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Paesaggi immaginari rientra nel progetto Sorvoli, a cura di Leonardo Conti per la Galleria PoliArt di Milano, nella sua doppia natura espositiva ed editoriale, coinvolge di prassi un artista visivo e un poeta. Dopo Afro e Agostino Bonalumi, il quinto capitolo del progetto comprende Roberto Floreani e Tomaso Kemeny. In galleria le opere dell’uno e dell’altro attivano un dialogo che insieme è lettura, incontro, immersione, l’uno nell’altro. Per reciproca attrazione pittura e poesia fanno emergere punti di contatto, nuove associazioni, scambi e affinità. Uno spirito combattivo li accomuna, pronti entrambi a difendere il proprio campo…Le tele inedite, nel loro essere un continuum sul filo delle tematiche spesso indagate da Floreani, seguono la titolazione delle liriche di Kemeny ribaltando la consuetudine e facendosi omaggio alla ricerca del poeta.
Il loro incontro all’opening del 14 giugno sfocerà in una declamazione incrociata del testo tra Tomaso Kemeny e Roberto Floreani, coordinati dalle note della compositrice Paola Samoggia.

Francesca Di Giorgio: Che legami intrattiene con il linguaggio della poesia?
Roberto Floreani: Ho un rapporto molto stretto con la scrittura. Ai tempi, sembrava potesse essere la mia strada… poi, pur dedicandomi alla pittura, ho comunque mantenuto con la lettura e la scrittura un rapporto di elezione. La quasi totalità dei progetti che sottendono le mie personali ha un retroterra legato alla scrittura: penso a La casa e il Tempo (1994),  Sogno d’acqua (1992), Memoria, legato alla personale alle Stelline di Milano (Galleria del Credito Valtellinese), Ritorno all’Angelo nel 2003 al Museo Revoltella di Trieste e a molti altri…

Come è avvenuto l’incontro con Tomaso Kemeny? La vostra collaborazione è di lunga data, ci può raccontare come avete collaborato anche in altre occasioni?

Tomaso è un grande poeta e un grande amico. Ci siamo conosciuti nel 2002 in occasione del Primo Festival della Poesia che organizzai al Teatro Olimpico di Vicenza quando lo invitai con altri grandi poeti, da allora abbiamo maturato una sincera amicizia alimentata anche da una forte stima reciproca, che ci ha portato spesso a collaborare entusiasticamente…

L’approccio di Kemeny alla poesia ha una natura attiva, performativa e militante, nel senso più combattivo del termine, che lo ha portato a creare un “commando poetico” lombardo nel 1994 di cui, tra le “parole d’ordine” espresse in una sorta di manifesto, leggiamo: «Essere pronti allo scontro fisico con chi vuole cancellare le Muse» e ancora «Ritornare al caos sublime per fare rigermogliare le figure del tempo». Rivede qualcosa del suo approccio all’arte in queste affermazioni?

Questo è sicuramente un forte punto di contatto personale che mi lega a Tomaso. Sono un grande appassionato e studioso di Futurismo anche per l’atteggiamento di fondo che avevano i suoi aderenti, un rapporto frontale con la realtà, una volontà di affermazione ma soprattutto di difesa delle proprie ragioni, senza escludere anche la possibilità dello scontro. Pochi conoscono le biografie di grandi protagonisti della cultura del Novecento anche perché la storiografia ufficiale si è ammantata di un atteggiamento politicamente corretto “orizzontale”… il fatto che Umberto Boccioni, ad esempio, fosse un personaggio da prendere con le molle, spesso arrestato per tumulti, personalmente lo trovo un aspetto tutt’altro che trascurabile ma ci sono decine di esempi di questo genere. Anch’io interpreto il mio ruolo d’artista in modo “militante”… come Tomaso, quindi.

In un nostro precedente incontro aveva affermato che le mostre personali sono sempre «un’occasione di fare il punto su una problematica». Come sono nate le opere di Paesaggi immaginari?

