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Sergio Padovani. L’Apocalisse ti dona

di Elena Baldelli

“Non c’è oggetto più profondo, più misterioso, più fecondo, più tenebroso, più abbagliante d’una finestra rischiarata da una candela. Quanto si può vedere al sole è sempre meno interessante di quanto avviene dietro un vetro. In quel buco nero o luminoso vive la vita, sogna la vita, soffre la vita”. Sergio Padovani sembra aver appreso appieno la lezione di Baudelaire (Le finestre da Le spleen de Paris) presentandoci una serie di personaggi provenienti da un’altra dimensione, un luogo sotterraneo, oscuro, claustrofobico; apparentemente una prigione di condannati all’eterna emarginazione che, però, continuano intensamente a vivere, sognare, soffrire…

Elena Baldelli: Presenti la tua personale da Wannabee Gallery con una specie di ossimoro esprimendo, in apparenza, un complimento che, se analizzato nel suo aspetto etimologico, ha in realtà un sapore poco gradevole…  Cosa vuoi significare con l’espressione l’Apocalisse ti dona?
Sergio Padovani: L’Apocalisse ti dona incorpora, paradossalmente, un concetto inquietante e negativo, alla gentilezza di un complimento. Il nucleo fondamentale, dal quale prende forma tutto il mio lavoro, è l’avvicinamento tra un universo esteticamente inadeguato e poco piacevole ed un altro, intimamente bisognoso di emozioni positive e desideroso di trasmetterne altrettante. Il “vestirsi” di apocalisse, di carni ingombranti e di tinte cupe è solo il nascondiglio ideale per le sensazioni ingestibili e indomabili dei miei personaggi. Seguendo questo percorso di dualismo, la mostra rappresenta uno sguardo impietoso, ma anche compassionevole sull’imperfetta umanità dei protagonisti dei miei quadri.

Osservando ogni lavoro sembra di intravedere soltanto una scena di una storia, un momento di vita, una piccola parte di un mondo molto di più ampio. Nella progettazione di un lavoro, scatta, nella tua mente, la tradizionale costruzione narrativa alla Propp? Conosci le abitudini, i sogni, i timori dei tuoi personaggi? Costruisci un contorno di vita per loro?  E cos’è successo prima e cosa accadrà poi?
Sicuramente il dialogo tra me e i miei personaggi è molto intenso ed ininterrotto… questo fa sì che ognuno di loro sia una costante scoperta emotiva che, nello stesso momento in cui viene individuata, si illumina improvvisamente anche in me. Mi viene naturale, quindi, immaginare il percorso di queste creature, il perché siano giunte ad assumere una determinata espressione, la causa di una postura innaturale o, semplicemente, dove porta il loro sguardo fuori dalla tela. Pur senza seguire un rigoroso schema narrativo alla Propp, anch’io parto da una condizione fissa: un sentimento di disagio, una “rottura dell’equilibrio”, per poi cercare, in una sorta di comunicazione con il personaggio, la luce da seguire.
Quello che sto tentando di fare con la pittura è cercare di fissare sulla tela l’attimo in cui il mio soggetto intravede… la salvezza.

Più in generale, tu cosa vedi osservando le tue tele?

Vedo un universo nascosto, sotterraneo, ma che ha tutta l’intenzione di farsi capire, in un certo senso, “codificare” e poi, addirittura, con uno slancio di  presuntuosa vitalità, farsi amare. Tutti i quadri rappresentano questo moto, questo sentimento di emancipazione dagli oscuri meccanismi che la vita sembra aver già deciso per noi. Ed è un movimento impacciato, difficile, ma inevitabile. Essendo io il creatore di queste immagini, ovviamente cerco di far affiorare questi sentimenti dalle mie oscurità, dalle mie sconfitte. Più scendo in profondità, più sono soddisfatto nel “portare a galla” un’immagine che aspettava solo di vedere la luce. Fondamentalmente il significato del mio dipingere è il procedimento, la ricerca, di un mio sentimento che si nascondeva e, nonostante tutto, sono riuscito a fargli vedere, per un attimo, com’è il mondo fuori.

Il nero compare come costante scenografica di questo universo sotterraneo che sembra essere costantemente illuminato dalla luce fioca di una candela… Che cosa rappresentano per te il buio e il nero?
Il nero, per me, ha un significato molto importante. Non è soltanto il colore che preferisco, con il quale mi vesto e che fa parte indiscutibilmente della mia vita. È il valore che dà alla luce presente, anche solo idealmente, nei miei quadri, la sua forza. Come se un corpo illuminato, totalmente, senza ombre, dovesse essere confinato da qualche cosa che a lui è familiare. La notte, il vuoto, il silenzio, per esempio… in assenza di tempo ed ambienti. Il corpo come un luogo addormentato nel buio, improvvisamente rivelato. Utilizzo una limitatissima gamma cromatica perché m’interessa indicare un percorso piuttosto che dettagliarne i colori (è importante capire, per esempio, se un mio soggetto è vestito o no, non con quali colori): nero, bianco, grigio di Payne e bitume.

Cosa è fondamentale non omettere parlando del tuo lavoro?
Direi che i miei quadri sono come un piccolo palcoscenico in decadenza dove, senza alcuna pietà, da dietro le quinte, getto i miei personaggi in pasto ai lupi per far divorare la loro inadeguatezza fisica e morale dalla pubblica derisione. Un palcoscenico che diventa patibolo. Allo stesso momento sono l’inarrestabile desiderio di farmi rappresentare da loro, con la convinzione di poter salire su quel palcoscenico e, nel bene e nel male, comunicare.

La mostra in breve:
Sergio Padovani. L’Apocalisse ti dona
a cura di Viviana Siviero
Wannabee Gallery
Via Massimiano 25, Milano
Info: +39 02 36528579
www.wannabee.it
15 marzo – 5 aprile 2011

In alto, da sinistra:
“La deriva bianca”, olio su tela, cm 100×150
“Due corpi sono una cattedrale”, olio su tela, cm 40×30
In basso, da sinistra:
“Il regno”, olio su tela, cm 60×60
“Il tuo forsennato amore da mattatoio”, olio su tela, cm 120×80

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