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FIRENZE | PALAZZO STROZZI | Fino al 31 agosto 2025

Intervista a SARA PICCININI di Francesca Di Giorgio*

Che la “questione di genere” nelle arti e nel sociale vent’anni fa non fosse così al centro dei dibattiti rispetto a tempi recenti è cosa certa ma che il premio biennale Max Mara Art Prize for Women, nato nel 2005, gettasse lo sguardo avanti era chiaro fin da subito, facendo propria una pratica dalle radici antiche, quella del Grand Tour, collaudata a fine Seicento dai giovani dell’aristocrazia britannica verso l’Italia, con particolare riferimento a Roma. I protagonisti? Giovani, maschi e benestanti, ovviamente.
Dare quindi “in premio” un viaggio di residenza in Italia alle artiste che si identificano con il genere femminile è un’inversione di segno, un cambio di rotta che tocca un punto centrale: il concetto di accessibilità con il quale le donne si sono sempre dovute confrontare. Come si possono raggiungere piccoli o grandi obiettivi se le strade sono, disconnesse, interrotte o precluse?

Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for
Women, Firenze, Palazzo Strozzi, Strozzina, 2025. Exhibition views. Photo Ela Bialkowska,
OKNO Studio. Courtesy Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze

Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for Women, la mostra in corso alla Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze, fino al 31 agosto 2025, racconta quindi un’altra storia, dove il tempo e lo spazio per le ricerche delle artiste, che hanno vinto nelle nove edizioni del Max Mara Art Prize for Women, conquistano posizioni sempre diverse, lontane da classifiche di profitto e consumo e sempre più vicine a quelle di identità e valori personali e collettivi.
Parliamo di Margaret Salmon, Hannah Rickards, Andrea Büttner, Laure Prouvost Corin Sworn, Emma Hart, Helen Cammock, Emma Talbot, Dominique White.
Un mostra che celebra un ventennale costruito sull’idea di scambio e collaborazione, come ci racconta Sara Piccinini, Direttrice di Collezione Maramotti.

La collaborazione tra diverse realtà di rilievo come Max Mara, Whitechapel Gallery e Collezione Maramotti è di certo tra i punti di forza del Max Mara Art Prize for Women. Come si rinnova, nella pratica, questa collaborazione ad ogni edizione del Premio?
In una dinamica di collaborazione costante e di opportuna elasticità, ognuno dei tre partner ha competenze specifiche e ruoli piuttosto definiti. A Whitechapel Gallery fa capo tutta la prima fase del premio: la formazione della giuria (che, presieduta dalla direttrice di Whitechapel, varia per ogni edizione ed è sempre composta da donne attive nella scena dell’arte britannica), la selezione delle finaliste e la definizione dell’artista vincitrice – a partire da una proposta di progetto che ognuna delle finaliste è invitata a presentare. La Collezione Maramotti prende il testimone nel momento in cui Whitechapel ci comunica la vincitrice, così che, insieme a lei, possiamo iniziare a elaborare un programma di residenza di sei mesi in Italia cucito sul suo progetto e le sue esigenze. Tutto il periodo di residenza è gestito dalla Collezione, mentre i mesi di produzione delle opere da noi o da Whitechapel, a seconda che avvenga in Italia o nel Regno Unito. Whitechapel è poi la prima tappa di esposizione pubblica, la Collezione la seconda, che ne acquisisce anche le opere.
Max Mara, oltre che essere l’indispensabile soggetto ideatore, promotore e finanziatore di tutto il Premio, è parte essenziale di quella visibilità, anche mediatica, a cui le vincitrici e i loro progetti vanno incontro.

Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for
Women, Firenze, Palazzo Strozzi, Strozzina, 2025. Exhibition views. Photo Ela Bialkowska,
OKNO Studio. Courtesy Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze

