Non sei registrato? Registrati.
Paolo Maggis da Barcellona (Spagna)

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Il mio modo di lavorare non è solamente cambiato: è stato completamente annullato.
Da un giorno all’altro, mi son ritrovato bloccato in casa con mio figlio di quasi cinque anni e con mia moglie assente perché impegnata a lavorare nel tentativo di far sopravvivere un’azienda.
Da quasi due mesi, non ho né tempo né silenzio. In tutto questo periodo ho faticato a trovare la tranquillità necessaria per leggere un libro di trecento pagine.
Appena iniziò quella che secondo me è una follia etica, cioè il confinamento obbligatorio, cercai di raggiungere il magazzino per poter portare del materiale a casa e far qualcosa ma la polizia mi ordinò il dietro-front proferendo le testuali parole: “El arte no es una actividad esencial en la vida real… imagínese ustèd ahora!”. 
Nei pochi ritagli di tempo, comunque continuamente spezzato da un rumore di fondo pressante, son riuscito a registrare quattro canzoni, terminare un libro che probabilmente non riuscirò mai più a pubblicare ed iniziarne un altro. 
Un giorno mi son anche messo a disegnare ma la tensione e la frustrazione era tale che ho distrutto tutto e poi lasciato perdere.

Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Abbiamo a che fare con un tempo violato, un tempo strappato a colpi di decreti dalla nostra vita, per lo più non utilizzabile perché la nostra testa è saturata da notizie o pseudo tali, in un minestrone di verità false o rinnegate. Il tempo non è utilizzabile perché, fatti i conti, non ce ne rimane: non solo ce ne stanno privando l’utilizzo secondo l’esercizio delle nostre libertà ma lo stanno bombardando mediaticamente e socialmente in una campagna che non ha precedenti. E benché io anni fa abbia deciso di non avere la televisione (considerandolo un contenitore di spazzatura) sono obbligato in casa ventiquattro ore con mio figlio che adoro ma del quale devo comunque occuparmi.
Per me lo spazio coincide con la possibilità di esprimere il corpo. Io vivo in una casa abbastanza grande, ma il senso di prigionia rimane comunque. Non riesco a muovermi e non riesco a fare nulla. Mi alzo con il corpo indolenzito, gonfio e stanco.
Di me ho scoperto delle cose tremende: ho scoperto di aver riposto la mia fiducia nell’essere umano per (quasi) niente; ho scoperto che i molti che pensavo fossero amici in realtà non lo erano; ho capito che l’essere umano è vile, pronto a soccombere alla paura; strutturalmente incapace di rispettare la sua stessa natura vitale.
Credo fermamente che la realtà superi l’essere umano e, per quanto orde di scienziati con reminiscenze faraoniche cerchino di ingabbiarla e limitarne la potenza, l’unica vera arma che l’uomo ha è vivere.
Vivere ogni istante della sua vita nell’esercizio consapevole della propria libertà.
Ed infine con grande tristezza ho capito che l’Italia non esiste, forse non è mai esistita, se non nello sventolare del tricolore, ultima immagine nostalgica di un passato che fu.
Rimango attaccato alla speranza con un filo di ragnatela e prego che questo non venga strappato.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della“mancanza”.
Mi manca la libertà.
Per anni ci siamo lentamente lasciati ridurre il raggio di azione secondo il principio condiviso della sicurezza ad ogni costo. La libertà che avevo io a dieci anni, benché fosse già limitata, era assolutamente maggiore a quella che poteva avere un ragazzo di quell’età prima che iniziasse questa emergenza. Ma ora, in un soffio, sono riusciti a toglierci tutto (e voglio sottolineare che non in tutti i Paesi hanno reagito in maniera dittatoriale come in Italia e Spagna) senza che nessuno abbia mosso un dito o capito cosa stesse succedendo. Utilizzando il ricatto morale secondo cui l’esercizio della libertà metta a rischio la vita di persone terze, applicando un sistema coercitivo che, tra l’atro, non sembra aver dato grande risultato.
Siamo in balia di opinioni fluttuanti e contraddittorie, nelle mani di scienziati che si autoproclamano detentori di verità indiscutibili, o meglio, uno stuolo di verità contraddittorie che cambiano in continuazione e a loro piacimento.
Mi mancano molto le persone per quanto questa mancanza sia evidentemente in contraddizione con il sentimento violentissimo di sfiducia che mi pervade; mi mancano le poche persone che ancora amo ed anche quelle che non sopporto; mi manca il confronto diretto, il dialogo guardandosi negli occhi, mi manca avere al lato un amico e sentire l’emanazione della sua presenza.
E mi manca follemente il mio cavallo Beatle, mi manca sentire quell’energia vitale vibrare nel mio corpo, farmi volare e sentire di poter essere parte armonica dell’universo.
Mi manca la vita, quella stessa vita che mi nutre per poter creare, sentire, amare.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Le scelte di musei e gallerie mi fanno ribrezzo.
Odiavo la digitalizzazione dell’immagine già prima di questa ibernazione collettiva ed ora mi sembra pura blasfemia.
Presunti ed acclamati specialisti del settore dell’arte che si vantano e pretendono di poter continuare a fare questo lavoro togliendo la vera ed unica forma possibile di comunicazione che l’arte come presenza fisica possiede, a mio avviso non hanno senso di esistere.
La virtualità è come mostrare le immagini di una donna meravigliosa ma non darti la possibilità di vederla, starci insieme, parlarci e toccarla. Insomma in entrambi i casi e, nel migliore dei casi, parliamo al massimo di masturbazione.
L’arte non è una figurina da attaccare nell’album della conoscenza. La digitalizzazione in teoria doveva servire per comunicare l’arte e portare le persone nei luoghi dove il confronto potesse realizzarsi. Invece, già da anni, svolgeva il compito inverso: da un lato vendere fumo trasformando il mediocre in accattivante, il nulla in un’orgia di parole, dall’altro svuotare i luoghi dove questa relazione poteva essere generativa, scontro o atto d’amore che fosse.
Chiunque abbia un po’ di sensibilità o semplicemente di vista sa perfettamente che non ci si può avvicinare ad un’opera dallo schermo del computer, se non ad un livello estremamente superficiale e molte volte erroneo.
Musei e gallerie studiano appunto strategie per salvarsi, disposti a mettere all’arte la mascherina ed i guanti igienici coscienti del fatto che la maggiorare delle persone, grazie ad una pessima istruzione, non è in grado di distinguere l’originale dal suo surrogato.
Non capendo che l’arte, come diceva Testori e cito questo nome a proposito, è una questione di vita o di morte. C’è in gioco il nostro pensiero e la nostra stessa umanità.
Io son disposto a questo rischio, loro evidentemente no.
Per quanto riguarda ancora le strategie, parola che mi fa orrore: io me ne frego. Non credo che debbano interessarmi e nemmeno dovrebbero interessare gli altri artisti. L’unica strategia (anche se in tempi brevi non paga quasi mai) è l’esercizio della libertà ed essere onesti con la propria (seppur piccola e storpia) verità.

Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Orribile. Se non avviene un cambio di direzione ora, quando finalmente riapriranno le gabbie ci troveremo in un mondo di automi, di servi che han barattato la libertà per la vita. Una persona che cede a questo compromesso non può essere né un artista, né uno scrittore né null’altro. Può solo essere uno strumento omologato del potere qualunque esso sia.
Se non cambiamo ora e non ci ribelliamo alla letargia che dilaga sovrana, vivremo in un mondo dominato definitivamente da poche multinazionali che ci sottopagano per nutrirci con spazzatura dai quali effetti potremo solo curarci con altri farmaci spazzatura. Ovviamente sdraiati su un divano sfondato, contemplando opere d’arte perfettamente impacchettate ma vuote di tutto.
Vivremo in una società di esseri distanti ed allineati o, come dice un caro amico e noto artista, che “non hanno più capacità di elaborazione”.
D’altronde nella cultura lo siamo già vivendo nelle parole di chi, avendo perso la propria identità, raccatta le sue idee nell’esigua biblioteca del politicamente corretto, rispondendo in modo ruffiano alle interviste, alla disperata ricerca di un consenso che gli permetterà certamente di vivere, ma solo come anima nel limbo.
Avremo milioni di poveri, gente ridotta alla fame e disposti a tutto, avremo una sanità indegna di questo nome e i nostri figli moriranno come in Grecia.
Ma gioiremo! Come degli ebeti pensando di essere stati degli eroi. Senza renderci conto che eravamo seduti al tavolo di gioco sbagliato e la partita vera si giocava alle nostre spalle.

Paolo Maggis (Milano, 1978), pittore formatosi all’Accademia di Belle Arti di Brera, vive e lavora tra Milano e Barcellona. Ha esposto in gallerie private in Italia come all’estero e partecipato a mostre presso importanti spazi museali, tra cui Palazzo Forti a Verona, Palazzo Collicola a Spoleto, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino, Fondazione Cini a Venezia, Klinger Forum a Lipsia, Osthaus Museum a Hagen, Serrone di Villa Reale a Monza.
Su di lui son stati pubblicati vari libri da editori come Skira, Silvana Editore, Carlo Cambi, Zel Edizioni e nel 2018 ha pubblicato con Samuele Editore il suo primo libro di poesie “Il nome di Dio”. Del settembre 2019 il suo ultimo libro “Close-Up” a cura di Alberto Mattia Martini ed edito da Zel Edizioni che riassume il suo lavoro dal 2015 al 2018.
Prima che avvenisse il il confinamento stava iniziando ad lavorare al progetto La natura dell’anima dove con anima si intende la vita che anima il corpo. L’essere in senso totale. 
“Il corpo e l’anima coincidono e nell’unione dei corpi l’unione delle anime. La natura dell’anima quindi nella sua doppia valenza: da una parte vista come corpo e dall’altra come necessità del contatto con un corpo/anima altro. Si tratta di una riflessione sullo splendore del corpo, sul dramma che accompagna il suo destino finito anche nel momento del suo massimo splendore”. www.paolomaggis.com

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •