MILANO | GALLERIA LIA RUMMA | FINO AL 25 LUGLIO 2025
Intervista a SHIRIN NESHAT di Raffaele Quattrone
C’è una domanda che aleggia, insinuante, nello spazio della Galleria Lia Rumma a Milano: Do U Dare? – Hai il coraggio? Non è una sfida retorica. È un sussurro che si fa grido silenzioso, che ti attraversa lo sterno mentre cammini tra le visioni sospese di Shirin Neshat, artista dell’esilio e della metamorfosi, poetessa dell’identità e dell’alterità.
Nata in Iran e stabilitasi negli Stati Uniti alla fine degli anni Settanta, Shirin Neshat è una delle voci più intense e riconoscibili dell’arte contemporanea. Il suo lavoro attraversa confini geografici, culturali e mediali: fotografa, regista, videomaker e scenografa, Neshat ha trasformato la propria biografia – quella di una donna iraniana in esilio – in una lente potente per indagare le grandi contraddizioni del presente. La sua pratica artistica è profondamente radicata nella tensione tra Oriente e Occidente, modernità e tradizione, individuo e collettività. Con uno stile inconfondibile, fatto di simbolismo visivo, silenzi eloquenti e una profonda carica poetica, Neshat esplora temi come il potere, il genere, l’identità, la spiritualità, la censura e la memoria. Il corpo femminile, spesso inscritto da parole persiane, è al centro di molte sue opere, trasformato in campo di battaglia tra imposizione e soggettività.
Nel corso della sua carriera ha esposto nei più importanti musei del mondo: dalla Biennale di Venezia, dove nel 1999 ha ricevuto il Leone d’Oro come miglior artista, al MoMA di New York, dalla Pinakothek der Moderne di Monaco al Broad Museum di Los Angeles. Ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti, tra cui l’Hiroshima Freedom Prize (2005), il Dorothy and Lillian Gish Prize (2006) e il Praemium Imperiale a Tokyo nel 2017. La sua poetica si è estesa anche al mondo del teatro e dell’opera: nel 2017 e 2022 ha diretto l’Aida di Verdi al Festival di Salisburgo, che sarà riproposta all’Opéra de Paris a settembre di quest’anno. Parallelamente, continua a sperimentare con la fotografia e l’installazione, dando vita a opere che mescolano intimità e denuncia, lirismo e attivismo. Shirin Neshat è oggi una delle artiste più influenti del nostro tempo, capace di trasformare il linguaggio visivo in una forma di resistenza e di bellezza. Nei suoi lavori, ogni immagine è una domanda. Ogni sguardo, un atto politico. Ogni silenzio, una dichiarazione di verità. Con questa premessa, la mostra presso gli spazi della Galleria Lia Rumma acquisisce ancora maggiore forza e intensità.

Shirin Neshat, “Do U Dare!” Installation view, ph: Marco Dapino, courtesy l’artista e Galleria Lia Rumma
Ad accogliere i visitatori è l’installazione video da cui prende il nome l’intera esposizione, diventando un vero e proprio rito iniziatico. Ispirata liberamente alla storia vera di un’attivista che nella vita reale aveva pochissime relazioni ma che nel mondo dei social era molto seguita, Do U Dare? segue Nasim, giovane donna iraniana, mentre attraversa in solitudine le strade di New York. Il suo viaggio, ipnotico e lacerante, è un pellegrinaggio laico tra gli specchi infranti di un mondo che osserva senza vedere, giudica senza ascoltare, incorpora senza comprendere. Nel cuore del film, il bianco e nero domina la scena come una coltre di sospensione, un velo di irrealtà che avvolge la protagonista mentre percorre una città che la respinge e la ignora. Ma è solo quando varca la soglia di un negozio di manichini – luogo sospeso tra artificio e rivelazione – che i colori irrompono, improvvisi e vitali, come se la realtà fino a quel momento fosse rimasta compressa in un sogno monocromatico. In quel microcosmo surreale, i manichini si animano, rivelano sentimenti, assumono i tratti delle persone che Nasim ha incrociato nel suo cammino: migranti senza volto, presenze cancellate dalla narrazione dominante, ora rese visibili nella loro fragile umanità. È qui che lo sguardo della protagonista – e forse il nostro – si trasforma. Il mondo apparentemente finto diventa più reale di quello esterno, e ciò che sembrava inanimato pulsa di un’umanità rimossa, marginale, ma viva. La soglia tra persona e rappresentazione si frantuma, suggerendo probabilmente che solo nella finzione più estrema può affiorare la verità più profonda. Il gesto di ribellione che Nasim compie nella scena finale del video – la distruzione dell’immagine della realtà – è potente, radicale, e tristemente attuale.
Al primo e al secondo piano troviamo una serie di fotografie che completano la mostra: un uomo velato posa di fronte a un’altra immagine in cui una donna, a testa in giù, mostra i suoi capelli sciolti; mani di manichini, ritratti di uomini e donne con parti di corpi artificiali, ricoperti da una fitta calligrafia farsi con poesie scritte da donne iraniane incarcerate. Ma dietro quegli sguardi fantasmatici, Neshat lascia filtrare una possibilità: che l’identità non sia un bene da difendere, ma un processo da attraversare. Dolorosamente, poeticamente.

