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INTERVISTA DI ELENA BALDELLI

Officine dell’Immagine presenta l’ultimo progetto di Luca Cervini, Equilibri e Fratture, un titolo che esprime il contrapporsi di una labile stabilità e di un’inevitabile “rottura”, parti integranti del concetto generico di vita e, più intimamente, dell’esperienza operativa dell’artista…

Elena Baldelli: Quali aspetti del tuo “fare” artistico hai voluto sottolineare in Equilibri e Fratture?
Luca Cervini:
In Equilibri e Fratture percorro un viaggio introspettivo attraverso il dualismo tra questi due concetti principali. La chiave di lettura che mi ha portato, passo dopo passo, alla realizzazione delle opere in mostra fa perno sulla costante ricerca del senso che le figure che rappresento inseguono in un equilibrio interiore precario e illusoriamente stabile. In contrapposizione a questo vi è il tempo, limitato e inarrestabile, che spinge verso la morte dell’individuo, identificabile nella frattura. La frattura è il cambiamento, è la forza che distrugge l’essere per lasciare posto al non essere, al ricordo, in un ciclo forse infinito. È il dinamismo, ma anche la disillusione, il crollo del velo di maya, il dolore, l’inevitabile crepa che separa l’essere bambini dal mondo adulto. L’equilibrio e la frattura, nei loro molteplici aspetti, raccontano anche il mio modo di operare, dove nell’equilibrio cerco la mia arte, la soddisfazione creativa e la felicità temporanea in grado di avvicinarmi alla percezione del senso delle cose, mentre nella frattura vive la costante insoddisfazione e discrepanza tra il concetto puro e la realtà, insoddisfazione che spesso diviene, però, l’energia che alimenta il desiderio di insistere, investigare e continuare ancora il mio percorso creativo.

Da ogni singolo lavoro fuoriesce una tendenza al racconto; sono sempre presenti uno o più personaggi inseriti in una situazione. L’intento da cui proviene ogni lavoro nasce con la volontà di raccontare? E se tutto inizia davvero dalla necessità di narrare, da dove attingi le storie?
Il compito che un artista, a mio parere, dovrebbe avere, è proprio quello di raccontare. Attraverso il racconto ha la possibilità di mettere davanti agli occhi dello spettatore una situazione specifica che faccia da ponte tra le sue emozioni e quelle di chi osserva la sua opera. Attraverso le immagini c’è la possibilità di rendere reali dei concetti e delle sensazioni intangibili difficilmente esprimibili in altro modo. La vera forza del racconto è quella di rendere il pensiero, materia e quindi di renderlo “reale”, congelandolo e imprigionandolo in un’opera, per sempre. La mia ricerca è fatta di questo e di continue domande, ma non nasce con l’intento di raccontare delle vere e proprie storie, come solitamente intendiamo le storie classiche lette sui libri, ma piuttosto delle ampie metafore che guardano ad alcuni aspetti fondamentali della condizione e dell’identità umana in relazione allo scorrere del tempo, alla vita, e al termine di essa. Un invito a sospendere gli aspetti quotidiani abusati e ordinari, e tutti quei superficiali e caotici meccanismi della vita contemporanea, per riflettere su quelle domande spesso troppo fragili e silenziose per essere toccate e percepite. Perché se queste mie opere potessero parlare, ciò che si udirebbe sarebbe probabilmente il silenzio.

Oggetti simbolici, animali totemici, contaminazioni tra figura umana e frammenti di legno, stoffa, carta… sono gli abitanti dei tuoi mondi “surreali”. Chi sono? Di opera in opera, mantengono delle “costanti caratteriali”?
L’uso dei simboli è un escamotage che mi permette di costruire le metafore delle quali ho necessariamente bisogno per comunicare. Senza di esse un libro sarebbe soltanto un libro, un gabbiano un gabbiano e un uomo con gli arti di legno soltanto un uomo con gli arti di legno che incute paura o ribrezzo. Invece il corpo che trasmuta in carta ingiallita, il corpo tagliato, rotto, che sta insieme grazie a delle vecchie corde, o le bende sugli occhi e le maschere dal muso di uccello fanno tutte parte di un’importante corazza irremovibile che rappresenta gli aspetti psicologici delle figure in scena. Figure che sono come noi, figure che siamo noi, con le nostre paure, i nostri desideri, messi in luce con la nostra inevitabile vecchiaia ed esperienza. Noi siamo un involucro deteriorabile e plasmabile che riveste il pensiero. Ogni elemento in scena è dunque un elemento narrante. La costante caratteriale di questi elementi esiste ed è parte di un percorso coerente e naturale, che negli anni si sta evolvendo così come si evolve il mio modo di pensare. In Equilibri e Fratture, dove la fragilità dell’esistenza è il punto cardine di tutta la mia produzione, ho fotografato un’enorme quantità di legni marci e rotti, associandoli agli uomini, integrandoli con essi in strane metamorfosi, per raccontare il loro divenire e per esprimere tutta la fragilità e la forza delle idee alle quali essi sono in grado di dar vita.

