FIRENZE | PALAZZO STROZZI | Fino al 12 luglio 2024
di LUIGI ABBATE
A due anni dal site specific del veneziano Palazzo Ducale, in Italia si torna a parlare in forme diverse di Anselm Kiefer. La recente prima italiana del film di Wim Wenders, Anselm, segue la novità Einaudi di Vincenzo Trione, Prologo celeste, racconto-testimonianza di una visita esclusiva alle fucine-atelier di Barjac e Croissy; ma il grande momento kieferiano dell’anno in Italia è Angeli caduti, mostra aperta fino al 12 luglio, pensata sin dal 2018 e preparata con il curatore Arturo Galansino per gli spazi di Palazzo Strozzi a Firenze.
Kiefer è artista che pensa, e poi realizza, in grande. Lo si percepisce già nel cortile del palazzo, quando ci s’imbatte in Engelssturz (Caduta dell’Angelo), opera di sette per otto metri realizzata per la mostra. In alto, sul fondo oro, leitmotiv cromatico di Kiefer, l’Angelo dell’Apocalisse sovrasta un caos materico color piombo, l’informe moltitudine degli angeli caduti. Grande impressione che prosegue nella prima sala del piano nobile con Luzifer (come non ricordare l’omonimo “personaggio” del ciclo Licht di Stockhausen?): un’aggettante, non protettiva ala d’aereo è come fulminata dal nome ebraico di Michele. Angelo maledetto è in un certo senso pure Eliogabalo, imperatore romano che tentò di imporre il culto di Baal, e la cui immagine simboleggiata dal girasole Kiefer filtra attraverso il noto racconto di Antonin Artaud.
Qui la visita potrebbe interrompersi con la lettura del breve testo firmato da Maurizio Ferraris, contenuto nel catalogo Marsilio, che così esordisce: “Il postmoderno ci ha abituato alla figura del critico come artista, Kiefer capovolge questa visione. È l’artista che prende il posto del critico, che spiega se stesso al proprio interlocutore, forte del proprio sapere, anche accademico”. Il filosofo torinese isola tre elementi estetici del cocktail kieferiano: mistero, storia e catastrofe. La storia, in particolare, intesa nella duplice accezione di disciplina regolata dalla cronologia e di memoria, privata e universale insieme. Il Pantheon kieferiano, esibito nei camei dei filosofi presocratici raffigurati in Vor Sokrates è lì a dimostrarlo, e arriva a farci sentire − sensazione di vertigine compresa – la Sacra Famiglia come qualcosa di manieristico.
Nel dominio dell’Alt, dell’Antico, s’inscrivono pure la mitologia germanica, quella norrena, il vischio capovolto (in Balder Lied) e la saga renano-wagneriana. A ciò s’aggiunge, e non per forza si contrappone, la personale ermeneutica di Celan e Ingeborg Bachmann, di Céline e Raymond Roussel. Senza dire dei pregressi strettamente inerenti l’arte, dal Luca Giordano de La caduta degli angeli ribelli di Cadice al Kaspar Friedrich del Viandante sul mare di nebbia. Esplicita la citazione al “Raffaelo” [sic] della Scuola di Atene, ma aggiungerei anche i medaglioni dei filosofi che ricordano la pala dei Misteri del Rosario di Lotto.
Complesso dunque l’approccio alle 25 opere storiche presenti in mostra, anche perché la riflessione del filosofo/erudito incrocia e collide con l’Erlebnis, l’esperienza vissuta drammaticamente. E qui il pensiero va a alle Besetzungen (Occupazioni) di fine anni ’60, parte del ciclo Heroische Sinnbilder (Simboli eroici): fotografie stampate su piombo in cui l’artista osa affrontare la storia – all’epoca, ferita ancora aperta – del nazismo, che sottolineano, a chiusura della mostra, l’idea di un Eterno ritorno, come osserva Galansino, che ricorda come fu un fatto acustico, l’ascolto delle registrazioni dei discorsi di Hitler, Goebbels e Goering, a spingere Kiefer a indagare i motivi della rimozione collettiva nei confronti di quel passato tedesco. “Occupazioni” di un terreno bruciato, la storia della Germania nazista, che si mischia con la memoria privata, quella della divisa del padre che utilizza per le sue “Sieg Heil!” che tanto fastidio han fatto all’epoca, e quanti problemi han recato a lui.
Kiefer, nato nel ’45, sulle rovine (“la cosa più bella che ci sia”) di quella Germania anno zero, costruisce la sua poetica proprio sulla catastrofe citata da Ferraris, come un alchimista parimenti attivo in pittura, scultura, fotografia, pratiche miscelate in progetti di soverchiante gigantismo installativo.
Essenziale per Kiefer il medium fotografico: al naturale, come segno tangibile della storia nella citata accezione di disciplina del sapere, messa in fila di eventi (non a caso Ferraris rammenta il saggio di Eco, Vertigine della lista), oppure elaborato, realmente alterato chimicamente con il trattamento elettrolitico, o persino con quello radioattivo al plutonio. Proprio così: ai Verstrahlte Bilder (Quadri irradiati), parte del ciclo è dedicata la sala forse più affascinante dell’esposizione di Palazzo Strozzi. Oltre sessanta opere prodotte nell’arco di decenni e qui raccolte in una sola originale installazione, mise en abyme di una quadreria dove interagiscono fra loro lacerti figurativi, scontri vedoviani, cretti burriani, dripping catramosi. “La distruzione è parte del processo creativo” ci dice Kiefer. Un nuovo affermare la poetica della catastrofe, come palingenesi, rigenerazione, martirio in quanto testimonianza.
Il congedo sta nella scrittura dei celebri versi del Quasimodo di Ed è subito sera: silloge, al modo di Kiefer naturalmente, che non ammette appelli sull’effimera condizione umana, l’heiddegeriano “esserci per la morte”.
Anselm Kiefer. Angeli caduti
a cura di Arturo Galansino
22 marzo – 21 luglio 2024
Palazzo Strozzi
Piazza Strozzi, Firenze
Orari: tutti i giorni 10.00-20.00. Giovedì fino alle 23.00
Info: info@palazzostrozzi.org
+39 055 2645155
Prenotazioni:
prenotazioni@palazzostrozzi.org
+39 055 2645155
https://www.palazzostrozzi.org/