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ROMA | Galleria Gilda Lavia | 5 maggio – 5 luglio 2025

di GIORGIA BASILI

Chi sono Le Mangiatrici di Terra? Militanti, artiste, creative, intellettuali che hanno deciso di non abbandonare il Sud ma anzi di partire dal punto cardinale per abbracciarne la simbologia, la forza della terra che tanto dona quanto toglie, che sfama e allo stesso tempo divora.
L’esposizione parte dai concetti di pesantezza e leggerezza, riflette sulla fragilità, attraverso una narrazione positiva: i modelli di vita, le storie e le biografie di alcune figure esemplari nella loro singolarità, donne “comuni” ma allo stesso tempo accomunate da un desiderio essenziale: far rispettare i propri diritti, far contare la propria voce.

La mostra, in corso fino al 5 luglio nella Galleria Gilda Lavia, si focalizza sulla soggettività queer, celebrando le piccole rivoluzioni quotidiane, la forza che si rivela negli atti di resistenza. Non machismo dunque ma spinta tenace e coesa sotto l’insegna della libertà, del diritto di vita e di morte, di espressione e pensiero, alla presa di posizione, netta o cangiante che sia, alla fluidità di genere e all’autodeterminazione.
Vengono così ritratte, in scatti in bianco e nero molto scuri, alcune protagoniste di atti di resistenza… di primo acchito, potrebbe sembrare che la loro bocca sia coperta, “tappata” da una museruola, invece è l’esatto contrario! Dalle labbra si dipana una fresa meccanica, uno strumento agricolo tipico delle regioni del sud. Serve per sminuzzare e rendere più soffice il terreno e quindi più fertile. Le figure ritratte mangerebbero quindi la terra o la masticherebbero per renderla più accogliente e fertile, grazie alla semina di idee e ideali. Le frese diventano così amplificatori, casse di risonanza per chi è stato spesso messo a tacere da un sistema ingiusto, socialmente disparitario.

Pamela Diamante. Le Mangiatrici di Terra, veduta della mostra, courtesy Galleria Gilda Lavia. Ph. Giorgio Benni

Si parte da Nina, performer giovanissima, che ha deciso di non recidere le radici con il luogo in cui è nata e di restare al Sud, presidiando e curando il territorio tramite l’arte. Ha scelto consapevolmente, di conseguenza, anche di accogliere ciò che tale scelta implica: la marginalità e la lontananza da centri culturali più vivaci e all’avanguardia.

Marzia, mamma proveniente dalla Terra dei Fuochi, ha perso il figlio dodicenne per un tumore al cervello molto raro, causato dall’inquinamento. Ha raccolto molte firme grazie al suo attivismo: in una recente sentenza, la Corte Europea dei Diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato l’Italia chiedendo la pronta bonifica della Terra dei Fuochi. Marzia è diventata uno dei simboli di questo percorso di rigenerazione e ha fondato un’associazione di mamme che, a loro volta, hanno perso dei figli. Saranno loro le sentinelle di questa bonifica, contro la Camorra e l’insolvenza dello Stato.

Marianna, ricercatrice e regista femminista, dedica invece il suo attivismo al tema dell’aborto. Ha realizzato un documentario di denuncia, intitolato Sister, in cui analizza la condizione di accesso all’interruzione volontaria del parto in Italia, Polonia e Malta. Sull’isola di Malta l’aborto è ancora illegale, sottolineando come diritti, che diamo per scontati, siano invece traguardi da difendere con le unghie.

Nicole è la vicepresidente del Trans Identity Movement e ha vissuto la propria adolescenza in un piccolo paesino in cui era l’unica persona transessuale. Porpora Marcasciano, che ha preceduto Nicole De Leo come Presidente del MIT, è stata candidata nel 2025 al Nobel per la Pace anche grazie all’attivismo collettivo del gruppo che ha sede a Bologna.

Pamela Diamante. Le Mangiatrici di Terra, veduta della mostra, courtesy Galleria Gilda Lavia. Ph. Giorgio Benni

Una delle Mangiatrici di Terra è Tita Tummillo, compagna dell’artista, poetessa e attivista per la comunità LGBTQIA+: da dieci anni dirige il BIG!, Bari International Gender Festival, ora diventato uno dei festival più importanti d’Italia dal punto di vista performativo, paragonabile allo Short Theatre. Svolge, infatti, un ruolo essenziale, o meglio sposa una missione: portare la cultura e l’arte contemporanea al Sud, in Puglia esiste, attualmente, un solo museo d’arte contemporanea, a Polignano a Mare, dedicato a Pino Pascali.

