VENEZIA | sedi varie | Fino al 24 novembre 2024
di ISABELLA FALBO
Tra i vari input trasmessi da questa 60. edizione della Biennale di Venezia, a cura di Adriano Pedrosa, arriva la proposta di vedere e il sentire il mondo da un diverso sistema di credenze come presa di coscienza necessaria.
Attraverso la visibilità internazionale di artisti indigeni – oltre che ad outsider e queer – quasi tutti autodidatti, con la propria identità culturale e provenienti da luoghi ignorati o sottovalutati, sembra consolidarsi e proseguire una certa tendenza nell’offerta artistica contemporanea che include argomenti esoterici che divengono essoterici, e conoscenze fino a poco tempo fa indirizzate a pochi che trovano spazio per una grande circolazione pubblica.
Fra i molti precedenti ricordiamo la scorsa 59. Biennale di Venezia, dove non era passato inosservato il Padiglione indigeno Sámi con la propria forte identità culturale e spiritualità sciamanica, ospitato all’interno del padiglione nazionale dei paesi nordici; alla 57. Biennale di Venezia, curata da Christine Macel nel 2019, ricordiamo il Padiglione degli Sciamani, con artisti sciamani.
Ed ancora, in questo 2024 diverse sono le proposte espositive che aprono a questa direzione essoterica e rispettosa delle cosmologie e della conoscenza indigena, fra cui la grande mostra Sciamani. Comunicare con l’invisibile, risultato della collaborazione dei tre più importanti musei del Trentino – Il METS – Museo etnografico Trentino San Michele, il MUSE – Museo delle Scienze di Trento e il MART – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e la personale di Chiara Camoni, Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse, presentata in Pirelli Hangar Bicocca a Milano.
Giardini della Biennale: Padiglione del Brasile, Ka’a Pûera: nós somos pássaros que andam (siamo uccelli che camminano)
Arsenale: Santiago e Rember Yahuarcani
Evento collaterale: Fondazione della Biennale d’Arte di Bangkok, The Spirits of Maritime Crossing (Gli spiriti della traversata marittima)
Tra i Giardini, l’Arsenale e gli eventi collaterali di questa 60. Esposizione Internazionale d’Arte segue qui un “percorso spirituale e sciamanico” all’interno dell’arte extraeuropea contemporanea e nello specifico dell’arte indigena contemporanea: con le opere di Rember e Santiago Yahuarcani, all’Arsenale, si entra nell’arte e nella storia dell’Amazzonia Peruviana; con la mostra Ka’a Pûera: nós somos pássaros que andam (siamo uccelli che camminano) al Padiglione del Brasile ribattezzato Pavilhão Hãhãwpuá ai Giardini, si accede nella “grande terra”, il territorio ancestrale, patria di oltre 300 popoli indigeni, esistenti molto prima della colonizzazione portoghese; la mostra The Spirits of Maritime Crossing (Gli spiriti della traversata marittima), evento collaterale presentato dalla Fondazione della Biennale d’Arte di Bangkok (BAB), a cura di Apinan Poshyananda, allestita nello splendido Palazzo Smith Mangili Valmarana, è un viaggio dal sud-est asiatico a Venezia dove si incontra uno spirito errante – interpretato da Marina Abramović – che da Venezia viaggia verso Bangkok.
Nella cultura tradizionale, gioca un ruolo importante la trasmissione di conoscenze e pratiche da padre o madre a figlio; all’interno del nucleo contemporaneo all’Arsenale, tra gli altri, troviamo Santiago Yahuarcani e suo figlio Rember Yahuarcani.
Santiago Yahuarcani (1960, Pebas, Perù), leader dei popoli Uitoto e Bora del fiume Ampiyacú, affluente del Rio delle Amazzoni, utilizza la sua arte per raccontare e avvicinarci al ricco e complesso mondo spirituale degli Uitoto. Come scrive il figlio Rember “In questi territori di miti e resistenza, la pittura di Santiago gioca un ruolo estremamente importante perché si nutre della conoscenza dei suoi antenati in dialogo con il tempo presente e, in questo modo, cerca di generare concetti, provocare domande e creare nuovi modi di comprendere la realtà di questo mondo che tutti noi abitiamo”.