Il programma di residenza, messo in atto fin dalla prima edizione del Max Mara Art Prize for Women, è un focus fondamentale. In vent’anni il concetto stesso di residenza d’artista si è evoluto in forme sempre diverse, quali sono i punti fermi del Premio?
L’obiettivo della residenza è quello di riservare alle vincitrici un dono di tempo e di spazio, supportandole costantemente sia dal punto di vista pratico che di ricerca e creando occasioni di incontro fecondo e ispirante con l’Italia – la cultura, il paesaggio, le eccellenze tecniche e artigianali, la storia e le storie del nostro paese. I loro progetti, e di conseguenza le loro necessità, hanno ruotato intorno a focus diversi e si sono sviluppati in modo via via più consapevole e articolato nel corso del tempo. Per questa ragione, se all’inizio l’esperienza era equamente suddivisa tra Roma, riferimento pressoché imprescindibile, e il contesto più intimo e immerso nella natura di Biella, soprattutto a partire dalla quinta edizione il programma di residenza si è evoluto per meglio rispondere a esigenze specifiche.
L’accostamento all’idea del Grand Tour riproposto in chiave contemporanea non solo ne ribalta la pratica storica in termini di genere, dato che erano quasi esclusivamente giovani uomini a intraprendere questo viaggio di scoperta e formazione nel ‘700-‘800, ma anche informa la volontà del Premio di offrire alle artiste, oltre al sostegno economico, un’esperienza di esplorazione in cui arte e vita possano equilibrarsi ed essere positivamente intrecciate, e di cui resti una traccia profonda e duratura.

Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for
Women, Firenze, Palazzo Strozzi, Strozzina, 2025. Exhibition views. Photo Ela Bialkowska,
OKNO Studio. Courtesy Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze

Se un moderno Grand Tour in Italia è di fatto la più grande dote del Premio per l’artista vincitrice, ci si chiede quali siano stati, negli anni, i lasciti più importanti, del passaggio delle artiste vincitrici, per il nostro Paese…
I segni più manifesti sono stati naturalmente i progetti espositivi, le opere che le vincitrici hanno presentato prima a Londra, poi a Reggio Emilia in seguito alla residenza, spesso tornando o fermandosi in Italia per realizzarle nei luoghi e insieme alle persone che le avevano supportate nei mesi precedenti. Penso ad esempio a Emma Hart, che ha prodotto i grandi elementi di ceramica decorata per Mamma Mia! al Museo Carlo Zauli di Faenza, o a Emma Talbot, che ha proseguito la collaborazione iniziata a Reggio Emilia con Modateca Deanna e IMAX, la divisione maglieria di Max Mara, per lavorare non solo alla mostra del Prize, ma anche alle opere concepite per la 59° Biennale di Venezia, a cura di Cecilia Alemani, nel 2022.
La Collezione Maramotti ha sempre acquisito le opere relative ai progetti del premio, e grazie a questo approccio sistemico e sistematico possiamo oggi mostrarli al pubblico, tutti riuniti per la prima volta, nella grande mostra Time for Women! a Palazzo Strozzi, una celebrazione dei vent’anni del Max Mara Art Prize, in collaborazione con Whitechapel Gallery. Ma oltre alla restituzione formale e pubblica e alle collaborazioni professionali, penso che si sia creata una rete preziosa di rapporti personali, di stima e fiducia reciproche con il team della Collezione, i tutor, le persone incontrate durante i mesi trascorsi in Italia, che riverberano nel tempo. Relazioni importanti non solo per le artiste – Talbot si è addirittura trasferita stabilmente a Reggio Emilia – ma anche per le istituzioni ospitanti e i singoli tutor che, nell’accompagnarle, hanno avuto a loro volta occasione di confrontarsi con sguardi nuovi e diversi, di (ri)scoprire territori o aspetti del proprio lavoro che erano rimasti ai margini, di combinare competenze accademiche con approcci creativi, o di sperimentare nuove tecniche.

Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for
Women
, Firenze, Palazzo Strozzi, Strozzina, 2025. Exhibition views. Photo Ela Bialkowska,
OKNO Studio. Courtesy Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze

Margaret Salmon nel 2005-2007 vinceva la prima edizione Max Mara Art Prize for Women con Ninna Nanna, un trittico in video che narra le routine quotidiane di madri con i loro bimbi, intente a cantare ripetutamente un’antica ninna nanna toscana. Da lì è come se si fosse aperto un mondo per le future edizioni, attraversate da tematiche che si sono sempre emancipate da stereotipate visioni “al femminile”… Puoi ripercorrerle per noi?
Riprendendo scritti recenti dell’artista Veronica Montanino e della sociologa Anna Simone, credo sia utile in questo contesto riflettere sull’arte come pratica di trasformazione del mondo e sollecitazione della percezione umana rispetto alla sua dimensione sensibile. Che l’arte – intesa come manipolazione e metamorfosi della materia del mondo, attraverso opere che sfuggono alla razionalizzazione e coltivano il possibile – sia strutturalmente qualcosa di femminile?
Concentrandoci sulle nove artiste vincitrici del Premio: sicuramente tutte loro hanno in qualche modo scardinato una visione canonica del femminile, o temi e ambiti considerati tali. La dimensione tessile, ad esempio, tradizionalmente (re)legata a una pratica (domestica, professionale, artistica) femminile, utilizzata da Andrea Büttner per evidenziarne i significati simbolici sottesi a livello storico e sociale; o da Corin Sworn, che ha realizzato costumi originali ispirati alla commedia dell’arte, indicatori dell’identità e dello status dei personaggi, a servizio anche di eventuali inganni o nascondimenti. Dominique White, al contrario, ha impresso una forza fisica, un forte elemento di corporeità al suo progetto, scegliendo di lavorare grandi strutture di ferro che ha poi deciso di far ossidare immergendole nel Mar Mediterraneo, per le sculture di Deadweight.
La maternità, i ruoli di genere e le dinamiche familiari, oltre alla Ninna Nanna di Margaret Salmon, sono presenti come elementi narrativi nei progetti di Emma Talbot, che mette al centro del suo The Age/L’Età un’eroina anziana che sfida le nozioni stereotipe di femminilità e fertilità, e di Emma Hart, che ha studiato un metodo di terapia familiare per inglobare schemi di comportamento psicologico nella sua installazione. Hannah Rickards ha indagato il mondo naturale attraverso la percezione sensoriale e il linguaggio, così come Laure Prouvost, con metodi ed esiti formali completamente diversi – analitico e concettuale il primo, immaginifico e debordante il secondo. Helen Cammock, partendo dal lamento barocco, ha dato voce a donne resilienti e resistenti, figure quasi sempre nascoste o dimenticate (attiviste, migranti, suore, partigiane, artiste) per mettere in discussione le narrative storiche tradizionali sull’identità femminile, sul potere, sulla vulnerabilità.

Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for
Women, Firenze, Palazzo Strozzi, Strozzina, 2025. Exhibition views. Photo Ela Bialkowska,
OKNO Studio. Courtesy Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze

Nove edizioni in vent’anni di storia posso essere un bel banco di prova per trarre anche qualche bilancio sulla posizione delle donne nella scena dell’arte contemporanea internazionale? Possiamo lasciare qualche spunto riflessione e tracciare linee per il futuro?
Come ben delineato anche da Bina von Stauffenberg, curatrice ospite di Whitechapel Gallery, nel testo per il libro di Time for Women!, è importante prendere atto del fatto che, seppur il mondo dell’arte sia cambiato rispetto a vent’anni fa, a beneficio della visibilità delle artiste donne, il mutamento sta avvenendo in modo lento e permangono ampi spazi di disuguaglianza, a livello geografico e sistemico. Se il lavoro delle artiste è sempre più rappresentato a livello istituzionale, così come si notano tentativi di recupero e riscoperta di figure femminili ormai anziane o del secolo scorso, l’ingiustificata disparità dei prezzi di mercato tra i due sessi è notevole.
Inoltre, la situazione politica internazionale e il clima ideologico fanta-culturale, in questo momento, certo non favoriscono un avanzamento ulteriore in questo senso. È per questo fondamentale che iniziative come il Max Mara Art Prize for Women, che ha tracciato un percorso e una direzione precisi già vent’anni fa, continuino a essere presenti, a portare avanti con coerenza le ragioni per cui sono nate.
Fino al giorno in cui il genere diventerà irrilevante, perché le condizioni di accesso e trattamento saranno parificate e conterà solo la qualità dell’opera, non possiamo e non dobbiamo illuderci che il supporto alle donne artiste sia diventato un principio obsoleto.

 

Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for
Women, Firenze, Palazzo Strozzi, Strozzina, 2025. Exhibition views. Photo Ela Bialkowska,
OKNO Studio. Courtesy Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze

Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for
Women, Firenze, Palazzo Strozzi, Strozzina, 2025. Exhibition views. Photo Ela Bialkowska,
OKNO Studio. Courtesy Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze

Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for
Women, Firenze, Palazzo Strozzi, Strozzina, 2025. Exhibition views. Photo Ela Bialkowska,
OKNO Studio. Courtesy Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze


*Intervista pubblicata su Espoarte #129


Time for Women!
Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for Women
organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi e Collezione Maramotti

17 aprile – 31 agosto 2025

Palazzo Strozzi
Piazza Strozzi, Firenze

Orari: tutti i giorni 10.00-20.00 giovedì fino alle 23.00 (ultimo ingresso un’ora prima dell’orario di chiusura)

Info: +39 055 26 45 155
www.palazzostrozzi.org
www.collezionemaramotti.org

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