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Italiani all’estero: Filippo Sciascia

a cura di Silvia Conta

Isola + isolarsi

Filippo Sciascia è nato a Palma di Montechiaro (AG) nel 1972. Vive e lavora tra Bali (Indonesia) e Firenze.

Il Serpente e la corda è un olio su lastra di ferro realizzato sullo scadere del 2014 che condensa in sé molti aspetti della poetica di Filippo Sciascia, trasferitosi a Bali dal 1998 con frequenti soggiorni in Italia. In questo dipinto, in cui un intricato nodo è raffigurato mediante un forte contrasto tra luci e ombre, l’ambivalenza dell’immagine del groviglio unita a quella del rettile – suggerita non dal disegno, ma dal titolo – rimane volutamente in bilico tra i numerosi significati attribuiti al binomio nodo-serpente nel corso dei secoli sia dalla cultura occidentale che asiatica. All’impossibilità di decodificare in maniera definitiva e univoca il dipinto va aggiunto l’aspetto non secondario apportato dal processo esecutivo: prima di apporre l’atto pittorico Sciascia ha lasciato per lungo tempo la lastra di metallo esposta alle intemperie affinché la natura vi imprimesse la propria traccia, conferendole un’aurea da lui considerata quasi mistica, e solo in un secondo momento ha eseguito l’atto pittorico, sovrapponendo il proprio agire a quella che definisce “una luce stabilizzata” dall’azione degli agenti atmosferici.

Filippo Sciascia, Il serpente e la corda, olio su ferro,  cm 240x250, 2014, courtesy dell’artista

L’apparente semplicità iconografica di questo lavoro condensa in sé molti aspetti dell’approccio di Sciascia: i frequenti viaggi e conseguenti cambi di prospettiva hanno portato l’artista ad approdare ad una poetica che assorbe tutto ciò che la realtà offre ai suoi occhi e a metabolizzarla restituendola al flusso continuo di immagini in un germinare senza sosta o punto di arrivo che caratterizza l’epoca odierna. In ciò Internet – che per l’artista è lo strumento di congiunzione quotidiana tra i lontani mondi che abita – gioca un ruolo di primo piano, ponendo ogni immagine sul medesimo piano, svuotandola di prospettiva storica, radici culturali e possibilità interpretative definitive. Unico perno rimane il concetto di enlightenment, per l’artista una sorta di luce imperitura e diffusa, propria dei processi naturali: una continua rigenerazione e inestricabile interconnessione di ogni elemento che garantisce l’equilibrio del pianeta, processo a cui anche le dinamiche culturali e artistiche sono inevitabilmente soggette, in quanto collocate nello scorrere del tempo. Poiché natura e arte visiva vivono in un’estensione temporale che trascende quella del singolo individuo, quest’ultimo non può che immergersi in tale flusso transitorio in perenne divenire, che da un lato continua ad autorigenerarsi e dall’altro modifica il significato di ogni elemento che fagocita.

L’inevitabile conseguenza in termini di scelte di campo è, per Sciascia, l’eclettismo espressivo come unico possibile tratto di unitarietà all’interno della propria produzione artistica. L’artista rifiuta, infatti, ogni precisa cifra stilistica che possa suggerire l’immediata riconoscibilità della mano dell’autore a favore, al contrario, di una fusione mimetica e quasi panica con l’intera storia dell’arte in un eterno presente, privo di cronologie, esegesi o filologia. Del resto il tentativo, da parte di un autore, di rendere sempre e subito riconoscibile il proprio lavoro è destinato ad infrangersi contro l’ineluttabile scissione tra opera e autore, che avviene nel momento stesso in cui l’immagine dell’opera entra nella rete e nei circuiti della comunicazione di massa.

Sciascia esprime il concetto di non riconoscibilità dell’artista anche attraverso quelle che definisce “mostre personali collettive”, eventi espositivi in cui l’elevato grado di ecletticità contenutistica e tecnica delle opere – pittura, scultura e disegno – suggerisce al visitatore l’impressione di trovarsi in una mostra collettiva e in una corrispondente pluralità di punti di vista e urgenze espressive.

www.filipposciascia.com

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