Collettivo FX, Le Lacrime della Giustizia, Dumbo, Bologna, 2020

Muralismo e moralismi: l’arte urbana del Collettivo FX come specchio del mondo

Intervista a COLLETTIVO FX di Tommaso Evangelista

Il Collettivo FX rappresenta un esempio quasi unico di come l’arte urbana, letta in maniera critica e costruttiva, possa trascendere il mero atto estetico e diventare uno strumento di riflessione sociale e politica. Attraverso le loro opere, che rivisitano il linguaggio tradizionale del murales, i membri del collettivo si confrontano costantemente con le contraddizioni della realtà che li circonda, portando alla luce le tensioni e le disuguaglianze che caratterizzano la società contemporanea. Muralismo e moralismi. Taccuini di viaggio da Parigi a Tunisi passando per Bèe, a cura di Raffaella Ganci e Serena Giordano, da poco edito per Edizioni Museo Pasqualino, raccoglie in un volume prezioso non solo il loro lavoro artistico, ma anche tutte le riflessioni che quest’arte porta con sé. Il volume si presenta come una vera e propria mappa di un viaggio, tanto fisico quanto intellettuale. Le tappe attraversate dal Collettivo – da Parigi a Tunisi, passando per la più piccola Bèe – sono raccontate sia attraverso le immagini dei murales realizzati, ma anche e soprattutto attraverso le esperienze e i pensieri che ne hanno ispirato la creazione. Ogni città visitata, ogni spazio urbano scelto per l’intervento, diventa una metafora di un mondo che muta, di un paesaggio sociale che l’arte cerca di rivelare e di trasformare. Il Collettivo FX si distingue per il modo in cui interpreta il muralismo, trasformandolo in un potente veicolo di riflessione politica. Attraverso le loro opere, che vanno ben oltre la semplice decorazione urbana, gli artisti costruiscono un dialogo costante con la società, ponendo l’accento sulle tensioni, le disuguaglianze e le sfide che caratterizzano il presente. I murales realizzati diventano racconti visivi capaci di stimolare attenzione, interrogativi e confronto perché ogni intervento sullo spazio pubblico nasce da un’osservazione dettagliata del contesto, da un ascolto delle storie e delle vite che animano i luoghi scelti. Che si tratti di grandi città segnate da dinamicità sociale o di piccoli centri portatori di microcosmi e sfide quotidiane, ogni opera si pone come ponte tra le persone e il territorio. Gli artisti propongono un approccio all’arte pubblica in cui il muralismo si fonde con una profonda consapevolezza etica: i loro lavori sono espressione di un impegno che mira a sollevare temi urgenti come l’immigrazione, le disuguaglianze, l’identità e la necessità di una rinnovata riflessione collettiva. Il pittore, in questa visione, è chiamato a essere agente di cambiamento e stimolo per la comunità, offrendo un’occasione di dialogo e di confronto critico attraverso il linguaggio delle immagini, come del resto è sempre avvenuto nella storia dell’arte. Attraverso un segno immediato e un messaggio potente, il Collettivo invita a guardare oltre la superficie, a interrogare le convenzioni e a riconoscere il potere dell’arte come strumento di unione, di abbattimento delle barriere e di crescita collettiva. Chi osserva i loro murales si trova di fronte a una narrazione che non si limita a rappresentare, ma che aspira a leggere la realtà e a nutrire una nuova consapevolezza nel tessuto urbano e umano delle città.

Muralismo e moralismi. Taccuini di viaggio da Parigi a Tunisi passando per Bèe è una raccolta di appunti, note, riflessioni, schizzi e fogli sparsi del Collettivo che raccontano vicende umane e politiche. Cosa significa per voi “fare arte pubblica”? Qual è la differenza tra partecipazione reale e decorazione urbana e tra muralismo e moralismo?
Significa sparire. O meglio sparire come il sale. Rubiamo una metafora a Gregorio, ex viceparocco di Don Puglisi, quando spiega come si muovevano a Brancaccio: come il sale, serve a dare gusto ai sapori che ci sono già. Troppo sale sovrasta gli altri sapori, dà fastidio. Poco sale non si sente, è inutile. Ecco la cultura, l’arte pubblica, esiste quando non esiste. Come il sale.

