GENOVA | Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce | 4 maggio – 22 agosto 2021
Intervista a CESARE BIASINI SELVAGGI di Matteo Galbiati
Per Make it new! Tomas Rajlich e l’arte astratta in Italia, mostra che lo vede protagonista, l’artista Tomas Rajlich (Jankov, Repubblica Ceca, 1940) ha stabilito i termini di un dialogo intenso e significante con i grandi maestri che hanno scritto i capitoli più importanti della storia dell’arte italiana contemporanea. Scelti alcuni tra i capolavori delle collezioni del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce di Genova, le opere di Rajlich sono entrate in stretta connessione con quella degli altri artisti in una lettura temporale ed estetica, densa di analogie, similitudini o anche di confronti inattesi che rendono questo progetto peculiare per l’approfondita analisi di una stagione ampia e importante dell’arte del nostro tempo.
Abbiamo dialogato sui contenuti della mostra con Cesare Biasini Selvaggi che, con Flaminio Gualdoni e in collaborazione con Martin Dostál, ha curato questo importante progetto espositivo:
Come nasce questo grande ed articolato progetto espositivo che omaggia certo Rajlich, ma non solo?
È un progetto nato da un grande gioco di squadra con l’assessore alle politiche culturali Barbara Grosso, l’advisor per l’arte e il patrimonio culturale del Comune di Genova Anna Orlando, la conservatrice responsabile del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce Francesca Serrati e l’attivissimo gallerista del capoluogo ligure Antonio Borghese titolare di ABC Arte. All’interno di questa cornice istituzionale e organizzativa, va collocato il lavoro scientifico svolto da me e da Flaminio Gualdoni, con la collaborazione di Martin Dostál, storico dell’arte di base a Praga che ci ha consentito di avere un ponte diretto e costante con Tomas Rajlich, anche durante i complessi periodi di lockdown. Questo progetto espositivo ha, infatti, la sua “alfa e omega” in Rajlich che ha voluto attivare un dialogo diretto con gli artisti nella collezione del museo di Villa Croce, e partecipare in prima persona a tutte le fasi, dalla scelta dei suoi “interlocutori astrattisti” fino all’allestimento delle opere. Tutto quello che ho appena descritto è avvenuto nonostante mesi di restrizioni nella logistica e negli spostamenti, di zone rosse. Il Covid lo abbiamo sconfitto anche in questo modo.
Mi hai detto che tieni a specificare bene che la costruzione della mostra è in funzione di un dialogo tra opere ed artisti e non di un confronto, mi sembra un punto centrale…
Sì è un dialogo “del pensiero”, ma anche “sentimentale”, tra una retrospettiva di lavori di un grande interprete internazionale dell’arte non oggettiva come Tomas Rajlich, e alcune opere chiave scelte da quest’ultimo all’interno della collezione museale (dall’astrattismo del secondo Dopoguerra alle ricerche percettiviste e preconcettuali degli anni Sessanta, fino all’arte Optical e alla Nuova Pittura dagli anni Settanta e Ottanta).
Ne esce fuori un dialogo con un approccio anticonformista all’arte e alla storia dell’arte. Il percorso espositivo si snoda infatti tra le opere di Rajlich e quelle di artisti sia celebrati che ancora ingiustamente poco noti al grande pubblico: tutti però accomunati da una ricerca radicale compiuta sull’astrazione e dall’uso minimalista del colore, da un’astrazione senza aggettivi. Sono molto entusiasta che i visitatori possano pertanto entrare in contatto anche con figure meno note, eppure quanto mai preziose, come Martino Oberto e Antonio Scaccabarozzi.
In realtà, il dialogo a cui si può assistere a Genova è ancora più “polifonico”, perché include inevitabilmente anche Maria Cernuschi Ghiringhelli, considerata la “musa astratta” di Carlo Belli e Osvaldo Licini, una Peggy Guggenheim appassionata sostenitrice dell’arte astratta italiana e internazionale. Il punto di partenza delle collezioni di Villa Croce, e della selezione delle opere oggi nella nostra mostra, è rappresentato dalla raccolta di questa donna straordinaria.
