molte concezioni che ci fanno pensare alla superiorità del nostro genere rispetto ad altre forme di vita. Abbiamo imparato molto velocemente che alcuni degli assunti che abbiamo metabolizzato sono completamente finti e quindi anche l’idea di poter immaginare una dimensione molto diversa da quella che abbiamo appreso durante gli anni della nostra formazione primaria è un passo verso il cambiamento.

Leonora Carrington, Portrait of Madame Dupin, 1947. Gertrud V. Parker Collection. Courtesy Gallery Wendi Norris, San Francisco. © Estate of Leonora Carrington / Artists Rights Society (ARS), New York

ll ripiegamento intimista di cui parli, il riflettere su stessi in maniera diversa e più profonda sono connessi al recupero della scrittura e, per tornare di nuovo a Leonora Carrington, è interessante notare come la sua figura sia legata tanto all’arte visiva quanto a quella letteraria… Il rapporto con la parola è una delle possibili chiavi per leggere molti de* artist* che hai invitato a partecipare al tuo progetto, proprio oggi che si è tornati a parlare del linguaggio e del suo utilizzo in determinati contesti in maniera così diffusa…
L’indagine sul linguaggio è un aspetto molto presente ne Il latte dei sogni non soltanto tra le opere di artiste contemporanee che utilizzano il linguaggio nelle proprie opere ma anche perché ci sono dei momenti di riflessione storica che guardano proprio a come il linguaggio sia stato utilizzato per riscrivere il proprio corpo o per parlare e scrivere in modo diverso. Quindi la relazione tra linguaggio e corpo, ad esempio, è determinante non soltanto per artisti e artiste contemporanee ma anche per gli storici presenti in mostra e, per allargare il discorso ai grandi dibattiti che ci sono oggi sul vocabolario, penso sia un argomento attuale e interessante da affrontare. Spero però che il dibattito continui anche senza questa aggressività e dramma, in Italia viene vissuto come minaccia e affronto a canoni sacri. Penso che una società in salute, sana e in vita si evolva anche attraverso il linguaggio. L’utilizzo, ad esempio, di asterisco, schwa o altro, credo non sia qualcosa di simbolico ma un aiuto verso una maggiore consapevolezza di genere.

Resiste, quindi, soltanto chi cambia, si evolve…
Non voglio essere troppo generalista ma penso che la trasformazione che sia fisica o mentale, di opinione ecc… sia assolutamente fondamentale per la nostra evoluzione come specie. Dai piccoli cambiamenti della lingua quotidiana fino a capire che non siamo più e non siamo mai stati al vertice di quella piramide che abbiamo sempre visto nelle aule di scuola con al suo vertice l’uomo rispetto alle altre forme di vita. Penso che l’apertura al cambiamento sia un segno importante nella nostra storia. Abbattere idee assolutiste e universali che, alla fine, non ci appartengono più è diventato un atto necessario e lo abbiamo visto drammaticamente con il virus: l’idea di umanità invincibile è stata messa in ginocchio da una forza invisibile e incontrollabile.

Jane Graverol, L’École de la Vanité, 1967. Photo Renaud Schrobiltgen. Collection Anne Boschmans. Courtesy Schirn Kunsthalle Frankfurt. © SIAE

Nelle cinque capsule temporali, distribuite lungo il percorso espositivo, racconti un’altra idea fondamentale: il dialogo tra storico e contemporaneo oggi particolarmente sentito…
Credo che un progetto come La Biennale non possa focalizzarsi solo sugli ultimi due anni di produzione artistica che ovviamente è molto presente ne Il latte dei sogni.
Ho voluto pensare agli artisti e alle loro voci anche in una prospettiva storica. Ho immaginato di fare uno zoom out, di guardare alla mostra in relazione a quelle realizzate anche cinquant’anni fa e di pensare a cosa era stato incluso ed escluso in quelle occasioni. L’obiettivo è quello di fare un lavoro di ri-interrogazione della storia dell’arte e dell’istituzione de La Biennale di Venezia, ovviamente guardando alla ricerca che tanti storici e musei hanno fatto per riscrivere alcune delle vicende artistiche che sono state considerate minori come, ad esempio, le donne del Surrealismo. Non sono stata di certo io a scoprirle, ci sono state tante mostre in questa direzione negli ultimi anni ma voglio trasmettere l’energia e la forza di guardarsi indietro e creare una mostra trans-storica che interroghi il passato e rilegga il presente in modo più critico ma anche più ottimista.
L’allestimento per le capsule storiche è di Formafantasma ed è costruito attorno all’idea di stanza. Nel Padiglione Centrale sono tre stanze, all’Arsenale sono degli environments, degli ambienti allestiti con tappeti, carte da parati, vetrine… elementi di un allestimento che normalmente non si vede in Biennale e che proiettano lo spettatore in un’altra dimensione temporale che può essere gli Anni ’20, gli Anni ’60 e la fascinazione per le nuove tecnologie. Un lavoro di grande minuzia sull’allestimento che in una mostra così grande è raro. Mi piaceva alternare all’interno del percorso espositivo questi momenti di contrazione e di cura a momenti in cui invece la mostra si apre a grandi installazioni spettacolari perché si sottolinei il dialogo tra temporalità diverse, tra esperienze artistiche anche molto lontane tra loro nel tempo.

 

Cecilia Alemani (1979) è una curatrice italiana che vive a New York. Dal 2011 è la direttrice e capo curatrice di High Line Art, il programma di arte pubblica presentato dalla High Line, il celebre parco urbano sopraelevato costruito su una ferrovia abbandonata di New York.
Nel 2017, Alemani ha curato il Padiglione Italia alla 57. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. La mostra, intitolata Il Mondo Magico, ha presentato nuove commissioni su larga scala di Giorgio Andreotta Calò, Adelita Husni-Bey e Roberto Cuoghi.

Prima di rivestire questi ruoli, Alemani ha lavorato come curatrice indipendente collaborando con musei come la Tate Modern (Londra) e il MoMA PS1 (New York), istituzioni no profit come Artists Space e Art in General (New York) e fondazioni private come la Deste Foundation. Dal 2009 al 2010 ha diretto lo spazio sperimentale X Initiative a New York, dove ha organizzato mostre di Keren Cytter, Hans Haacke, Derek Jarman, Tris Vonna-Michell e molte altre.
Alemani ha conseguito una laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano e un master in studi curatoriali per l’arte contemporanea presso il Bard College, Annandale-on- Hudson, New York. Ha collaborato con diverse pubblicazioni d’arte, tra cui Artforum.com e Mousse Magazine. Dall’ottobre 2019, tiene una rubrica regolare su D di Repubblica.

* Intervista tratta da Espoarte #117 

La Biennale di Venezia
59. Esposizione Internazionale d’Arte

Il latte dei sogni

Venezia (Giardini e Arsenale)

23 aprile – 27 novembre 2022

www.labiennale.org  

Hashtag ufficiali: #BiennaleArte2022 #IlLatteDeiSogni #TheMilkOfDreams #MiC #DGCC #BiennaleArte2022 

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