Personalmente, ad un primo impatto, ho collegato il tuo lavoro ad un mezzo “artigianale”: la pittura. In realtà attingi dal digitale e dalle possibilità illimitate di manipolazione dell’immagine. Potresti parlarci delle fasi di progettazione di un’opera. Da dove inizi e come finisci?
Tralasciando come nasce un’idea, che può essere frutto di una particolare visione o il parto di un tortuoso ragionamento o stato d’animo, la realizzazione di un’opera è un lungo confronto con me stesso. Come giustamente scrivi, il digitale ha possibilità illimitate. Aggiungo che è così, proprio come illimitate sono le possibilità dell’immaginazione. Attraverso il digitale sono realmente libero da ogni vincolo. Non mi importa di dipingere bene secondo alcuna tecnica o regola o non regola, perché non sono un pittore, e non mi importa di fotografare bene, perché non mi sento un fotografo. Al contempo però, ho la possibilità di avere l’impeto emotivo della pittura e la costante razionale della fotografia. Nello specifico la fotografia è per me un mero strumento, così come lo è il computer, che mi permette di catturare elementi dalla realtà quotidiana, per frantumarla, analizzarla e ricomporla secondo il mio volere. Esattamente come facciamo noi interpretando la vita secondo le nostre esperienze e il nostro carattere. Una volta raccolti quindi gli elementi fotografici utili a rappresentare ciò che ho in mente, il passaggio successivo è proprio quello di costruire l’opera assemblandone i pezzi in digitale, come in un moderno collage.
Questo procedimento è però spesso frustrante e doloroso. Lo vedo come uno scontro violento che non ha nulla a che vedere con il grande piacere che provo nel momento in cui ho una nuova idea o sento quel desiderio di concepire un’opera nuova in seguito a un particolare stato d’animo. Realizzare un’opera significa affrontare la paura di disattendere le mie stesse aspettative, perché so che i mezzi reali contamineranno inevitabilmente l’idea iniziale.

Ci sono correnti artistiche o artisti ai quali ti senti particolarmente legato? Chi osservi della storia dell’arte? E dei tuoi contemporanei?
Non mi sento per nulla mondano, non sto attento alle mode del momento, non seguo spesso ciò che la contemporaneità mi offre, salvo i casi in cui leggo qualche rivista di settore o sfoglio i cataloghi degli artisti che ammiro o che ho il piacere di conoscere. Talvolta mi capita di ricordare solo l’impressione positiva o negativa che un’opera mi ha lasciato, dimenticando però quasi subito il nome dell’artista che l’ha realizzata. Potrei quindi sforzarmi di fare un elenco di artisti che osservo, ma risulterebbe solo una fila di nomi e cognomi in corsivo e non offrirebbe nulla di più a questa intervista. Perché non è solo nell’elenco di artisti che apprezzo che trovo la voglia di creare, quanto nelle affinità tra il mio modo di vedere le cose e il loro, leggerli e immaginare il loro carattere, la loro energia, il loro desiderio di mostrare e di mostrarsi per comunicare qualcosa. Trovo più importante dire che dentro questo ipotetico elenco ci sono delle persone, uomini e donne, appartenenti a diverse correnti artistiche, abili con diversi mezzi espressivi quali il video, la fotografia, la pittura, la scrittura, la musica e il fumetto. Mi sento legato e coinvolto da queste persone nel momento in cui il loro lavoro è contenitore di un messaggio sincero, impattante e interessante, oppure soffrono per la loro ricerca e vogliono condividere con gli altri il frutto della loro arte (o malattia!).

Progetti futuri?
Durante la preparazione di questa mostra ho annotato nuovi concetti e steso dei bozzetti che mi interessa sviluppare in futuro. Tra questi vi sarà un’opera di grandi dimensioni che prevede un lavoro decisamente lungo e molto curato. Inoltre, conto di potermi dedicare maggiormente alla sperimentazione e alla contaminazione fotografica tra diverse tecniche visive, in primis il video, con la realizzazione di cortometraggi.

La mostra in breve:
Luca Cervini. Equilibri e Fratture
a cura di Alberto Mattia Martini
Officine dell’Immagine
Via Atto Vannucci 13, Milano
Info: +39 0331 898608
www.officinedellimmagine.it
Inaugurazione giovedì 12 maggio, ore 18.30
12 maggio – 26 giugno 2011

In alto:
“Quel Che Rimane (Seconda Dissoluzione Temporale)”, 2010, fotografia digitale, stampa fine art giclée su alluminio, cm 55×120 | cm 46×100 |cm 35×76
In centro:
“Ombre”, 2011, fotografia digitale, stampa fine art giclée su alluminio, cm 60×120 | cm 50×100 | cm 45×90
In basso:
“La Torre e il Vento” (trittico), fotografia digitale, stampa fine art giclée su alluminio, cad. cm 110×78 | cm 90×64 | cm 70×50

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