E il dialogo tra Rajlich e la Cernuschi Ghiringhelli si rivela dalle sorprendenti affinità elettive. Innanzitutto comprende opere che hanno lasciato le loro sedi originarie, le stanze dove sono state scenario di vita personale per Maria Cernuschi Ghiringhelli, di invenzione e creazione artistica per Rajlich; dove hanno interferito con eventi grandi e piccoli aneddoti di vita e dell’arte. Le opere della Cernuschi Ghiringhelli sono arrivate a Villa Croce nel 1989 dalle sue case di via Gabba a Milano e di via Lido ad Arma di Taggia. Così come la collezione di lavori storici di Tomas Rajlich, dalle sculture degli anni Sessanta agli snodi centrali del suo percorso di ricerca nei decenni seguenti, approdano oggi temporaneamente nel capoluogo ligure dalla sua casa-studio di Praga.
Sia la collezione Cernuschi Ghiringhelli che la raccolta privata di Rajlich descrivono poi due straordinarie vicende personali collegate alla storia dell’arte italiana e internazionale, a fatti o a persone partendo dall’astrattismo italiano degli anni Trenta, passando per le ricerche percettiviste e preconcettuali degli anni Sessanta, fino all’arte Optical e alla Nuova Pittura degli anni Settanta e Ottanta.
Chi sono i “compagni di viaggio” di Rajlich in questa mostra? Come avete attuato le scelte delle opere degli altri grandi maestri?
Getulio Alviani, Rodolfo Aricò, Agostino Bonalumi, Enzo Cacciola, Antonio Calderara, Nicola Carrino, Gianni Colombo, Pietro Consagra, Dadamaino, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Marco Gastini, Giorgio Griffa, Riccardo Guarneri, Paolo Icaro, Osvaldo Licini, Piero Manzoni, Fausto Melotti, Bruno Munari, Martino Oberto, Claudio Olivieri, Arnaldo Pomodoro, Mauro Reggiani, Antonio Scaccabarozzi, Paolo Scheggi, Turi Simeti, Atanasio Soldati, Giuseppe Uncini, Nanni Valentini, Claudio Verna, Gianfranco Zappettini. Sono tutti “compagni di viaggio”, “di ricerca artistica”, scelti da Rajlich stesso. Non c’è da meravigliarsi, pertanto, delle caselle mancanti in quella che è definita come la “linea dell’arte astratta” in Italia. Nelle sale di Villa Croce, l’artista ceco ha voluto delineare un suo personalissimo percorso espositivo, non schematicamente didattico da manuale scolastico. Siamo lontani dai luoghi comuni, con dipinti e sculture che rappresentano delle realtà autosufficienti e che vanno ad annodare in maniera inusuale e “creativa” i fili di un importante capitolo della storia dell’arte, in gran parte ancora da scrivere. In quest’ottica va spiegata anche la “ridondanza” di alcuni autori presenti in mostra con più lavori, a partire da Lucio Fontana o Bruno Munari. Come anche il mancato ricorso a etichette e formule scolastiche nella definizione delle sale (Movimento Arte Concreta, anni Quaranta-Cinquanta; Astratto-Concreto, anni Cinquanta, Spazialismo, anni Quaranta-Cinquanta; Informale, anni Cinquanta; ecc.).
Che rapporto, scambi e relazioni ha avuto con gli altri grandi nomi dell’arte italiana contemporanea che sono qui esposti? Ci sono stati scambi diretti con alcuni? Hai qualche aneddoto particolare?