Shirin Neshat, “Do U Dare!” Installation view, ph: Marco Dapino, courtesy l’artista e Galleria Lia Rumma
Ho avuto l’occasione di approfondire questo nuovo progetto direttamente con Shirin Neshat alla quale ho posto due domande:
Nel viaggio di Nasim attraverso una New York disumanizzata, sembri suggerire che il confine tra realtà e rappresentazione, identità e maschera, sia ormai quasi invisibile. Cosa ti ha spinto a costruire questa sorta di labirinto mediatico e teatrale dove la protagonista si perde (e forse si ritrova)?
Come sai, le mie narrazioni e i miei personaggi sono sempre radicati in qualche forma di dualità, come il ‘reale’ e il ‘surreale,’ il ‘credibile’ e l’‘incredibile,’ la ‘magia’ e il realismo. È quasi un’affermazione che, sotto ogni mente razionale e cosciente, viva una follia oscura ma bellissima, e raramente esposta.
“Do U Dare” è ispirato al percorso di una donna iraniana, Nasim Aghdam, completamente disfunzionale e invisibile nel mondo reale, ma che fioriva sulle piattaforme virtuali. Una volta online, era una star mediatica, un’artista, un’attivista, una donna di immenso potere e immaginazione che attirava milioni di follower. Ma nella vita di tutti i giorni era una solitaria, un’emarginata, un’outsider che non riusciva a connettersi con il mondo.
In questo nuovo video, il personaggio ha una presenza minima o quasi inesistente mentre attraversa le caotiche strade di Brooklyn, osservando passivamente i volti della comunità locale e le loro reazioni a un altoparlante ingannevole. Ma una volta giunta in un oscuro negozio di parrucche, di fronte a file di teste di manichino, qualcosa si smuove dentro di lei. Gli sguardi artificiali, ma stranamente umani ed emotivi, dei manichini le trafiggono il cuore. Poco dopo, in un inquietante labirinto di volti e parti di manichino deteriorati e decapitati, vede come essi incarnino e proiettino la brutalità e la sofferenza che esistono nel mondo esterno. Per sottolineare il contrasto tra i due regni che hai menzionato – realtà e rappresentazione, identità e maschera – abbiamo girato la vita di strada in bianco e nero e il negozio di parrucche a colori.

Shirin Neshat, “Do U Dare!” Installation view, ph: Marco Dapino, courtesy l’artista e Galleria Lia Rumma
Il momento in cui Nasim incontra il suo doppio – una fragile figura che porta le sue stesse ferite – è uno dei più potenti del film. È un gesto di riconoscimento o di ribellione? Credi che oggi, per riappropriarsi di sé, sia necessario prima frammentarsi, smontarsi come quei manichini?
Sì, anche per me il momento più straziante del film è quando Nasim incontra il suo doppio e affronta la propria morte. Questo è anche il momento in cui la sua empatia si trasforma in un senso di azione e ribellione. E mascherandosi da manichino, trova il coraggio di tornare nel mondo reale per opporsi ai sistemi di potere e tirannia.
In molti modi, la trasformazione di Nasim avviene quando si confronta con la brutalità nuda del mondo, manifestata nel negozio di parrucche, tra i volti devastati dei manichini, e non tra i volti stoici delle persone che si sottomettono passivamente alle stesse fonti che li feriscono.
Per rispondere alla tua ultima domanda, se ho capito bene, sì, credo che la natura umana sia tale per cui siamo generalmente immuni alla sofferenza altrui finché non soffriamo noi stessi… finché non vediamo negli altri qualcosa di noi, come uno specchio… e comprendiamo che non siamo esenti dall’orrore che ci circonda.

Shirin Neshat, “Do U Dare!” Installation view, ph: Marco Dapino, courtesy l’artista e Galleria Lia Rumma
La mostra non si accontenta di mostrare. Ti guarda. Ti interroga. Ti chiede – Do you dare? – hai il coraggio di vedere? Di non voltarti dall’altra parte? Di affrontare la spettacolarizzazione che ti avvolge? Di riconoscere te stesso nel volto muto dell’altro?
Con Do U Dare?, Shirin Neshat torna a ricordarci che l’identità è una frontiera costantemente violata, una costruzione fragile, ma anche un luogo di resistenza. Che guardare davvero è già un atto rivoluzionario. Che l’arte può ancora essere ciò che scardina – non urlando, ma sussurrando.
Alla Galleria Lia Rumma, non si esce indenni. Ma si esce più vivi.
Do U Dare! Shirin Neshat
17 maggio – 25 luglio 2025
Galleria Lia Rumma
Via Stilicone 19, Milano
Orari galleria: lunedì-venerdì ore 11.00-13.30 / 14.30-19.00
Info: www.liarumma.it