Le sue opere, di grande formato, sono dipinte con tinture naturali su un tessuto vegetale chiamato “llanchama”. La preparazione dei materiali è parte integrante del suo approccio artistico, e questo lavoro lo impegna una settimana.
L’arte indigena contemporanea, che oggi è possibile considerare una tendenza, già da alcuni anni è balzata all’attenzione non solo di curatori ma anche dei collezionisti.
“Che l’arte indigena contemporanea possa essere una luce in questa lunga lotta di resistenza all’essere trattati come stranieri nella nostra stessa terra” afferma Rember Yahuarcani, che la promuove e la difende.
Rember Yahuarcani è pittore, scrittore, curatore e attivista per i diritti e il rispetto delle cosmologie e della conoscenza indigena, appartenente, come il padre, al clan Aimeni (clan dell’Airone Bianco) della Nazione Uitoto dell’Amazzonia settentrionale in Perù.
Il suo stile, come quello del padre, presenta un profondo radicamento nella propria eredità culturale e con le sue opere invita il pubblico a riconnettersi alla saggezza della terra e con gli spiriti di coloro che sono venuti prima.
I suoi dipinti onirici sono pulsanti di vita e di presenze sia materiali che spirituali: esseri umani, animali e vegetali in stretta connessione gli uni agli altri e agli spiriti del luogo. Le narrazioni – che attingono della mitologia Uitoto – raccontano storie di resilienza, armonia e interconnessione tra tutti gli esseri viventi e si dispiegano su di un registro compositivo complesso, dalle tracce delicate e dai colori vivaci. “Vogliamo rompere con gli schemi eurocentrici e con l’estetica che ci ha governato per molto tempo”, ha dichiarato.
Il potere del mondo indigeno globale sembra sfidare sempre di più il modello di stato-nazione, e molte comunità stanno lottando per vedere riconosciute dallo Stato le proprie pratiche spirituali e ancestrali.
Paradigmatico il caso del Padiglione del Brasile ribattezzato con il nome di Pavilhão Hãhãwpuá. Hãhãwpuá è usato dal popolo Pataxó per riferirsi al territorio che solo dopo la colonizzazione divenne noto come Brasile. La mostra Ka’a Pûera: nós somos pássaros que andam (siamo uccelli che camminano) mette in evidenza la resilienza e la produzione artistica dei popoli indigeni brasiliani, esplorando le problematiche della colonizzazione.
Il Pavilhão Hãhãwpuá è una produzione integralmente indigena: indigeni sono i tre curatori Arissana Pataxó, Denilson Baniwa e Gustavo Caboco Wapichana, così come indigeni sono gli artisti Glicéria Tupinambá (1982) con la Comunità Tupinambá della Serra do Padeiro, Olivença a Bahia, Olinda Tupinambá, Ziel Karapotó.
Ka’a Pûera in lingua tupi antica – l’idiona dei Tupinambá – sono luoghi di coltivazione lasciati a rigenerarsi dopo il raccolto; Ka’a Pûera è anche un piccolo uccello che cammina in branco all’interno delle foreste dense e difende il proprio territorio, così come i popoli indigeni che lottano per fare risorgere i propri territori.
Tra le opere in mostra l’installazione di Glicéria Tupinambá Okará Assojaba, 2024. L’opera evoca il “consiglio di ascolto Tupinambá” che riunisce i leader – coloro che portano i mantelli – composto da 6 donne, 4 capi di villaggio e 3 sciamani e presenta uno di questi mantelli “Mantello in movimento”, realizzato dalla Comunità Tupinambá della Serra do Padeiro e dai patner della rete di relazioni dell’artista, con penne di uccelli del territorio.
