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ARZIGNANO (VI) | Atipografia | 25 marzo – 14 maggio 2023

Intervista a LUCA MASSIMO BARBERO e DIEGO SOLDÀ di Matteo Galbiati

La nuova mostra in corso riconferma la coerenza delle progettualità di Atipografia di Arzignano (VI) che con La cava delle nuvole bianche, personale di Diego Soldà, pone ancora grande attenzione e cura sull’attualità di una ricerca che, pur nell’impianto “tradizionale”, sa essere innovativa e peculiare. Con la regia organizzativa della direttrice, Elena Dal Molin, la pittura concreta, solida, apparentemente morbida, ma di spessa consistenza, dell’artista veneto si predispone in un susseguirsi di eventi visivi che suscitano interrogazioni sull’ostentata ambiguità del suo stesso essere/mostrare. Scultura e pittura si confondono in una sempre sorprendente, diversa manifestazione del colore. La concretezza e il tempo sono elementi che dispongono le cromie in stratificazioni, agglomerazioni e sedimentazioni che devono essere verificate dal loro autore, spesso con gestualità violente che sovvertono, con “la distruzione e la ferita”, il precedente gesto, di cura e attenzione, che le ha composte. Abbiamo colto questa preziosa occasione per una doppia intervista con l’artista Diego Soldà e il curatore di questa sua personale Luca Massimo Barbero, che da tempo ne segue il lavoro e la ricerca:

Diego Soldà e Luca Massimo Barbero Crediti fotografici: Luca Peruzzi

Come hai incontrato e conosciuto la pittura di Diego Soldà? Cosa ti ha interessato maggiormente del suo peculiare processo pittorico?
Luca Massimo Barbero: Come emerge dal dialogo pubblicato nel catalogo che editiamo per questa mostra, ho incontrato la pittura di Soldà giovanissimo e, quindi, ho potuto seguirne con consuetudine tutto il percorso di ricerca e sviluppo. Direi che fin da subito – cosa che poi si è confermata nel tempo – mi è piaciuto il lavoro che Soldà fa, apparentemente gradevole per via del colore e della materia, e invece molto concettuale, “antigrazioso”. Partendo proprio da una sorta di ambiguità, fa diventare questa sua pittura un processo, un procedimento, sino alle opere attuali che, presentate in questa occasione, sono nella piena maturità di questo processo pittorico.

Nel contesto attuale in cosa si contraddistingue la sua “pittura”, capace di farsi-disfarsi in un processo che la rende fenomeno concreto, fisico, tangibile?
LMB: Credo che il lavoro di Soldà sia attualissimo proprio per una sorta di distanza dalla pura modalità contemporanea dell’immagine. In questo senso non è un lavoro virtuale, non è un lavoro solo accattivante, ma è proprio questa sua fisicità, è questa sua tangibilità che lo differenzia e lo rende peculiare. Siamo di fronte a una pittura che si fa ogni giorno, una pittura che, in un qualche modo, è procedura, consuetudine e continuità quasi ossessiva. Ciò che si vede non è che la crosta superficiale di un procedimento molto più profondo, e per questo attuale proprio perché ha a che fare con temi contemporanei come il sembrare e non essere.

Diego Soldà, un quarto taglio Ph. Eleonora Vaccaretti

Ci sono connessioni con altri artisti? Secondo te in quale contesto possiamo inserire o a quali artisti possiamo correlare la sua ricerca?
LMB: Trovo che la ricerca di Soldà costituisca una sorta di unicità e, per questo, è difficilmente inseribile in un ambito delineato. È completamente radicale nella contemporaneità, questo lo tiene in una corrente che non si mescola a delle tendenze specifiche.
Il suo “amore” da ragazzo per i Combine painting di Rauschenberg lo porta a proiettare nella contemporaneità rapporti che possono sembrare non così formalmente pertinenti. Penso anche a Daniel Ortega con l’idea di aprire, di smontare, di spaccare e, in qualche modo, di cambiare la condizione fisica delle cose, così come Soldà lo fa con la pittura nei gesti quotidiani che compie in una sorta di diario. Penso a personaggi del calibro di Roman Opałka, anche lui impegnato in una costruzione quotidiana del percorso del suo lavoro o possiamo guardare anche a Emil Lukas, da un punto di vista più costruttivo delle opere, che sono molto forti e da un lato si palesano in un modo, ma poi dall’altro chiedono una buona attenzione perché c’è sempre un inciampo, c’è sempre un tradimento.

Diego Soldà. La cava delle nuvole bianche, veduta della mostra, Atipografia, Arzignano (VI) Crediti fotografici: Luca Peruzzi

La cava delle nuvole bianche è un titolo davvero poetico, come è stato scelto e cosa vuole evidenziare? “Cava” rimanda, in primo luogo, alla scultura…
LMB: La “cava” rimanda proprio alla fisicità dell’oggetto: al tagliare, al prendere un blocco e trasformarlo in altro. Si lavora sempre su questa sorta di ambiguità. Sono uno studioso – si sa – di Fontana e c’è sempre questo termine dell’oggetto che, di fatto, rappresenta l’idea. Chi vede le tele di Fontana in realtà vede dei quadri, ma non sa che sono delle sculture, sia concettualmente che fisicamente. Mi piaceva che finalmente ci fosse un artista contemporaneo che rappresentasse l’abbattimento di questi generi, di cui si parla tanto, ma che si continuano, invece, a “inquadrare”. Mi piacerebbe che ci concentrasse sulle nuvole ossia l’idea di qualcosa di apparentemente soffice, modulato, per invece scoprire (lo si vede nel catalogo forse per la prima volta in modo molto chiaro) che questo lavoro, così delicato, costruito così intimamente giorno per giorno, viene spezzato, smontato, addirittura segato meccanicamente per apparire appunto cavato dalla materia. Questo è un aspetto molto interessante perché riporta ancora alla domanda che tutti si fanno se la sua sia pittura o scultura.