Collettivo FX, santa Croce di Magliano (CB), Madonna dell’incoronata e della Terra

Possiamo leggere i vostri murales come una forma di scrittura pubblica e che rapporto c’è tra immagine e parola nel vostro lavoro? Possiamo definirlo un metodo? Come definireste il vostro concetto di muralismo e in che cosa si differenzia da altre forme di arte pubblica o street art?
Il medico della mutua è un film con Alberto Sordi, il più grande attore della commedia all’Italia. Un film con un forte contenuto sociale ma che allo stesso tempo è una commedia, un genere che intrattiene che ci fa staccare e non si occupa certo di denuncia sociale. Ma come nasce questa contraddizione? Non certo da due geni come Sordi e Zampa (sceneggiatore insieme a Sordi) che hanno pensato ad una commedia come forma di denuncia sociale, ma della nostra considerazione di commedia (e quindi di cultura) che abbiamo creato negli ultimi vent’anni: relegata alla intrattenimento, al passatempo. Dopo il lavoro, dopo lo shopping, quando sono esausto e ho bisogno di staccare e non pensare, usufruisco di cultura. Urgente quindi ridare alla cultura un ruolo nella vita reale partendo da due definizioni che vanno al di là dei linguaggi (scrittura, teatro, pittura, danza, etc.): Operatori del Pensiero e Intrattenitori. Ci sono diversi street artist che si occupano di intrattenimento e altri di pensiero: non solo non fanno lo stesso mestiere, ma sono spesso in contrapposizione.

Come fate a distinguere tra un intervento che attiva e uno che invece rischia di “parlare sopra” le storie locali?
Sulle Madonie, nell’entroterra siculo chiudono i reparti ospedalieri: prima geriatria, poi maternità. I burocrati giù a Palermo sostengo che in un’ora si è comunque all’ospedale più vicino; dato corretto nel caso in cui hai un automobile a disposizione, ci sia il sole e non ci sono complicanze nel parto. Così si è creato un comitato delle alte Madonie che raggruppa singoli cittadini, attivisti, politici, madri e padri per lottare contra questa decisone assurda. Quando siamo entrati in contatto con loro tramite un’amicizia comune la lotta era in una fase di “stanca” così abbiamo proposto un patto: noi veniamo lì, dipingiamo ma voi vi dove attivare di nuovo e usare questo murales per rilanciare l’argomento. Forse la migliore forma di attivismo non è il proprio ma dare uno strumento che incentivi le comunità attive che vivono sul territorio tutti i giorni.

Collettivo FX, VORSICHT, ER HAT KEINE PAPIERE – ATTENTI NON HA I DOCUMENTI. Migrante su treno diretto in Germania.

I muri che scegliete sembrano parte integrante del messaggio: fabbriche abbandonate, ex caserme, case popolari. Che tipo di relazione si crea tra paesaggio, architettura e immagine?
Poche settimana fa eravamo insieme ad altri di fronte ad un grande muro bianco che si trovava in mezzo ad un panorama dove dominavano il Lago Maggiore da una parte e la Alpi dall’altra. Il proprietario avrebbe voluto raffigurare delle piante, della vegetazione. “Noi possiamo farle solo la brutta copia della natura, le piante, le pareti rocciose, i lago batteranno sempre un immagine dipinta su muro”. L’unica opzione che poteva reggere in quel contesto era una composizione astratta che si inseriva nel contesto. Tra contesto e intervento non c’è una vera e propria relazione, ma c’è uno che decide (il contesto) e uno che prova ad adattarsi (l’intervento). In questo però dobbiamo ancora migliorare: la lettura del contesto spesso ci sfugge ancora.

