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MILANO | Secci Gallery | 21 febbraio – 12 aprile 2024

di ILARIA BIGNOTTI

Energia, vitalità, entusiasmo; ma anche intransigenza, coraggio, volontà.
Concetto Pozzati è stato, tra i protagonisti della seconda metà degli Anni Sessanta, uno dei più validi e indomabili narratori e un fertile produttore di icone la cui freschezza e complessità rifulgono, iper-contemporanee, ancor oggi.

A Milano l’opera di Pozzati arriva con grande furia, e sta davvero bene, nelle sale della galleria Secci a Milano.
A maggior ragione che la mostra Concetto Pozzati ’60, a cura dell’Archivio che lo rappresenta, è stata con intelligenza inaugurata durante la Fashion Week del capoluogo lombardo: se la moda è, etimologicamente, come ci insegnano da Simmel in poi, quel laboratorio di immagini e di comportamenti che “ha il fascino dell’inizio e della fine insieme, il fascino della novità e nello stesso tempo della caducità”, Pozzati in questa rassegna, precisamente dedicata alla sua produzione più nota, iconica, dirompente, quella degli Anni Sessanta, quando l’artista approda nel 1964 sia alla Biennale di Venezia che a documenta a Kassel, lascia una lezione forte, perentoria, che attraverso le sue stesse parole risuona con incredibile modernità.

Installation Views, Concetto Pozzati ’60, Milano, 2024. Ph Stefano Maniero. Courtesy Archivio Concetto Pozzati and Secci

“Nietzsche diceva che siamo quello che eravamo – scrive Pozzati nel 1964, l’anno della Biennale veneziana in cui come è noto viene dato il Premio come miglior artista straniero a Robert Rauschenberg – Io invece credo alle modificazioni, non credo alle nostalgie, al talento di un tempo perché siamo quello che siamo oggi (magari precocemente invecchiati) e il passato va sempre visto sulla punta del nuovo”.

Proprio il confronto con la Pop Art d’oltreoceano, specchio di un più ampio dibattito dove società e politica, mercato e cultura tra Europa e America si contendono la palma della vittoria attraverso (anche) il linguaggio visuale, senza vincere né perdere, ma segnando, in modo ancora più eclatante, due diverse culture del vedere e del produrre immagini, porta Pozzati a scrivere e a riflettere sul ruolo degli artisti italiani.
Un pensiero che, ripeto, dovrebbe essere oggi ancora e più che mai esteso a tutta la nostra cultura visiva italiana: dall’arte, appunto, alla moda.

Pozzati inneggia alla libertà, che è rinnovamento consapevole, memoria resistente: “amavamo tutti la rapacità pittorica, la libertà era il senso che la pittura era vita, una vita naturale e inspiegabile, indicibile come la felicità, una felicità da saccheggiare con la pittura. […] Eravamo già cleptomani, citavamo l’esistente, in quanto la pop è un d’aprè del mondo anche se preferisco chiamarla “ecole du regard””.

Installation Views, Concetto Pozzati ’60, Milano, 2024. Ph Stefano Maniero. Courtesy Archivio Concetto Pozzati and Secci

Eccola, la scuola del guardare di Pozzati: noi guardiamo nelle sue opere, e i loro oggetti ripetuti con varianti guardano noi. Ci sono le orme, i quadrati di erba sintetica, le pere, i pomodori in cui guardarsi e riconoscersi parte di un mondo cui apparteniamo, e forse non ci appartiene pienamente.
Ci sono i dipinti, ci sono gli specchi, straordinari esempi della grande pittura, dove la frutta campeggia en grisaille, o è coloratissima, o accompagnata da segni che sono ancora icone: il tricolore.

“Si doveva essere rapinatori storici purché quella “necessaria” avida remora fosse sempre presente urgente e quindi anche compromessa con il mondo di allora – continua Pozzati – è elementare che nessuno può credere all’avanguardia, anche se solo sperimentale, se non come ipotesi in un relativo arco di tempo e che scaduta l’urgenza, così giustificata, dovrà coscientemente rifugiarsi (per durare) nella “resistenza”. Resistenti sì, ma non all’italiana, che con la scusa della “storicità infallibile” e con la giustificazione che solo lo stare a “casa nostra” li possa ancora salvare, o salvaguardare dalle avanguardie, hanno, dopo tutto, ancora le mani parzialmente pulite”.

E ovviamente c’è, dietro questa mostra, il lavoro, indefesso e appassionato, dell’Archivio che rappresenta l’Artista: entrambi con la A maiuscola. C’è un atto di amore profondo, e la volontà, lo scrive Pozzati nel 1964, “di ribellarsi nuovamente, e così facemmo sin dal sessantaquattro, in quella stessa biennale”.

Di ribellarsi alla caduta della memoria, alla cecità imposta, al silenzio di comodo.
Gli Archivi servono (anche) a questo.

Installation Views, Concetto Pozzati ’60, Milano, 2024. Ph Stefano Maniero. Courtesy Archivio Concetto Pozzati and Secci

Concetto Pozzati ‘60
a cura dell’Archivio Pozzati

21 febbraio – 12 aprile 2024

Secci Gallery
Via Olmetto 1, Milano

Orari: martedì – sabato 10:00 – 13:00 / 14:00 – 18:00

Info: +39 02 82875892
milano@seccigallery.com
https://www.seccigallery.com/

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