Il Mantello in movimento rappresenta inoltre le problematiche della colonizzazione ancora in corso: solo quest’anno uno dei mantelli ancestrali, manufatti sacri per la comunità, è stato restituito dal Museo Nazionale della Danimarca di Copenaghen, dove era conservato dal 1699, e torna in Brasile custodito al Museo Nazionale di Rio de Janeiro, ma ritrova i Tupinambá e gli oltre trecento popoli indigeni brasiliani che ancora conducono le loro lotte, proprio come Ka’a Pûera, gli uccelli che camminano sulle foreste che risorgono.
Sempre di Glicéria Tupinambá Dobra do tempo infinito [La piega del tempo infinito], realizzata dopo gli incontri con il gruppo Atã, presenta una videoinstallazione con reti a strascico creando connessioni fra trame e abiti tradizionali. Ed ancora, citiamo l’installazione Cardume, 2023, di Ziel Karapotó, composta da reti, maracas e proiettili per evocare il passato coloniale, ma anche per collegarlo all’attuale lotta indigena contro le estrazioni dal sottosuolo.
Conoscenze ancestrali, connessioni indigene, vissuti di diaspore, flussi culturali: la mostra The Spirits of Maritime Crossing (Gli spiriti della traversata marittima) curata da Prof. Dr. Apinan Poshyananda, direttore esecutivo e direttore artistico della Biennale d’Arte di Bangkok, presenta opere di artisti provenienti del sud-est asiatico.
Secondo la cosmogonia sciamanica, il mondo di mezzo è il mondo dell’esistenza umana, popolato da una moltitudine di spiriti erranti; è il mondo più difficile da percorrere perché preserva a livello spirituale il riflesso delle azioni ed emozioni umane.
Opera centrale della mostra è il cortometraggio The Spirits of Maritime Crossing, da cui l’esposizione prende il titolo e diretto dallo stesso curatore Apinan Poshyananda, con protagonista Marina Abramović nel ruolo di uno spirito errante, e il ballerino e coreografo thailandese Pichet Klunchun, nel ruolo di un personaggio chiamato Monkey King (il Re delle Scimmie), che come uno psicopompo accompagna lo spirito nel suo viaggio verso la luce, durante il percorso da Venezia a Bangkok.
Come ha commentato Apinan Poshyananda “I contenuti di questo film e della mostra si concentrano sui viaggi per mare, sullo sradicamento e sulla diaspora, tutti argomenti direttamente connessi con il tema principale della mostra. È affascinante vedere una tale sinergia a Venezia”.
Tra le altre opere in mostra, molte danno spazio a storie e a voci indigene:
L’opera in video di Khvay Samnang esamina l’egemonia e la deforestazione in Cambogia attraverso una storia di culto locale, ispirata al grande poema epico della mitologia indiana Ramayana, dove la danza della pioggia si intreccia con il culto locale per favorire il raccolto e allontanare la minaccia straniera dal drago di fuoco.
L’installazione The State of Absence – Voices from Outside, 2020 – Ongoing di Truong Cong Tung rimanda ad affascinanti antichi rituali indigeni che aprono all’immaginazione.
Come i colonizzatori hanno distrutto il mondo e la vita dei popoli sottomessi, Jompet Kuswidananto con l’installazione Terang Boelan (Moonshine), 2022, sembra ribaltare la prospettiva: come il tetto rappresenta un’importante simbologia di sicurezza e protezione, qui il crollo del soffitto di un salotto borghese evoca attraverso i cocci scintillanti di un lampadario in frantumi, un vecchio apparecchio telefonico e un divano pieno di macerie, un vecchio mondo distrutto, quello occidentale.
60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
Giardini della Biennale: Padiglione del Brasile, Ka’a Pûera: nós somos pássaros que andam (siamo uccelli che camminano)
https://kaapuera.bienal.org.br/
Arsenale: Santiago e Rember Yahuarcani
https://www.labiennale.org/en/art/2024/nucleo-contemporaneo/santiago-yahuarcani
https://www.labiennale.org/en/art/2024/nucleo-contemporaneo/rember-yahuarcani
Evento collaterale: Fondazione della Biennale d’Arte di Bangkok, The Spirits of Maritime Crossing (Gli spiriti della traversata marittima)
https://smc.bkkartbiennale.com/