Le opere in mostra, tutte appositamente previste per lo spazio espositivo – come mia abitudine – sono la diretta continuazione del progetto Aurora Occidentale che ho realizzato lo scorso anno per la mia personale al Padiglione Italia della 53. Biennale di Venezia. Rispetto ad un anno fa, pur continuando l’evoluzione della mia tematica di fondo legata al “Concentrico”, ci anche sono alcune novità rilevanti legate ad una nuova formulazione delle geometrie: penso alla nuova serie “Occhio magico”, ad esempio.

Leonardo Conti scrive, nel testo introduttivo al volume, come Paesaggi immaginari, già titolo di un’opera di Kemeny, sia un cortocircuito scaturito tra poeta e artista. Il poeta le ha letteralmente donato un poema inedito di 910 versi: qual è stata la sua risposta?
Tomaso ha aderito con entusiasmo (e come sennò?…) ad una mia proposta di collaborare a questo progetto espositivo a Milano. Saputa la mia intenzione di dedicare la mostra alla sua poetica – non solo accompagnando la mia pittura ai suoi testi, capovolgendo quindi le priorità, per cui le mie opere avrebbero seguito le titolazioni tratte dalle sue liriche e non viceversa – e che il progetto generale avrebbe preso la titolazione del suo testo, ha voluto “premiarmi” con 910 versi inediti. Tomaso, oltre che un entusiasta, è una persona di straordinaria generosità che ha colto immediatamente il tributo che intendevo portare alla sua ricerca poetica.

Il suo lavoro procede per stratificazione in un tempo concepito come circolare… Tutto torna ma il suo lavoro sta alla larga da un certo epigonismo che nasconde passività unita ad una buona dose di rassegnazione. Che cosa la infastidisce del così detto art-system? Qual è la sua strategia per (re)agire alle false provocazioni dell’arte contemporanea?

Non scopro certo io la circolarità che penso governi i massimi sistemi e non solo la mia ricerca. Credo infatti che la Pittura non possa essere semplicemente legata ad una ricerca tecnica applicata alle proprie necessità. Questo è, naturalmente, il punto di partenza, ma poi la Pittura va alimentata, deve crescere in un sistema complessivo dove l’evoluzione e l’arricchimento del “pensiero” che la sostiene deve svolgere un ruolo importante. La Pittura non è svincolabile dagli aspetti più alti della cultura. Quello che si auto-definisce art-system o meglio star-system non m’infastidisce più di tanto, sono mestieri diversi. Anzi, molto spesso, mi diverte vedere come enormi operazioni di marketing trovino allocchi disposti a farsi spennare per poter dire di aver partecipato alla festa: una sorta di Billionaire dell’arte, dove la cultura non c’entra nulla e vengono attivati meccanismi assolutamente estranei alla ricerca o alla sensibilità dell’artista, che diviene un funzionario del mercato. Non credo che oggi si assista a delle provocazioni, lo si può pensare solo ignorando ciò che la storia ti ha dato negli anni: i futuristi, gli azionisti viennesi, i dada facevano opere e azioni genuine, motivate, efficaci, oggi, le provocazioni vengono confezionate da funzionari di musei, da battitori di case d’asta, avallate da consigli comunali, una vera retroguardia di cucinieri. Le provocazioni di quella natura, prive di supporti culturali, meglio cercarle negli stadi.

La mostra in breve:
Roberto Floreani Paesaggi immaginari dal poema di Tomaso Kemeny
a cura di Leonardo Conti
in galleria libro collana Sorvoli quaderni d’arte e poesia di vanillaedizioni
Galleria PoliArt
Viale Gran Sasso 35, Milano
Info: 02 70636109 – 388 6016501
www.galleriapoliart.com
14 giugno – 17 luglio 2010
Inaugurazione lunedì 14 giugno ore 18.30

In alto da sinistra:
> Occhio Magico (interminato e interminabile), 2010, tecnica mista su tela, cm 91×91
> Paesaggio immaginario alchemico, 2010, tecnica mista su tela, cm 180×140

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