BOLOGNA | CUBO – Torre Unipol | Fino al 31 maggio 2023
di ILARIA BIGNOTTI
Si sale, fino al venticinquesimo piano.
Di fronte a noi, l’affaccio, quasi a 360 gradi, sulla città, giù in basso, e sul cielo, tutto attorno: le vetrate sono abbracci che ci stringono e lanciano in un fluire di luce: i confini sono molto labili, si ha la sensazione di essere immersi nel paesaggio.
Alle pareti dello spazio espositivo, le opere di Quayola, tra i più interessanti artisti della new media art, ribadiscono questa sensazione: siamo dentro alle cose, eppure le stiamo osservando.
Siamo davanti al cielo, ma ci sentiamo disciolti in esso.
Con una differenza: perché le nuvole in subbuglio dell’artista non sono quelle reali.
Non si tratta di fotografie dal vero infatti, ma di complesse elaborazioni digitali di dati: Quayola parte dalle riprese di reali mari in tempesta, per poi rielaborarli grazie all’utilizzo di custom-software e di algoritmi per l’analisi e la manipolazione delle immagini.
Il risultato sono tempeste dove il digitale titanicamente lotta per diventare naturale, e la natura si lascia vincere da queste forze tecnologiche, impastando paesaggi che sono brividi e memorie dei dipinti digitali e di video ad ultra-high definition, memorie di quanto Quayola aveva catturato sulle coste della Cornovaglia.
Lo avevano insegnato i vari Cozens, Constable, e poi ovviamente Turner, tutti memori della lezione di Leonardo, quando suggeriva di lasciarsi ammaliare dalle macchie sui muri: possono diventare il gorgo seducente di immagini imprendibili, se non con la fantasia; così, le nuvole della moderna pittura inglese, campioni di una impermanenza alla quale oggi continuiamo a tornare come chiave interpretativa di tempi fuggevoli, violenti, indecifrabili e tragici, continuano ad affascinarci attraverso la lente sapiente di Quayola, che combatte la sua personale battaglia sul campo dove si incontrano la figurazione e l’astrazione, il senso e il mistero, il velo e il disvelamento: o meglio, l’atto di disvelare cosa si cela dietro tanto vapor acqueo, tra onde sontuose e deliri di cieli di burrasca.
Kaspar David Friedrich ci aveva dato le spalle, per guardare nell’abisso: non poteva far altro che, romanticamente, lasciarsi risucchiare da quel vuoto così pieno di speranze infrante, nostalgie originarie, tempeste sublimi; davanti alle opere di Quayola, diventiamo giani bifronti: guardiamo verso il futuro e le potenzialità di quella “specie di magia, risultato del rapporto fra uomo, natura, arte e tecnologia”1, offerte dalla sua indagine sofisticatissima e dalla resa digitale così affascinante, eppure non possiamo non sentire il grido di Euridice del passato, al quale non vogliamo resistere. Il passato che è il sentire eterno dell’uomo, il suo domandarsi perché la vita scorre inesorabile, tra le tempeste delle varie età; una vita che riconosciamo nella forza materna e violenta della natura capace, ancora e sempre, di riprendersi il suo posto; una natura matrigna e maestra, che ci insegna a ritrovarci, a riconoscerci, ad accettarci, anche, nell’impermanente possibilità di esistere, fare, sperimentare, guardare dentro e fuori noi stessi.
Le tecnologie così precise, così gelide anche nella loro capacità di definire al massimo grado un’altra immagine del mondo di Quayola, sono in realtà il più profondo atto d’amore verso il solito, inspiegabile, e per questo potentemente amato, mistero: la vita.
[1 F. Patti, Quayola – Pleasant places per CUBO Unipol, testo critico, 2017]
QUAYOLA. Ways of seeing
a cura di Federica Patti
3 febbraio – 31 maggio 2023
CUBO in Torre Unipol
Via Larga 8, Bologna
Info: +39 051 5076060
arte@cubounipol.it
www.cubounipol.it