Come hai costruito con Luca Massimo Barbero ed Elena Dal Molin questo progetto espositivo? Lo spazio di Atipografia, nel suo fascino, non è facile da “gestire” con opere particolari come le tue che, per loro stessa natura, tendono quasi ad essere assorbite dal luogo stesso…
Diego Soldà: Nel decidere cosa e come presentare i miei lavori in questa mostra ovviamente non potevamo non tenere in considerazione il luogo in cui sarebbero stati collocati. Questa è la mia prima personale che faccio ad Atipografia e non avevo fino a questo momento “esperienza” di questo ambiente, non sapevo bene che effetto potessero fare i miei lavori lì dentro.
Lo spazio di Elena Dal Molin è un luogo in cui le opere sono in qualche modo costrette a fondersi con l’architettura, è uno spazio “anomalo”, non ci sono le classiche pareti bianche per esempio, ed è uno spazio che anche vuoto, senza opere intendo, funziona benissimo, quindi aggiungere al suo interno qualcosa non è così semplice.
Devo dire che Luca Massimo Barbero ha avuto fin da subito le idee chiarissime su cosa e come esporre le opere abbiamo solo modificato qualcosa durante l’allestimento ma l’idea di partenza è stata mantenuta e ha funzionato perfettamente.

Diego Soldà. La cava delle nuvole bianche, veduta della mostra, Atipografia, Arzignano (VI) Crediti fotografici: Luca Peruzzi

Quali serie di lavori hai presentato? Quali elementi costituiscono una novità?
DS: In mostra sono presenti soprattutto gli ultimi lavori che ho fatto, lavori su cui ho lavorato fino a un paio di settimane prima dell’apertura, con l’aggiunta di due opere “vecchie”, entrambe posizionate in apertura della mostra.
La novità degli ultimi lavori rispetto a quelli precedenti sta soprattutto nella durata del processo di stratificazione del colore, che è durato circa tre anni, e la presenza di un “non finito” che continuerà anche dopo la mostra. Queste opere hanno assunto un volume che di fatto le allontana dall’essere definite “pittura”, nonostante siano interamente “pittura”, e questo forse le ha aiutate a essere presenze solide nello spazio, un po’ come degli atolli.

Fino ad arrivare a queste opere più nuove come è evoluto il tuo gesto pittorico nel tempo? In cosa pensi sia rimasto coerente?
DS: Dai primi lavori fatti a stratificazioni di colore, fino agli ultimi lavori, gli elementi che non sono mai cambiati sono il processo, la ripetitività del gesto, l’ossessione verso questa idea di stratificazione, di livelli, di interstizi temporali e materiali; queste sono le “basi” del mio lavoro. L’evoluzione che ha avuto è stata, per piccoli gradi, mirata a togliere, ad “alleggerire” l’opera esteticamente; ho cercato di semplificare sempre di più il gesto del dipingere, di semplificare la forma. Mi sono reso conto di aver acquisito una sicurezza o meglio, di aver perso un po’ di quella paura che mi frenava, soprattutto nella parte finale dell’opera, nel tagliarla. Come si può vedere in alcune opere in mostra le opere tagliate sono “spalancate”, non hanno come le precedenti quelle “sbucciature” che fanno intravedere l’interno: sono aperte dalla testa ai piedi. A mio avviso non c’è quella “paura” nel sacrificare l’opera.

Diego Soldà. La cava delle nuvole bianche, veduta della mostra, Atipografia, Arzignano (VI) Crediti fotografici: Luca Peruzzi

Quali opere vorresti realizzare e che non sei ancora riuscito a compiere? Cosa hai in cantiere per il prossimo futuro?
DS: Una cosa che mi piacerebbe riuscire a fare sarebbe quella di aumentare il volume dei miei lavori, mantenendo, però, questa stratificazione sottile, facendo sì che all’interno di un’opera ci sia un racconto del mio vissuto più ampio, dove magari eventi o particolari momenti possano anche essere riconoscibili. In un certo senso i miei lavori sono come un diario: tutto si registra, anche se solo in maniera cromatica, e maggiore è la quantità di questi eventi, maggiormente mi sento gratificato nell’averli “trascritti”.

Diego Soldà. La cava delle nuvole bianche
a cura di Luca Massimo Barbero

25 marzo – 14 maggio 2023

Atipografia
piazza Campo Marzio 26, Arzignano (VI)

Orari: da martedì a sabato 11.00-19.00

Info: +39 044 41807041
info@atipografia.it
www.atipografia.it

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