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PRATO | Galleria Accaventiquattro c/o BBS-pro | 20 maggio – 25 settembre 2021

Intervista a CHIARA BETTAZZI di Luca Sposato

La vocazione industriale della città di Prato ha generato nel corso del Novecento una predominante estetica del fabbricato, cui largo consenso è inviso al tradizionale decor Rinascimentale delle città toscane, benché risulti un ottimo background per la ricerca artistica contemporanea, accattivata da ampi margini di libertà espressiva. Chiara Bettazzi è certamente la voce più autorevole nello scenario artistico volto a questo tipo di indagine; l’occasione estiva di poter ammirare diversi suoi lavori fotografici della recente serie Still Life, presso lo spazio BBS-pro in via del Carmine a Prato, è certamente esauriente di quanto il contesto urbano offra spunti qualitativi e attuali, se mossi dalla giusta sensibilità. La mostra, organizzata dalla galleria Accaventiquattro di Prato (giovanissima realtà dal potenziale crescente ideata da Fiammetta Poggi e Filippo Bigagli) e curata da Davide Sarchioni, visitabile fino al 25 settembre 2021, coglie l’opportunità di una chiacchierata con l’artista.

Chiara Bettazzi, “Still Life”, 2019, stampa fotografica su carta cotone su forex, 135×95 cm, courtesy Galleria Accaventiquattro

La fotografia è sempre presente nel tuo lavoro, magari in maniera latente, come supporto d’indagine, ma ora vividamente proposta. Trovo affatto trascurabile l’idea del supporto che si traduce in opera autonoma, perché non è scontato mantenere viva questa dicotomia artistica, tra funzione ed espressione, tra l’utile e il qualcos’altro.
La fotografia ha sempre fatto parte del mio processo di lavoro, fin dall’inizio, anzi forse tutto il lavoro è sempre derivato dalla ricerca di un’immagine. In principio questa ricerca era smaltita da scatti continui, incessanti, assomiglianti più ad una sorta di registrazione diaristica. Un “volume” che portava progressivamente all’intuizione per un lavoro di installazione. Quindi diciamo pure che la fotografia diventava sia registrazione che studio di laboratorio. Inoltre il mio primissimo lavoro del 2008 si chiamava Polaroid, delle istantanee che ritraevano oggetti ingessati che posizionavo all’interno di vari fondi industriali abbandonati qui in via Genova [dove la Bettazzi ha il suo studio, n.d.r.]: questo successivamente ha portato all’esposizione all’interno del Museo del Tessuto a Prato, con questi oggetti bianchi allestiti nello spazio, ma tutto nasceva da questa decina di fotografie scattate nei vari fondi pratesi. L’origine del mio lavoro è fotografico ed il medium si è mantenuto costante nel tempo.

Chiara Bettazzi, “Still Life”, 2019, stampa fotografica su carta cotone su forex, 135×95 cm, courtesy Galleria Accaventiquattro

Costante, eppure dinamico: mi sembra di cogliere un’implosione nei tuoi Still Life, una potenza tipica della scultura, cui merito maggiore è certamente determinato da un gioco ex umbris ad lucem, ma penso intervenga deciso il ruolo mutante della fotografia.
Sì è cangiante, è un carattere emerso negli ultimi anni: dal 2019 ad ora la fotografia ha iniziato ad essere più presente, in maniera più prepotente, in qualche modo non è più “dietro le quinte”, ma palese. Da questo pensiero deriva la scelta di esporre foto di grande formato, come una sorta di prelievo dell’immagine, allo stesso modo in cui prelevo gli oggetti nello studio; c’è ovviamente la scelta della luce e dello spazio, intimamente legate alla fase di “posa” nello studio. Quando ho realizzato questi Still Life, il fine era proprio fotografico, non avveniva più una reminiscenza installativa, o meglio, si è trasformata in una ricerca del dettaglio, una ricerca formale. Dei focus sulle nature morte. Il mio lavoro è stato spesso associato alle wunderkammer del Cinquecento o alla pittura fiamminga, non a caso, perché esiste questa indagine minuziosa.