Collettivo FX, Albero d’Ulivo Masafer Yatta, 2025

Nei vostri lavori si avverte una volontà di recuperare memorie sommerse: delle lotte, dei luoghi, dei volti. Pensate che la street art possa agire come un contro-archivio popolare? Come vi relazionate con le memorie traumatiche o rimosse dei luoghi in cui intervenite?
Paolo Borsellino, una delle massime icone della giustizia e della legalità non ha ancora ricevuto giustizia. Sono passati trentatré anni e ci sono ancora processi in corso su come si svolsero quelle vicende. E la famiglia è ancora lì, in attesa di giustizia. Dopo trentatrè anni. Le memorie traumatiche sono la prima e più importante fonte di conoscenza che non hanno bisogno di essere né esaltate né consolate ma trattate come risorsa culturale. Poi capita, e non di rado, che chi ha subito un forte trauma non ha intenzione di parlarne oppure ha necessità personali e qui bisogna accettare il dolore e ritirarsi.

Collettivo FX, tappa 5,  Satriano (PZ), Madonna dell’Adesso in cielo in terra e sottorerra, in collaborazione con il Forum Ragazzi Satriano

Il muralismo può ancora essere un atto di sovversione o è diventato uno strumento istituzionale e commerciale? L’arte pubblica corre sempre il rischio di sostituirsi alla politica, oppure può solo amplificarne i silenzi?
Uno degli amici più stretti di Guttuso era Andreotti. La loro amicizia era basata sul disaccordo, sulle discussioni di fronte ad un caffè. Credo che oggi il maggior problema tra arte e istituzione è che Artisti e Politici non vanno più al bar a prendere un caffè e a discutere. E così che la politica pretende dalla cultura abbia le loro stesse idea e, viceversa che la cultura pretende che la politica abbia le loro stesse idee. Meno mostre, meno grandi eventi, e più cappuccini e brioche al bar di fianco al municipio.

Collettivo FX

Come gestite le tensioni tra il desiderio di attivare un dibattito politico e la necessità di rispetto e dialogo con le comunità?
Un paio di anni fa abbiamo lavorato con i ragazzi “messi alla prova” (periodo prima o sostituivo dal carcere minorile) insieme a delle mediatrici culturali. I ragazzi erano molto svegli, molto propensi alla discussione; le mediatrici anziché assecondarli, non dare valore alle loro provocazioni, sono andate dritte verso la discussione, verso il conflitto; quel disaccordo in realtà si è trasformata in fiducia e valore: la discussione era il modo migliore di considerare i ragazzi persone pensati, il chiedere e controbattere il modo migliore per dire che non erano d’accordo ma allo stesso tempo gli interessava la loro opinione. Il disaccordo è una della maggior forme di rispetto e di dialogo delle comunità.

Collettivo FX, Dietro ogni matta c’è un villaggio, 2015, Ciclon a Pesaro

Quando un’immagine diventa troppo leggibile, troppo “giusta”, troppo pedagogica… perde forza? È meglio un’opera opaca o una immediatamente comunicativa?
Quando dipingevamo regolarmente alle Reggiane (fabbrica dismessa con dentro un quartiere spontaneo che ospitava circa 150 persone) facevamo fatica ad entrare in contatto con la comunità Nigeriana così abbiamo dipinto il ritratto di Taribo West (ex-calciatore dell’inter attuale predicatore di una chiesa che ha fondato lui) creando l’esca perfetta per agganciare i nigeriani. Il lavoro didascalia, banale, può essere utile allo scopo. L’arte pubblica è sempre la somma tra opera e operazione. A volte l’opera artisticamente meno interessante e quella che può provocare l’operazione migliore, viceversa può capitare che l’opera migliore può provocare l’operazione peggiore (quartiere popolare, intervento calato dall’alto); può anche capitare che l’operazione migliore coincida con l’opera migliore.

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