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Silvia Noferi da Scandicci (FI)

Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Con i libri, che sono gli unici amici che posso frequentare in questo periodo di distanziamento.
Nei primi giorni, quando la pandemia ci ha travolti e siamo stati costretti a restare isolati, ho capito che sarebbe stato lungo e complicato. La realtà appariva improvvisamente distorta, lo scenario, inedito e incredibile, creava davvero smarrimento. Una sera mi sono avvicinata alla mia libreria e ho capito che lì avrei trovato equilibrio e supporto. Proprio come se stessi scegliendo il miglior equipaggio con cui attraversare un viaggio sconosciuto, ho scelto un gruppo di autori. Alcuni mai letti, altri che ho sentito il desiderio di leggere di nuovo, questa cosa mi ha fatta sentire immediatamente meglio. L’arte, la poesia, la cultura sono strumenti di resilienza.
Come spazio, invece, vivo molto il balcone. Non ho la fortuna di avere un grande spazio aperto, vivo in un condominio, ma è diventato il luogo che abito di più e infatti è iniziato un processo di riorganizzazione creativa. Spesso passo il pomeriggio semplicemente ad osservare la giornata che sfuma nei suoi colori e mi ci perdo. In fondo questo tempo vuoto non è vuoto per niente. Mi sta ri-insegnando le piccole cose preziose che la velocità ha portato via.

Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Nonostante il dramma, la primavera è sbocciata e c’è qualcosa, in queste giornate di sole lunghissime, senza più ritmo a scandire le ore, con gli animali liberi e noi in gabbia, di innocente e magico. Di ritrovata infanzia.
Il virus ha imposto a tutti il tempo dell’introspezione, credo che il compito sia renderlo fecondo.
Questa esperienza mi mette sicuramente a contatto con la mia vulnerabilità, che è un aspetto che mi ero già trovata ad affrontare nella vita, e che, come tematica, è iniziato ad entrare anche nelle mie opere.
Accettare la propria vulnerabilità, imparare ad integrarla nella vita, è un processo difficile, ma aiuta a liberarci dalla smania di prevaricare.
C’è una bellezza nell’accettare di essere piccoli in questo universo, perché il ricollocarci al posto giusto, ci rimette subito in sintonia con un’armonia molto più grande. Sto scoprendo che il fatto di aver già instaurato un dialogo con la vulnerabilità, mi ha fatto trovare più “preparata” in questa incertezza, e ha sviluppato più risorse di quante mi aspettassi di avere. Sto scoprendo anche la misura di quanto è importante per me la libertà.

Come immagini il mondo quando tutto ripartirà?
È un momento in cui immaginare è difficile.
Le cose che stanno accadendo svelano che la direzione in cui andavamo a tutta velocità non era quella giusta.
Vivo questo periodo come una sorta di momento decisivo dilatato, è come se una lente di ingrandimento si fosse posata su questo meccanismo fatto di produzione, profitto e velocità che stritola le nostre vite, mettendone in luce la meschinità. Troppe cose importanti sono venute a mancare: l’empatia prima di tutto, per ogni essere vivente del pianeta. Si è manifestata in maniera evidente la connessione con tutto ciò che ci circonda. Se ammaliamo, e sfruttiamo gli animali, l’ambiente, i nostri simili, i danni che facciamo, ci coinvolgeranno tutti. Siamo forse i più deboli della catena. Lo sappiamo già da molto, ma evitiamo di occuparcene davvero. È come se fermarci ci avesse offerto la possibilità di guardare tutto attentamente e da lontano, come si guardano le cose per capirle meglio. Potrebbe essere l’occasione per riallineare occhio-mente e cuore, un buon momento per cambiare direzione, per ripensare il nostro modo di stare al mondo. Per cercare di farne un buon uso, e non un abuso. Di sicuro avremo tutti una grande voglia di abbracciarci, la solidarietà si è fatta sentire e spero si rafforzi. Affronteremo un grosso periodo di transizione e sacrifici, molte persone hanno subito lutti importanti, abbiamo perso tantissimi anziani che custodivano la nostra memoria. L’economia farà fatica a rialzarsi, ma vorrei che almeno tutto ciò servisse a riscoprire l’umiltà e a ripristinare la giusta gerarchia di valori.
Utopia?… ma questa è l’unica cosa che mi piace immaginare.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
I sorrisi nascosti dietro le mascherine, la fisicità dei piccoli gesti affettuosi. La libertà. Ho scoperto anche che si può fare a meno di molte cose, che posso essere più selettiva, che c’è una dignità che mi piace nel vivere con meno.

Silvia Noferi è nata a Firenze nel 1977. Si è diplomata alla scuola di fotografia Fondazione Studio Marangoni nel 2006. Negli anni della scuola ha iniziato la sua ricerca artistica, concentrata inizialmente sull’autoritratto.
Attualmente i suoi lavori sono caratterizzati da atmosfere rarefatte che rimandano a una dimensione parallela, in cui l’immaginario si incontra con la realtà osservata.
Ha esposto in varie mostre sia in Italia che all’estero e vinto premi come il Premio Celeste 2009, ARTELAGUNA, il premio Pitti Immagine di ITS talent support, menzione speciale della giuria al Talent prize del 2008. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private. L’ultimo progetto al quale sta lavorando è un’indagine sulle fantasie del mondo del feticismo. www.silvianoferi.com

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