Chiara Bettazzi, Still Life, 2021, exhibition view by Galleria Accaventiquattro at BBS-pro, Prato. Ph. Margherita Nuti

Nella tua ricerca, parallelamente e instancabilmente alla costanza del tuo artwork, porti avanti da più di un lustro il progetto TAI – Tuscan Art Industry, risolutivo per la maturità del tuo percorso artistico ed in particolare per l’utilizzo del mezzo fotografico, a determinare quasi un’estetica del Documento.
Diciamo pure che mi sono innamorata dello spazio BBS per questo: un ex contesto industriale, con una luce e un’ampiezza che ricordava molto il mio studio ed evocava la mia ricerca. Anche perché il mio lavoro è estremamente legato allo spazio di produzione, in cui ho realizzato le fotografie, perché poi non ci dimentichiamo che io lavoro principalmente in studio: il fatto di abitare all’interno di una corte industriale dove lavoro da 15 anni, dove faccio una ricerca sul territorio, sul patrimonio industriale, sul paesaggio industriale, chiaramente ha condizionato molto la scelta degli spazi che utilizzo per le mostre. Lo spazio BBS-pro risultava perfetto per il mio lavoro: è stato scelto addirittura di non utilizzare luce artificiale, ma di avere una illuminazione cangiante con il trascorrere delle ore, come dentro le fotografie. Credo che il progetto TAI sia assolutamente un’appendice al mio lavoro. Va nella stessa direzione del mio lavoro d’artista. Perché mi mette in comunicazione con tante figure professionali che scelgo di mettere all’interno dei miei progetti. Di conseguenza questo mi fa condividere delle scelte progettuali. Mi apre a collaborare di più, a relazionarmi attraverso il mio spazio che diventa display, una piattaforma di incontri. Ultimamente gravitano tantissimi studenti che si incuriosiscono ai progetti, ai lavori, e che chiedono di fare la tesi di laurea, master, stage… tutta una serie di cose. Sta diventando sempre di più un luogo frequentato da giovani, questa è una direzione che mi piace molto.

Chiara Bettazzi, Still Life, 2021, exhibition view by Galleria Accaventiquattro at BBS-pro, Prato. Ph. Margherita Nuti

Secondo te da cosa sono attratti gli studenti?
Credo dalla trasversalità del progetto e dalla contemporaneità. Anche se è sempre legato alla storia. In qualche modo una ricerca sul paesaggio industriale diventa una ricerca sull’urbano. Questi luoghi abbandonati suscitano sempre fascino per questi giovani che li frequentano, li rivivono; c’è sempre più interesse verso questo tipo di architetture, paesaggi, luoghi da riscoprire, c’è questo fascino per le rovine contemporanee che tutto sommato fanno parte di un tuo paesaggio, della tua memoria, e quindi credo di toccare degli aspetti che sono molto attuali. La matrice è l’arte contemporanea, però è uno strumento di coesione per servirsi di tanti linguaggi sperimentali, dagli itinerari alle videointerviste, alla documentazione, alla comunicazione, i workshop, i laboratori, le mostre… C’è una trasversalità.

Chiara Bettazzi. Courtesy the artist.

Con le riaperture post-pandemiche, noto con piacere che anche tu sei molto attiva: ci anticipi qualche progetto futuro?
Ci sarà dopo l’estate una bipersonale con Daniela De Lorenzo, artista che stimo moltissimo, al Museo Marino Marini di Firenze, curata da Saretto Cincinelli. È un lavoro a quattro mani su due video, maturato un anno fa: con Daniela ci sono stati dei precedenti in alcune collettive, ma non avevamo ancora avuto occasione di costruire un progetto insieme. Sarà una mostra curiosa, perché nonostante qualche diversità sui reciproci percorsi, sono convinta che molte cose ci accomunano e verranno fuori in questa mostra.

Chiara Bettazzi, “Still Life”, 2019, stampa fotografica su carta cotone su forex, 135×95 cm, courtesy Galleria Accaventiquattro

Chiara Bettazzi. Still Life
a cura di Davide Sarchioni

20 maggio – 25 settembre 2021

Galleria Accaventiquattro
c/o Studio BBS-pro
via del Carmine 13, Prato

La mostra è visitabile da lun a ven: 9-13 15-19. La galleria è aperta giovedì, venerdì dalle 17 alle 19 e sabato dalle 16 alle 19 o su appuntamentoPer la visita si raccomanda la prenotazione online: https://bit.ly/3vWHQ5M

Info: accaventiquattrogallery@gmail.com
accaventiquattrogallery.com

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