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Intervista a Jochen Arbeit, Luke Pessinous, Angela Teodorowsky di Corinna Conci

Passione, dal latino “pati”: patire, soffrire. Scrive il vocabolario Treccani: “Impressione, sensazione che agisce sull’animo, a cui l’animo soggiace. Sentimento intenso e violento (per lo più di attrazione o repulsione verso un oggetto o una persona), che può turbare l’equilibrio psichico e le capacità di discernimento e di controllo.”

19.76 è una performance ispirata alle opere di Pierre Molinier, nelle quali si scorge una confusione ossessiva intrappolata in una serie di immagini simili e rigide, sempre più perfette e meno vere, della sorella morta. L’artista stesso narrava che, lasciato solo con la salma per fare delle fotografie, fece sesso con quel corpo inerme e freddo rimasto poi cristallizzato nella sua mente. Sulla scia di Genesis Breyer P-Orridge, forse per non lasciare scomparire la propria amata, visse in uno sdoppiamento: personificò questa figura femminile nelle sue opere fotografiche e pittoriche, dove lui stesso si ritraeva con abiti intimi da donna e trucchi che mascheravano il suo volto. Questo processo che somiglia ad una pratica sacra, a una coazione a ripetere, narra la storia della volontà di rimanere nella quiete di quel corpo conosciuto e amato e contemporaneamente nel proprio corpo, ma narra anche la fatica del cambiamento che ci riserva la vita, la spinta che la propria esistenza dolorosamente individuale possiede.

Il termine passione si contrappone direttamente ad azione, e indica perciò la condizione di passività da parte del soggetto, che si trova sottoposto a un’azione o impressione esterna e ne subisce l’effetto sia nel fisico sia nell’animo.

Forse un’azione fu l’unico modo di Molinier di rispondere ad un evento troppo intenso come la morte di una sorella, accadimento esterno che si può solo subire. Su questa cifra si basa anche la performance 19.76, che non ripropone alcune immagini di Molinier ma le agisce, le interpreta, facendole scorrere sul palco tramite il corpo in bianco e nero di Angela Teodorowsky. La performer è quella figura ritratta per anni invariata, una bambola che respira: ogni espirazione equivale ad una millimetrica e precisa microazione. La pelle non suda, i muscoli non perdono il controllo per 50 infiniti minuti. La bellezza di gambe vestite di autoreggenti, cosce semi nude, seni stretti in biancheria che mostra capezzoli di femmina e, vicino a lei speculare, di maschio. Luke Pessinous materializza un rispecchiamento immobile, svelando quel doppio da sempre percepito ma mai palesato, nelle opere di Molinier. Un gioco di ruoli intenso tra vittima e carnefice, tra uomo e donna, tra vita e morte.

Nel suo trattato “Indagine sull’origine delle nostre idee di sublime e di bello” Edmund Burke sostiene che il sublime è vicino al terrore. Il terrore delle catastrofi naturali che producono un’emozione viscerale, la più forte che l’uomo possa sentire e che ci ricorda quanto è insuperabile la distanza del soggetto dall’oggetto. Così il più grande terrore dell’uomo è la morte: il sublime acquisisce in questo senso una forza distruttrice potentissima che si contrappone al bello, che possiede in sé la forza della generazione della vita tramite il sesso. La performance 19.76 contiene in sé entrambi questi fondamentali concetti: quello mortifero e quello carnale.

Che cosa rappresenta per te 19.76, qual’è la tua personale poetica della performance?
Jochen Arbeit: 19.76 è un’altra parte della mia ricerca sul suono e movimento che ho iniziato dieci anni fa a Berlino, quando ho incontrato per la prima volta due performers e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Il loro modo di creare materiali nuovi è molto simile al modo spontaneo di comporre dei musicisti, chiamato anche “improvvisazione”. Grazie a questo punto di contatto abbiamo trovato un linguaggio comune nel suono e nel movimento.Jochen Arbeit
Luke Pessinous
: La nostra performance è nata prima di una qualsiasi definizione poetica, come uno studio di esplorazione del corpo e del movimento a partire da un immaginario e un’estetica altamente intellettualizzata, quale l’arte erotica di un artista del novecento come Molinier. Il nostro percorso è di interrogarci sul corpo e che cosa è un corpo dietro al fantasma erotico che lo trasfigura.
Angela Teodorowsky: Per me è un modo di esplorare il lavoro del mio corpo attraverso un immaginario erotico che si ispira alle immagini e al pensiero di Molinier e del surrealismo. La mia poetica riguardo alla performance è del totale straniamento di un corpo che è materia al di là di un preciso genere sessuale, e che attraversa il movimento in una dimensione sciamanica e con impulsi primitivi senza un’ organizzazione del pensiero, ma come sensazione e ascolto del mio respiro che è il motore trainante del movimento.

Come nascono i tuoi suoni live per 19.76?
Jochen Arbeit:
Il suono dal vivo in questa performance è una vera sfida per me: sul palco faccio uso di guanti sulle mani (n.d.r. Guanti in pizzo, caratteristici di molte opere di Molinier) e questo limita i miei movimenti e i gesti sulla chitarra. Si tratta di un approccio profondamente diverso per lo strumento e il gioco è completamente nuovo per me e totalmente diverso. Attraverso questo processo ho decostruito il mio modo di suonare.

Jochen Arbeit and Teatro Alchemico

Ideatore, performer, regista: quali sono i tuoi ruoli all’interno della performance?
Luke Pessinous:
La performance nasce da un’ideazione comune. Il mio ruolo è di osservazione esterna dell’azione performativa, il che coincide perfettamente con il senso e il ruolo della mia presenza in scena: quello dell’osservatore interno, come un alter ego del corpo di Angela.

Angela Teodorowsky

La coreografia di 19.76 è basata su movimenti quasi impercettibili del tuo corpo che rivelano solo a distanza di alcuni minuti il movimento avvenuto, in una sorta di stop-motion fisica. Come nasce questo processo metodico?
Angela Teodorowsky:
È il respiro che conduce l’azione, una concentrazione assoluta sulla sensazione fisica, un rapporto con lo spazio minimale di un tavolo che mi induce a calcolare con assoluta precisione i miei spostamenti, per trovare nella dimensione di costrizione una libertà di movimento non banale.

 

19.76. Jochen Arbeit, Luke Pessinous, Angela Teodorowsky

Report dello spettacolo delll’11 febbraio 2016 – Magazzino sul Po, Torino

Prossime date:
18 febbraio  ROMA – KLAMM
19 febbraio TERNI – Degustazioni Musicali
20 febbraio REGGIO EMILIA – rednoise

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