MILANO | Lorenzelli Arte | Fino al 23 dicembre 2022
di ILARIA BIGNOTTI
L’omaggio doveroso e importante che a pochi giorni dalla sua scomparsa Lorenzelli Arte ha rivolto a Giuliano Barbanti (Sesto San Giovanni, 1936-2022) è non solo un percorso vivace nelle forme geometriche e nelle sperimentazioni cromatiche dell’artista, attraverso opere realizzate dagli anni Settanta ai primi passi del nuovo Millennio, capace di ripercorrere l’’evoluzione coerente e costante della sua pittura, ma anche un modo per indagare le relazioni e gli scambi che Barbanti ha intessuto con la galleria, e viceversa, nel corso di quasi cinquant’anni di collaborazione e sostegno reciproci.
Lo dimostrano le circa venti opere che si snodano lungo le pareti, realizzate dal 1974 al 2003, a testimonianza di una costante attenzione da parte di Lorenzelli Arte al linguaggio pittorico del maestro, un’attenzione che è anche cura e sostegno, fiducia e disponibilità ad accogliere l’evoluzione del dipingere, e pensare, l’opera d’arte in quanto misura con la quale provare a conoscere il mondo, a stemperarne le contraddizioni, ad educarne la comunità: valori che immediatamente i dipinti di Barbanti trasmettono, segni di un artista che ha fiducia nella possibilità maieutica dell’arte nei confronti del fruitore. Lo provano i fatti che punteggiano la vita di Barbanti, che fu, sino al 2017, direttore della Scuola d’Arte Faruffini di Sesto San Giovanni, dove egli stesso aveva studiato, da ragazzino; e che cullò e disegnò, anche, l’idea di una Galleria Civica d’Arte Contemporanea, coadiuvato da Gillo Dorfles, nei primi Anni ’90, per donare al suo Comune un centro attivo capace di ospitare esposizioni, dibattiti, e una collezione permanente che raccogliesse tutte le opere acquisite dal Premio Piazzetta, vinto dallo stesso Barbanti per due anni consecutivi, nel 1966 e nel 1967. È in quest’ultimo anno che egli perfezionava la “sfumatura”, associandola a modalità di sagomatura e manipolazione della superficie pittorica: asimmetrie e continuum del colore, addensamenti e rarefazioni caratterizzano anche i lavori del periodo successivo, quando Barbanti avrebbe lavorato, medium di tutte le possibili dinamiche formali, con l’aerografo: l’opera diventa campo magmatico eppur quieto – come del resto tutta la sua pittura è – sul quale linee tangenti e parallele, elementi circolari completi o interrotti costruiscono altre possibili modulazioni, arrivando ad incidere il perimetro dell’opera stessa, complici le sagomature stesse: il dipinto si stonda e staglia, diagonalizza e dilaga, come camminando sulle pareti espositive.
Barbanti espone per la prima volta da Lorenzelli nel 1975, sotto l’egida critica di Gillo Dorfles: dieci anni prima questa storica mostra, che segna l’avvio della collaborazione tra artista e galleria, il critico aveva parlato di Pittura Oggetto, per evidenziare la centralità del fare artigianale dell’opera, e il concretizzarsi in corpo del colore nel fare plastico di artisti quali Bonalumi e Castellani. Assieme a Festa, Marzulli, Curone e Forgioli, Barbanti li frequentò assiduamente, al Quartiere delle botteghe dove stabilì il suo studio proprio nel decennio Settanta.
Ecco ora questo racconto sui muri di Lorenzelli Arte: la sua pittura, così testardamente rivolta all’indagine sull’armonia e al contempo sulla tensione che viene a crearsi tra colore, forma e ambiente, racconta di una ricerca instancabile e in costante trasformazione, mite eppure incandescente nelle possibilità che pochi, rigorosi elementi possono, se sapientemente dosati e incrociati, offrire nel risultato visuale. Le opere si succedono l’un l’altra: sembrano piccole gemme che incastonano un segreto, il segreto che genera forme armoniose, e contraddizioni discrete.
Non ci si può passare davanti rapidamente. Si deve andare avanti e indietro, ci si deve fermare e guardare; e bisogna anche immaginare la storia di questo maestro della pittura aniconica intrecciandola con quella della galleria, che gli dedicò numerose altre mostre, nel 1979, nel 1981, nel 1986, nel 1992 e nel 2005, pubblicando l’importante monografia con testi di Gillo Dorfles, Flaminio Gualdoni e Marco Meneguzzo nel 1986.
Di questa storia ne sono testimoni le opere esposte: ora paiono diventare superfici metalliche, che anziché riflettere assorbono la luce e lo sguardo; altrove sono azzurri chiarissimi, quasi impalpabili, a scalfirne l’effetto metallico: il ductus della pittura si adagia o cristallizza, dilaga o concentra.
E in questa danza raccolta e meditata del dipingere, viene da pensare che sia appena passato in galleria l’artista in persona, a guardare i risultati del suo laboratorio pittorico che continua a esistere: oltre la sua assenza, solamente fisica.
Ipotesi di Geometrie. Omaggio a Giuliano Barbanti
Fino al 23 dicembre 2022
Lorenzelli Arte
Corso Buenos Aires 2, Milano
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