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ROMA | FONDAZIONE FILIBERTO E BIANCA MENNA | FINO AL 15 GIUGNO 2024

di Matteo Di Cintio

Parlare della splendida mostra del pittore Florin Ştefan dal titolo Eretica e retorica, a cura di Antonello Tolve e allestita presso il piccolo e accogliente spazio romano della Fondazione Filiberto e Bianca Menna non può prescindere da un vissuto personale che ho sperimentato proprio lì, durante il vernissage, e che ha inciso così tanto sulla mia visione delle opere da marchiarne la mia lettura e il mio trasporto verso di esse. Quindi, lettori, vi chiederò un po’ di pazienza: c’è bisogno di doppio giro da fare, che da un’emozione schiettamente intima passa al linguaggio del pittore, per estrapolare da quest’ultimo un nocciolo riflessivo, che rasenta un pathos, un desiderio chiaroscurale, piuttosto che la codificazione di un messaggio estetico. Ho guardato le opere con un’attenzione fluttuante, direbbe Freud: ero distratto da una presenza che sembrava danzare attorno a me e alle opere di Ştefan. La sagoma di una ragazza: non una qualsiasi ma la ragazza che amo. La relazione è finita, ma il sentimento dura. Capita di vederci, forse per chiederci senza parlare che cosa dobbiamo farne di questo resto. Ogni volta che ci vediamo sappiamo, in cuor nostro, che potrebbe essere l’ultima. Come può convivere il lasciar andare con il perdurare? A questa aporia l’opera di Ştefan non sa parlare se non attraverso la forza di un gesto pittorico, una forza che è più una carezza che lambisce le figurazioni del ricordo, della memoria.

Florin Ştefan, Eretica e Retorica, 2025, exhibition view, Fondazione Filiberto e Bianca Menna, Roma. Photo Andrea Chemelli.

Come afferma Antonello Tolve, i momenti di vita che l’artista coglie e ferma fotograficamente con la sua pittura sono «risistemati mediante esercizi di riflessione che trasformano la tela in un’arena dove luoghi o figure del passato ritornano affievoliti, rigenerati in un rapporto di vicinanza e lontananza». Proprio la dicotomia fra vicinanza e lontananza ci dice qualcosa della scelta del titolo della mostra: nelle dinamiche dell’amore si rincorrono legami e dislegami, cuore e mente, e anche quando l’amore è lontano, ereticamente ritorna, quasi a voler essere taglio nella ri-significazione della realtà messa in moto da chi l’amore lo ha perso, in quel faccendio “retorico” spesso che ci permette di ricostruire il mondo. L’amore divide, non unisce, avrebbe detto saggiamente lo scrittore Philip Roth. Le opere di Ştefan non ci parlano che di questo: sono il taglio della memoria nella contingenza del presente. E allora per essere ciò, per ardimentare la forza del ritorno, le figure rappresentate dal pittore di origine albanese paradossalmente si opacizzano. Nei colori prima di tutto: in queste opere, realizzate tra il 2024 e i primi mesi del 2025, una tavolozza dai pigmenti spettrali e nebulosi corporizzano l’intensità dell’attimo. Ştefan incespica nella fotografia del ricordo e la restituisce per com’è: vivida nella sua opacità, tensiva nelle sue fantasmatiche rimembranze. Ad esempio, un nudo di donna che guarda a lato, verso quella che potrebbe essere una porta socchiusa. Il letto è sfatto. Si potrebbe pensare che l’espressione imbarazzata e l’alone di intimità che la caratterizza, siano dovuti ad un amplesso avvenuto, al risveglio di un amore incarnato. Nel periglioso dark continent della nudità femminile Ştefan rintraccia e trama l’intessitura del proprio lavorio artistico: il femminile è in stato abbandonico, preso da un godimento sconfinato, assoluto, che si lascia intuire ma non si lascia completamente parlare – questo ci riporta ad una sorta di mascheramento prodotto dall’artista sui soggetti riprodotti, soggetti che mancano di una nettezza dello sguardo (si prenda ad esempio l’opera Ophelies, che rimanda ad una versione oscura dell’Ofelia di Millais).

Florin Ştefan, Ophelies, 2021, oil on canvas, 180×130 cm. Courtesy l’artista. ph. Andrea Chemelli.

E forse è qui che la memoria trova la sua funzione: fa da schermo, rasenta il muro immaginario (a-mour direbbe Lacan) che distanzia e al contempo permette l’approssimarsi della differenza assoluta dei due sessi. Al centro della vertigine della memoria vi è sempre un corpo, anche quando nell’opera è assente la sua rappresentazione. L’opera, ad esempio, che fotografa una casa e l’ingresso di un piccolo vicoletto, in realtà dice più di quanto manifesta: cattura lo sguardo-corpo dell’artista che si posa, nella realtà o col pensiero, di fronte alla visione dell’ambiente; le velature ombratili del cromatismo, seppur nella fumosità, addensano una presenza fantasmatica che si configura primariamente come corpo, gesto incarnato, espressione solitaria di un’emozione che passa attraverso il bulbo oculare e si staglia lì, nel momento della fruizione dell’immagine. Riduco l’attenzione e flutto di nuovo con lo sguardo: osservo che la danza dell’amata si conclude di fronte all’opera. Mi affianco a lei, le sfioro la mano con finta svogliatezza, come a volerle sussurrare con un timido gesto che forse no, non è finita fra noi. Sembriamo una delle tante coppie di uomini e donne rappresentate nel quadro Suspensions (Réflexions sur le judgement dernier), intente a (dis)orientarsi nella beatitudine cerulea di un cielo. Forse, per Ştefan, l’amore è una sorta di grazia o, per dirla in termini psicoanalitici, ciò che supplisce l’inesistenza del rapporto sessuale. Le nudità esposte ci indicano che sì, vi possono essere liaison sessuali, ma non si riesce a fare mai uno nel godimento fra uomo e donna. E allora è qui che subentra il ricordo dell’amore, quando si riesce a sostare insieme, ancora una volta, nel vuoto.

Florin Ştefan, Réflexions sur le jugement dernier #2, 2021, oil on canvas, 40x60cm. Courtesy l’artista. ph. Andrea Chemelli.

Florin Ştefan. Eretica e retorica
a cura di Antonello Tolve

5 aprile – 15 giugno 2025
opening sabato 5 aprile 2025, ore 17:00

Fondazione Filiberto e Bianca Menna
Via dei Monti di Pietralata 16, Roma

Orari di apertura: dal lunedì al giovedì, ore 10:00-13:00 (o su appuntamento)

Info: +39 089 254707
+39 340 1608136
www.fondazionemenna.it

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