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MILANO | Galleria Giovanni Bonelli | 30 maggio – 30 luglio 2020

di PIETRO BAZZOLI

È una mostra dove l’immaginazione fa da corollario alla pratica artistica di due maestri di un genere indefinibile. Le convenzionali etichette di astratto e figurativo si perdono in visioni lontane, mai realmente pervenute, o in volute di fumo. È lo sguardo dell’osservatore il vero protagonista. E non potrebbe essere altrimenti, perché le opere di Fulvio Di Piazza e Alessandro Bazan vivono di ricerca, introspezione e discernimento distaccato dal reale.
Nulla di ciò che appare sembra essere riconducibile al quotidiano: l’astratto  colto nella sua etimologia primogenia, “abstractus”, “ab” e “trahere”, trarre fuori  e l’indefinito sono elementi che si alternano vicendevolmente nelle opere esposte.
Un senso di vertigine coglie, infatti, chi si pone dinanzi alle tele di diverse dimensioni del duo siciliano. Eppure, a discapito delle apparenze, la realtà è la genesi di ogni loro lavoro.
Il marcato surrealismo di Fulvio Di Piazza nasce da figure riconducibili all’esperienza umana, sebbene la narrazione dell’opera viri drasticamente, sfondando la barriera del finito per percorrere sentieri ignoti, dove esseri fantastici prendono il sopravvento e le situazioni presenti scatenano un prepotente ipnotismo, al punto di esserne fagocitati.

Alessandro Bazan, Wait, 2020, olio su tela, cm 170×200 Courtesy Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Alessandro Bazan non sostituisce l’Uomo, bensì se ne serve per uno scopo sociale, che, esasperato, assume valenze taumaturgiche: sono rivelati gli atteggiamenti umani, i suoi costumi, le sue illusioni, le sue ambiguità.
Entrambi gli artisti si avvalgono dei colori per rivelare le sfaccettature dell’animo, in un connubio di presenza-assenza: svelando e traendo, immergendo nel fantastico e assumendo pose in cui ognuno è in grado di riconoscersi.
Si avvertono similitudini  forse un obiettivo universale, forse la conseguenza di lavorare a stretto contatto  dai toni brillanti, rintracciabili nel sovvertire qualsiasi punto di riferimento, aprire nuove strade, abbattere le frontiere.
Se ne ha una prova nella gigantesca opera Guerriglia, dove Fulvio Di Piazza crea micromondi situati in bolle minuscole, in cumuli di nubi o riflessi vulcanici. Si è catapultati su piani – e pianeti differenti, alieni e misteriosi, governati da forze che non sono le stesse a cui si è abituati. Ciò avviene in ogni dettaglio, in ogni anfratto dell’immenso lavoro, tanto da sperimentare un’apnea continua: ci si immerge in un angolo, si esce in quello opposto, si è tentati da un terzo, ci si rituffa nel seguente, man mano che si osservano con maggior cura i particolari.

Alessandro Bazan – Fulvio Di Piazza. Astratta, veduta della mostra, Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Alessandro Bazan, al contrario, non nega a se stesso la figura umana, sebbene in una sua forma allungata, lunare, imitativa in quanto emblema del genere umano e non specificatamente riconducibile. Anche quando si accalcano corpi gli uni sugli altri, non è possibile indagarli nella loro interezza: sfuggono, si defilano. Celando la propria interezza svelano un comportamento; negandosi, descrivono l’essere umano nel suo intimo.
In Volare, per esempio, donne e uomini nudi volteggiano su tetti luminescenti, sopra vie vuote, in uno spaccato riconducibile alla produzione onirica già lungamente studiata dalla psicologia novecentesca.
Questo avviene mentre una città ignota vista da una prospettiva privilegiata  che non è possibile ricostruire a memoria, e proprio per questo elevata a simbolo di ogni città esistente  tace, nuda quanto i personaggi che la sorvolano.

Fulvio Di Piazza, Exodus, 2020, olio su tela, cm 200×300 Courtesy Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Verrebbe da pensare che sia l’indagine incessante il vero fine dell’opera: un’altalena di dettagli che rimanda in continuazione a desideri ancestrali, a bisogni primari, alla soddisfazione di un “senso di esistere” che è proprio dell’essere umano. Così come a una brama di libertà, che appartiene a tutti in egual modo.
Bazan delinea in maniera perfetta il contemporaneo. La natura si fa sguardo nel momento in cui si assiste alla sua stessa negazione: preclusa la prima non può che mancare anche la seconda; così si contemplano lande infinite dove si smarrisce l’orientamento.
Le visioni di cui gli artisti sono fautori appartengono all’inconscio: suscitano inquietudine, eppure non si può far altro che esserne fatalmente attratti.
Il duo Di Piazza e Bazan (entrambi esponenti della Scuola di Palermo) si serve di chiavi differenti per catturare una realtà altra, per sviscerarne i segreti più reconditi e trasportarli sulla tela, prima di lasciarla di nuovo libera nell’immaginazione collettiva.

Alessandro Bazan – Fulvio Di Piazza. Astratta
a cura di Marco Senaldi

30 maggio – 30 luglio 2020

Galleria Giovanni Bonelli
Via Luigi Porro Lambertenghi 6, Milano

Su appuntamento da martedì a sabato 11.00-19.00

Info: +39 02 87246945
info@galleriagiovannibonelli.it
www.galleriagiovannibonelli.it

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