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Claudia Casali da Faenza (RA)

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Da marzo ad oggi la quotidianità è cambiata, abbiamo dovuto ridimensionare le nostre priorità e, devo ammettere, è lentamente migliorata. All’inizio, come immagino tutti, ero un po’ disorientata poi ho capito che bisognava trovare un compromesso, attivando una postazione lavorativa a casa che prima, per scelta, non avevo. Quindi un buon wifi, un pc connesso al server del museo, con materiali di lavoro direttamente scaricabili. Ma tutto è ed è stato molto graduale e affrontato con serenità, pianificando le giornate, senza avere il senso di vuoto che questa situazione ha creato per molti. Senza l’angoscia del dover fare ma del collaborare. La priorità era tutelare il museo, il lavoro e i colleghi: quindi ogni settimana si è pensato a piani di lavoro smartworking che, devo dire, sono stati molto apprezzati. Ma il vero cambiamento è stato nel rallentamento che non significa annullamento ma guardare ed apprezzare quello che si fa con maggiore attenzione, rispettando il tempo e il silenzio. Abitando da sola e non avendo nessuno con cui condividere la quotidianità, in questi mesi ho rivalutato molto le relazioni ma riflettuto anche su me stessa, concedendomi quegli spazi che prima non trovavo. Quindi un buon libro ma anche una buona rivista di moda da leggere, uno studio lasciato a metà da completare, un buon sonno quando necessario ma anche banalmente la tisana di metà pomeriggio, la seduta yoga o di ginnastica e anche la maschera di bellezza la sera. Dimostrando così che tutto si può fare con tempi diversi e a volte più produttivi perché credo che in questi ultimi anni abbiamo corso tutti un po’ troppo, a discapito della nostra “salute mentale”, della nostra persona, del nostro io. Ora, con la ripartenza dobbiamo fare tesoro di quanto abbiamo appreso in questi mesi ma ho paura che la memoria delle cose utili, salutari, solidali svanisce presto.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Mi sono mancati gli affetti, gli amici, i colleghi e i viaggi. Io non sono un’anima molto social, quindi il contatto con le persone fisiche e reali per me è importantissimo. Ovviamente le nuove tecnologie hanno aiutato ad affrontare le lunghe giornate e a riempire eventuali vuoti, ma soprattutto a “stare vicino” alle persone che amo, soprattutto i miei genitori, che vivono a 300 km da me, in quella Lombardia martoriata dal Covid, con tutte le tensioni, l’insonnia e le ansie connesse. Ho cercato di vivere la solitudine e questa assenza, come dicevo, con serenità, scegliendo le cose da fare nella giornata ma soprattutto cercando di essere propositiva senza farmi distruggere mentalmente dall’inquietudine della grave situazione. Le urgenze erano cancellate o meglio ridotte. I pochi casi di problemi contingenti sono stati affrontati senza tensione. Siamo stati costretti a casa per la nostra salute, non per vezzi decisionali. Questo dobbiamo tenerlo presente sempre prima di emettere giudizi sull’operato politico. Poter frequentare gli spazi del museo chiuso ha attutito molto il senso di solitudine che poteva sorgere in alcuni frangenti. Le opere mi sono state sempre vicine come presenze solidali, e tante idee per il futuro sono già sorte da queste passeggiate solitarie.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Trovare un’alternativa virtuale è stato d’obbligo in questa emergenza. Devo ammettere che non mi aspettavo una così importante reazione dal comparto culturale. I musei hanno reagito con prontezza, creatività, entusiasmo alla inevitabile chiusura, proponendo programmi alternativi di fruizione. Come MIC abbiamo raccontato le nostre raccolte attraverso post quotidiani di opere simboliche della Collezione; abbiamo dato spazio agli artisti con un saluto/augurio in questo momento difficile; abbiamo usufruito di interviste poco viste in passato; abbiamo postato lezioni di ceramica per i piccoli e organizzato anche un webinar sulla creatività ceramica. Il riscontro è stato importante, coinvolgendo pubblici che prima ci guardavano ma non si fermavano a leggerci e ora interagiscono. È sicuramente un’opportunità che abbiamo colto e che probabilmente continueremo con altre modalità.
Direi che c’è stata una rivoluzione veloce sia nell’utilizzo dello smartworking che delle piattaforme digitali per webinar, interviste e incontri lavorativi. Una rivoluzione che avrebbe impiegato anni di attivazione se non ci fosse stata questa emergenza. Ora sappiamo che possiamo lavorare e collaborare a distanza, senza spostamenti costosi, salvaguardando il pianeta. D’ora in avanti dovremo valutare con attenzione queste opportunità come vere possibilità operative, nel rispetto, comunque, dell’incontro che è sempre un elemento importante di scambio.
I musei in generale con le loro storie e i loro patrimoni hanno avuto un ruolo importante in questa crisi per riconnettere e rafforzare il tessuto sociale delle comunità. Il museo rappresenta una comunità, la riapertura ha un significato simbolico importante. Ora dobbiamo puntare a far tornare il pubblico nei musei, ad ammirare dal vivo la bellezza che hanno usufruito via web. Non sarà facile per noi poiché avremo tante difficoltà da affrontare (in termini di aperture, sicurezza, bilanci, etc.) ma dobbiamo pensare sempre, come abbiamo detto, al significato e al ruolo del museo nella collettività. Certo, questa emergenza è arrivata in un momento di grande attività museale con i risultati importantissimi degli ultimi tre anni (incremento dei visitatori, traino turistico, visibilità senza precedenti, nuova funzionalità operativa e gestionale). Pensiamo che nella nostra regione lavorano circa 150mila persone nel settore culturale, il 6% dell’economia regionale è frutto dell’industria creativa (stiamo parlando di 8 miliardi di euro!). Il mio pensiero va a queste persone, non tutte avranno benefici da questa chiusura e dal ripensamento delle attività culturali. Dobbiamo fare squadra perché, come è stato detto, “nessuno si salva da solo”. La cultura è il traino della nostra nazione, dobbiamo esserne orgogliosi e, soprattutto, capaci di difenderla.

 

Claudia Casali (1971). Lombarda di nascita, si laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Udine, dove consegue anche il dottorato di ricerca in storia dell’arte contemporanea, critica d’arte ed estetica. Ha collaborato con diverse Istituzioni museali italiane, curando numerose iniziative dedicate ai giovani artisti. Per dieci anni, dal novembre 2000 al dicembre 2010, è stata curatrice e assistente di direzione presso il MAR di Ravenna. Dal 1° febbraio 2011 è Direttrice del MIC di Faenza, dove ricopre anche il ruolo di conservatore delle Collezioni d’arte contemporanea, direttore della rivista “Faenza”, responsabile dello storico Premio Faenza. Collabora con istituzioni internazionali per la valorizzazione della scultura ceramica contemporanea. Tra le mostre curate si segnalano quelle di S. Camporesi, C. Lecca, S. Galegati, A. Mondino, M. Paladino, Pizzi Cannella, A. Violetta, le rassegne sul déco, l’arte del secondo dopoguerra, l’arte ceramica del XXI secolo. L’ultimo progetto curatoriale riguarda la mostra Picasso. La sfida della ceramica, al MIC di Faenza fino al 2 giugno 2020. Vive e lavora felicemente a Faenza.
www.micfaenza.org

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