Negli anni Sessanta, quando l’isolamento della Cecoslovacchia dal mondo occidentale andava ridimensionandosi, Rajlich è tra i fondatori del Klub Konkretistů, un gruppo di quattro elementi di Praga costituito nel 1967 e basato sulla tradizione costruttivista. Ignari di esperienze come Azimut (1959) in Italia, ZERO (1960) in Germania e Nul-Groep (1961) in Olanda, ebbero però la possibilità di entrare in contatto con i artisti europei “sulla loro stessa frequenza”, tra cui diversi italiani che gli spedirono via posta disegni e stampe da includere nelle loro mostre collettive: Getulio Alviani, Gianni Colombo, Bruno Munari, Nicola Carrino, Giuseppe Uncini. Tutti oggi riuniti nelle sale di Villa Croce.
Come ci ricorda poi Flaminio Gualdoni (che ha dedicato molti saggi all’opera del nostro artista ceco) chiara è, nelle prime opere degli anni Sessanta di Rajlich, la sua scelta geometrica e, come allora usava dire, astratta, in cerca della propria definitiva stabilizzazione che guarda ad altre esperienze come a quella di Lucio Fontana su tutti, e con lui Arnaldo Pomodoro e Nanni Valentini, per quanto attiene all’Italia. Fontana, tra l’altro, è il tramite naturale con alcune delle vicende decisive di quei decenni. In primo luogo con Abstraction-Création, cioè una delle posizioni più lucide e precoci del concretismo internazionale. In questo stesso periodo Rajlich viene letto per lo più come ricercatore di “Elementaire Vormen”, di forme elementari, e la sua attitudine è in parte sovrapponibile a quelle di altri autori offerti dal panorama del momento, in modi diversi ad esempio Agostino Bonalumi, Rodolfo Aricò, Claudio Verna, Nicola Carrino e Riccardo Guarneri. Tutti autori, non a caso, “convocati” da Rajlich nella mostra che oggi ospita Villa Croce.
Interessante è anche il dialogo tra Rajlich e il versante italiano della pittura fondamentale…
Dalla fine del decennio Sessanta Tomas Rajlich diviene una delle figure di riferimento della vicenda pittorica detta pittura fondamentale (o pittura analitica, nuova pittura, pittura pittura) cioè agguerritamente concentrata nell’analisi e nello scrutinio delle radici stesse del proprio consistere in quanto pittura, sulla pratica pittorica e sui suoi meccanismi interni, fatti di relazioni tra i soli elementi fondanti la pittura: superficie, supporto, colore, segno. Interessante è pertanto il dialogo tra Rajlich e il versante italiano della pittura fondamentale, documentato nella nostra esposizione dall’opera di artisti come Enzo Cacciola, Giorgio Griffa, Riccardo Guarneri, Claudio Olivieri, Claudio Verna e Gianfranco Zappettini. Il risultato contribuisce alla rivalutazione, in corso già da qualche anno, di un’attitudine artistica, estetica (ma anche politica), che restituisce un’immagine più ampia, complessa e problematica degli anni Settanta del XX secolo, quelli cioè per convenzione del cosiddetto “grado zero della pittura”.
Mi anticipavi che la mostra di Villa Croce è stata anche l’occasione per alcune scoperte o ri-scoperte di storie e vicende dell’arte genovese…
Sì. Sono molto riconoscente, per esempio, a Ilaria Bignotti, coordinatore scientifico dell’Associazione Paolo Scheggi di Milano. Quando le ho comunicato che avremmo esposto di Paolo Scheggi Intersuperficie curva (1964), acrilico argento su tre tele sovrapposte, «Ci tengo a precisare, – mi ha risposto – come ti accennavo, che questo straordinario gioiello di Intersuperficie si lega fortemente a Genova e alle relazioni che Scheggi aveva, importantissime, sia con Eugenio Battisti che con Germano Celant. L’Archivio conserva molte lettere che ricostruiscono di questi scambi, sin da quando Battisti cercava di creare, sin dal Teatro del Falcone, uno spazio di ricerca per la città ligure, poi riversatosi a Torino, al Museo Sperimentale… Il dialogo è fondamentale con Celant, che sin dal 1965 segue il lavoro di Scheggi con una lucidità che si estende sino alla rimessa in scena dell’Intercamera al Pecci nel 2013».
