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a cura di Alessandra Redaelli

Alessandra Baldoni è poetessa e scrittrice, e nelle sue fotografie la poesia – intesa come attenzione alla parola, al suo senso e al suo suono – permea ogni ambito, dai titoli al ritmo della narrazione, alla pulsazione cromatica. Qualche anno fa l’artista ne faceva un suo riferimento stringente, immediato. Come quando dedicava un’intera serie – Salva con nome – alle più grandi poetesse del passato (da Amelia Rosselli e Antonia Pozzi fino a Virginia Woolf e Ingeborg Bachmann). Allora le figure erano inquadrate in ambientazioni fiabesche, i personaggi indossavano costumi d’epoca, il paesaggio (laghi ghiacciati, boschi autunnali) sembrava fare sue le emozioni che si muovevano sulla scena, e la scena era una narrazione dalle risonanze liriche, spesso accese da un fuoco ardente o da lampi di dettagli rossi che accecavano lo sguardo, magari a fare da contraltare al candore delle vesti e al verde smeraldino del prato (come in Un tempo per noi, di struggente eleganza). Oggi, nelle serie più recenti, il lavoro dell’artista si è fatto più essenziale. Smorzati i colori saturi e abbaglianti, Alessandra Baldoni ha avvicinato la macchina al soggetto e i suoi set – sempre preparati con cura da regista – si sono semplificati. In serie come Atlas, o Senza polvere senza peso o ancora Cartografie del silenzio, le immagini, spesso disposte in dittici o trittici, si fanno strofe di una poesia ermetica e potente, dove basta una sola parola (un dettaglio) a far risuonare la stanza e le emozioni dello spettatore. Volti in primissimo piano, sguardi persi in fantasticherie, corpi adolescenziali dai quali i fiori sembrano germogliare naturalmente o sui quali il fogliame spunta formando un paio di ali, dialogano con scorci di panorami selvaggi o con frammenti artistici in scambi di battute misteriosi e inquietanti costruiti anche su assonanze cromatiche delicatissime. La narrazione si può solo intuire, qui, ed è una narrazione per associazioni e contrasti, costruita su una propria logica inafferrabile.

Alessandra Baldoni, Self Portrait

1 – Definisciti con tre aggettivi.
Intuitiva, perseverante, amorevole.

2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Non so individuare un momento preciso, un’epifania. Non ho pensato di poter essere altro, non ho avuto mai in mente un piano B. Fin da bambina è stato sempre così, la fotografia e la scrittura erano parti di me, qualcosa di naturale e inevitabile come respirare o mangiare. Forse si viene scelti e poi in qualche modo si decide se accettare o meno il proprio destino. Viene da lontano una provenienza astrale e insieme è dentro la parte più profonda, è dentro le ossa, scorre nelle vene, segna ogni pensiero e sentimento.

3 – Hai scelto la fotografia perché…
Per amore. Mio padre da bambina mi regalò la prima macchina fotografica. Una piccola scatola magica, un diario da scrivere con le immagini. Ricordo che mi sentii come un mago, una illusionista: potevo raccontare cose ma anche farle accadere, metterle in scena per incanto. Per me era stupore puro. Ancora oggi mi sento così quando lavoro ai miei set… è quella sensazione di entrare in un mondo segreto, di far “apparire” delle cose, di narrare storie e visioni che sono dentro la mia testa e il mio cuore, nei sogni. Una materia sfuggente, misteriosa e indispensabile al tempo stesso.

4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
Ce ne sono diverse. Tante opere mi emozionano, mi innamorano. Sono un nutrimento. Nella mia ultima visita agli Uffizi, è stato il Bronzino a rapirmi. Non riuscivo a staccare gli occhi dai quadri esposti. Sarei rimasta ferma davanti ai suoi ritratti per un tempo siderale. Ma mi capita la stessa cosa quando vedo i lavori di Sophie Calle o Kiki Smith… insomma, in realtà avrei voluto fare tante opere d’arte che sono di altri, ma è una gioia anche l’essere solo spettatrice: è come lasciarsi trasportare, commuoversi, trovare una carica di senso.

5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
Il risveglio. Quando apro gli occhi e ciò che amo è accanto a me. Quando dal mio letto vedo il cielo e gli alberi dalla finestra, sento la vita fuori e so che è un inizio – l’ennesimo – a cui dare cuore.

6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
Entrambe le cose, imprescindibili. Segnano ogni aspetto della vita. Aggiungerei devozione.

7 – Chi eri nella tua vita precedente?
Direi Harry Houdini (o di certo un mago di quelli dalle illusioni che lasciano senza fiato).

8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Cultura, preparazione e la giusta dose di audacia.

9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Ne ho un po’ a dire il vero… Il primo, il più vicino, è quello di realizzare un libro come lo immagino nella mia testa del mio ultimo lavoro, Atlas.

10 – La bellezza salverà il mondo?
Vorrei crederlo – con tutte le mie forze. Quello che so è che la bellezza è cura e medicamento, che pianta semi nell’anima, che ci tiene in contatto con la parte più umana e antica di noi. Non so se ci salverà, ma di certo ci fa fiorire, innalza un canto anche tra le rovine e la barbarie. È “ancora del corrimano” cui tenerci stretti per non cadere, come dice Wislawa Szymborska parlando della poesia.

www.alessandrabaldoni.it

Leggi anche: Archivio Pillole d’Arte da #1 a#22

Alessandra Baldoni, Atlas_12, 2018, dittico ( cm 70×200), stampa fine art, dibond. Courtesy Red Lab Gallery, Milano

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