intervista a CLARA PACIFICO di Livia Savorelli
Come avete affrontato il lockdown e la relativa chiusura della vostra galleria? Avete cercato di colmare il vuoto attraverso la progettualità online e/o attraverso un uso diverso dei social? Come si è modificato il rapporto con il vostro pubblico?
In un primo momento hanno prevalso grandissimo timore e preoccupazione e la situazione umana e sanitaria era troppo tragica per poter anche solo pensare di lavorare.
In un secondo momento, caratterizzato da un tentativo d’adattamento al confino, è stato molto utile, per non dire taumaturgico, lo scambio con gli artisti che, reagendo ognuno a suo modo, hanno dato un grande contributo affettivo, emotivo e creativo.
Da qui l’idea di postare qualche immagine e riflessione di quest’ultimi mediante social e newsletter ma con discrezione e nel rispetto della privacy del pubblico e della situazione fuori dal comune. La speranza era di poter offrire qualche spunto di distrazione, di riavvicinare virtualmente le distanze e cogliere l’occasione di approfondimento su progetti passati o in corso.
Mai come in questo periodo abbiamo sentito parlare di “mondo dell’arte” ma proprio in un momento come questo è difficile immaginarlo come omogeneo. Composto da figure diverse: artisti, collezionisti, appassionati, critici, curatori, galleristi, organizzatori, editori. Un insieme spesso diviso da interessi contrastanti… Ora, se e in che modo, vi sentite parte di un “sistema”? Come state affrontando, dal lato umano e pratico, la vostra attività? Vi siete posti degli obiettivi a breve termine?
L’attitudine è di poter continuare a sostenere i progetti previsti, con uno slittamento di date legato al protocollo sanitario. La presenza anche da parte nostra sulle piattaforme online è sicuramente uno strumento efficace ma non sostituivo, per lo meno per come intendo debba essere il ruolo di una galleria. Il contatto diretto, lo scambio umano dello spettatore con il vissuto dell’artista, è fondamentale per trasmettere il valore di una mostra. L’idea è sempre stata per noi di rappresentare un luogo di frequentazione abituale dove scoprire, approfondire, prendere un caffè e chiaccherare di arte e quindi di vita. Nell’attesa, lavoriamo sul vis-à-vis o a piccoli gruppi sulla mostra inaugurata il 5 marzo e interrotta proprio prima del lock-down. È un progetto cui tengo particolarmente perché presenta al pubblico i lavori di 4 artisti eseguiti la scorsa estate a Port Tonic, un ex cantiere navale riconvertito in residenza artistica nel golfo di Saint-Tropez. Un luogo selvatico, dagli spazi industriali semi-abbandonati sul mare con qualche casa intorno, che richiede un forte spirito di adattamento e in qualche modo precursore dell’isolamento che abbiamo vissuto e dell’introspezione cui siamo stati chiamati volenti o nolenti.
Siamo nella famosa Fase 3, ciò presuppone una visione in progress, un prima, un dopo e un poi. Restituiteci una fotografia che vi ritrae in questi tre momenti…
Sono stata e sono convinta della “forza” “salvifica” dell’arte e dei suoi autori, pur agendo essa su ciascuno di noi in maniera differente. In un modo o nell’altro, a piccoli gruppi, o in grandi vernissages, l’arte emerge ed emergerà ancora di più, forte di quest’esperienza.