Grazie, poi, ad Antonio Borghese che ha collaborato in modo determinante alla realizzazione del presente progetto, la mostra espone per la prima volta un prezioso Concetto spaziale, Attese (64 T 46) di Lucio Fontana, idropittura su tela, rosso, proveniente dalla storica Galleria del Deposito di Genova-Boccadasse, uno spazio autogestito in un ex deposito di carbone, dove l’opera fu acquistata dai suoi attuali proprietari. Fondato il 23 novembre 1963, fa parte di quelle gallerie private genovesi i cui nomi sono oggi storia, insieme alla Polena, Carabaga, Bertesca, Rotta. Alla base di quest’avventura artistico culturale del Deposito ci fu il Gruppo Cooperativo di Boccadasse, fondato all’origine da nove soci tra artisti e appassionati d’arte guidati da Carlo Fedeli ed Eugenio Carmi. Ai soci fondatori si aggiunsero ben presto affermati critici come Gillo Dorfles, Germano Beringheli, un giovane Germano Celant, e artisti come Fontana, Soto, Vasarely e Lohse.
Ci sono progetti collaterali alla mostra?
Allo scopo di integrare un percorso di studio e di ricerca più ampio e dinamico sulla “linea astratta dell’arte”, a partire dal mese di luglio si svolgeranno una serie di incontri e di talk digitali sulla ricerca degli artisti esposti a Villa Croce. Questa attività, che curerò in prima persona insieme a tutti i colleghi che si vorranno aggiungersi, si svolgerà su canali/piattaforme online del Museo e comprenderà l’intervista agli artisti ancora viventi, mentre per tutti gli altri l’approfondimento avrà luogo con i curatori e i membri dei comitati scientifici delle diverse fondazioni e archivi. Questi incontri “digitali” andranno a costituire una documentazione audiovisiva permanente.
Importante documento che rimane è il catalogo, quali sono i suoi contenuti?
Il catalogo, bilingue e pubblicato da Silvana Editoriale, comprenderà oltre a un’ampia documentazione fotografica delle opere in mostra e delle loro installation view, una serie di saggi, da quello di Francesca Serrati sulla raccolta Cernuschi Ghiringhelli e l’arte astratta in Italia, alla ricognizione storico-critica dell’opera di Rajlich a firma di Flaminio Gualdoni. Completa l’overview su Rajlich e la pittura astratta internazionale il contributo di Martin Dostál. Io mi sono dedicato invece a una ricognizione della linea astratta italiana nella versione “inedita” che ne deriva dalla mostra di Villa Croce.
Make it new! Tomas Rajlich e l’arte astratta in Italia
a cura di Cesare Biasini Selvaggi e Flaminio Gualdoni con Martin Dostál
prodotta da Comune di Genova
con il patrocinio dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi
in collaborazione con ABC-ARTE, Galleria d’arte contemporanea, Genova
sponsor tecnici Boero Colori, Genova e Pitto P-zeta, Genova
media Partner Rai Cultura
catalogo Silvana Editoriale
4 maggio – 22 agosto 2021
Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce
via Jacopo Ruffini 3, Genova
Orari: giovedì 15.00-19.00; venerdì, sabato e domenica 11.00-19.00
Ingresso intero €5.00, ridotto €3.00 (disabili, ultra 65 anni cittadini UE), ingresso gratuito tutte le domeniche riservato ai residenti del Comune di Genova, bambini e ragazzi fino a 18 anni non compiuti, accompagnatori disabili.
Info: www.museidigenova.it
info@tomasrajlichgenova2021.org
www.tomasrajlichgenova2021.org