MILANO | Fondazione Prada | 3 aprile – 14 luglio 2025
di ILARIA INTROZZI
Fotografia come disciplina artistica, fotografia come strumento di analisi della contemporaneità. Prima di avventurarsi nell’analisi di una delle due nuove mostre ora in corso da Fondazione Prada a Milano, è bene tenere presente che l’arte fotografica è una delle forme d’espressione tra le più didascaliche, ossia in grado di raccontare e determinare un dato momento storico-sociale-economico. E attraverso l’analisi dell’immagine, diventa inoltre possibile rintracciare degli elementi utili a comprendere, verosimilmente, chi siamo, dove andiamo e, soprattutto, chi/cosa saremo. Anche quando proviene dal passato.
Nel caso dell’esposizione in essere, Typologien: Photography in 20th-century Germany, situata nel Podium dell’istituzione meneghina, ripercorre tutto il Novecento, attraverso lavori di numerosi artisti e interpreti, tra cui Bernd e Hilla Becher, Sibylle Bergemann, Karl Blossfeldt, Ursula Böhmer, Christian Borchert, Margit Emmrich, Hans-Peter Feldmann, Isa Genzken, Andreas Gursky, Candida Höfer, Lotte Jacobi, Jochen Lempert, Simone Nieweg, Sigmar Polke, Gerhard Richter, Heinrich Riebesehl, Thomas Ruff, August Sander, Ursula Schulz-Dornburg, Thomas Struth, Wolfgang Tillmans, Rosemarie Trockel, Umbo (Otto Umbehr) e Marianne Wex.

A cura di Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del MUSEUM MMK FÜR MODERNE KUNST di Francoforte, Typologien ha come obbiettivo quello di applicare il principio della “tipologia”, nato nel XVII e XVIII secolo in botanica per classificare e studiare le piante – in particolare è Karl Blossfeldt (1865-1932), tra i primi artisti ad applicare alla fotografia il sistema di classificazione degli studi botanici –, dando vita a un vasto e rigoroso atlante vegetale, alla figurazione di un determinato punto del secolo scorso, a opera. E lo centra, scandendo con meticolosa dedizione ogni sezione della mostra. Un’opera corale, dove ritratti di famiglie borghesi, s’intrecciano senza pienamente fondersi con quelle in grado di testimoniare le atrocità subite da ebrei, omosessuali e portatori di handicap durante la Seconda Guerra Mondiale, assieme a scatti di città, in particolare palazzi in grado di far riscoprire come anche l’architettura sia un’altra di quelle discipline che analizzano e interpretano il presente. Quale esso che sia.
Nello specifico, tra i due piani dello spazio centrale di Fondazione Prada, è come entrare in un laboratorio scientifico, nel quale lo scienziato è il visitatore, lo spettatore stesso. La sua figura, mentre si addentra in un affascinante labirinto, studia e trae spunto per sviluppare una nuova coscienza di sé e del mondo, anche domestico, in cui vive. “Solo l’accostamento permette di scoprire, nel confronto diretto, che cos’è individuale e che cos’è universale, normativo o reale. Le differenze attestano la ricchezza della natura e dell’immaginazione umana: la felce, la mucca, l’essere umano, l’orecchio, la fermata dell’autobus, il serbatoio dell’acqua, l’impianto stereo, il museo. Il confronto tipologico lascia emergere differenze e somiglianze, e coglie le specificità. Aspetti finora sconosciuti o ignorati della natura, dell’animale o dell’oggetto, di un luogo o di un tempo, si rendono visibili e riconoscibili”. Afferma Pfeffer. Ed effettivamente, al di là delle fotografie più conosciute, almeno per il tema interpretato, luoghi come biblioteche, giardini, animali, vengono dati per scontati, perché abbastanza comuni nell’immaginario di tutti. Eppure, anche questi elementi, posso raccontare una storia, fornire informazioni.

Tra i progetti più interessanti, figurano Antlitz der Zei (Il volto del tempo) – un ambizioso tentativo di ritrarre la diversità e la struttura della società tedesca usando categorie distinte, come classe, genere, età, occupazione e contesto sociale, parte di un sistema di classificazione rigido e neutrale. Un’opera (letteraria e figurativa) di August Sander (1876-1964). Seguono Hans-Peter Feldmann (1941-2023), con le fotografie in scatti di formato 35mm di biancheria intima, collant, magliette, abiti, pantaloni, gonne, calze o scarpe posizionati su grucce appese al muro o su uno sfondo di tessuto scuro, delle donne durante gli Anni ’70. Sempre di Feldmann, un altro mondo, un’altra storia da raccontare: Diie Toten 1967-1993 (I morti 1967-1993, 1996-98) in cui egli commemora le persone uccise nell’ambito dei movimenti politici e terroristici della Germania del dopoguerra. Secondo Susanne Pfeffer: “Con le sue tipologie, Feldmann ha evidenziato l’equivalenza di tutte le fotografie, delle loro fonti e dei loro motivi iconografici, sottolineando la de-gerarchizzazione intrinseca a ogni tipologia.”

Courtesy of the artist and Tanya Leighton, Berlin
E poi si arriva al multimediale negli Anni ‘80, con Isa Genzken (1948), la quale avvia un confronto diretto con il mezzo della fotografia. Nel 1979, infatti, crea una serie fotografica intitolata Hi-Fi, in cui presenta pubblicità di dispositivi stereo giapponesi all’avanguardia organizzati in un immaginario catalogo commerciale. In un’altra serie, Ohr (Ear) (1980), l’artista ritrae, in primi piani a colori di grande formato, le orecchie di donne sconosciute che cattura nelle strade di New York, trasformando la tradizionale in un dettaglio fisiognomico e indaga con ironia l’assoluta singolarità e le infinite differenze individuali che il ritratto fotografico è in grado di registrare.

Registrare, documentare, analizzare e fermare nel tempo il nostro passato. Comunemente è questo ciò che si pensa della fotografia. Typologien: Photography in 20th-century Germany, suggerisce che il suo apporto può ed è maggiore, non solo a livello visivo ma anche emotivo, subliminale. Una lezione sulla condizione umana, attraverso il senso più utilizzato ai nostri giorni: la vista.
Typologien: Photography in 20th-century Germany
a cura di Susanne Pfeffer
3 aprile – 14 luglio 2025
Fondazione Prada
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