Untitled (ceramica e ferro) è un autoritratto: la scarpa in ceramica è stata realizzata basandosi sulle dimensioni del piede dell’artista. La calzatura è sorretta da elementi aeratori agricoli che rimandano a un’agricoltura di tipo tradizionale in cui si usano scarpe di cuoio – ora obsolete e sostituite da macchinari industriali – per dare aria al terreno. Pamela le ha ingrandite in modo tale da rappresentare il concetto di precarietà ed equilibrio instabile.
L’installazione, intitolata Corpi in rivoluzione, è composta da 300 elementi in ceramica. Le zappette formano un “corpo di ballo” che si muove all’unisono, in una coreografia coordinata. L’installazione rappresenta le soggettività subalterne, i corpi non canonici che contengono e agitano piccole-grandi rivoluzioni.

Pamela Dimante, “Le Mangiatrici di Terra”, 2025. Fresa meccanica in ferro e acciaio e stampa su carta cotone montata su dibond, cm 96,5 × 73,5 × 5,5. Courtesy l’artista e Galleria Gilda Lavia. Ph. Giorgio Benni

Diamante interroga anche la moda, in quanto piattaforma espressiva (di cambiamento ma anche di stagnazione) che usa il corpo come strumento politico. Così l’artista concepisce una scultura in collaborazione con la stilista Antonella, specializzata in abiti genderless. Parte dall’idea di panier, che ha rappresentato per decenni l’idea di costrizione del corpo femminile, e la ribalta: arma l’ossatura della “gabbia” con punte acuminate, come fossero spine, rovi nascosti in un cespuglio di rose. La struttura diventa, idealmente, uno strumento di lotta contro la violenza di genere e i femminicidi, un’arma di difesa. L’intervento sonoro che accompagna Ferro fragile ribadisce quest’idea. In un brano diffuso nella sala, la voce lirica di Anna Maria viene attraversata e manipolata dal lavoro di Puta Caso, compositrice sarda di musica tecno. La soprano intona dei passi dalla Carmen, primo melodramma in cui viene rappresentato un femminicidio; la compositrice tecno “disturba” e distrugge la perfezione canora alimentando una riflessione: cosa attira l’attenzione delle persone, cosa le disturba suscitando la loro indignazione?

Pamela Diamante, “Ferro fragile”, 2025. Ferro e alluminio, cm 99 × 145 × 146. Courtesy l’artista e Galleria Gilda Lavia. Ph. Giorgio Benni

Pamela Diamante ha alle spalle un percorso sui generis: per trovare la sua indipendenza da casa si è dedicata alla carriera militare dai 17 ai 22 anni, congedandosi con il grado di Caporal Maggiore. Si è iscritta a 23 anni all’Accademia di Belle Arti di Bari, laureandosi in Scultura nel 2016. Importante per lei, a livello professionale, l’incontro con Giacomo Zaza, figlio di Michele Zaza, che dal 2003 gestisce il Torrione Passari per l’arte contemporanea di Molfetta.
Ricordiamo, tra le altre opere, il video Generare Corpi Celesti – Esercizi di stile, visione distopica in cui la volta stellata viene utilizzata dai grandi brand per farsi pubblicità in una sorta di corsa al dominio del cielo e il Senza Titolo del 2019 che unisce una pietra informe leccese con l’immagine della Menade di Scopas, tracciando un’affinità, a distanza di secoli, tra le Baccanti e le Tarantate.

Pamela Diamante, “La Questione Meridionale”, 2025. Carta, ceramica e ferro, cm 300 × 30. Courtesy l’artista e Galleria Gilda Lavia. Ph. Giorgio Benni


Pamela Diamante. Le Mangiatrici di Terra
testi Giuliana Schiavone – Claudia Attimonelli

5 maggio – 5 luglio 2025

Galleria Gilda Lavia
Via dei Reti, 29/c Roma

Info: +39 06 5803788
info@gildalavia.com
https://www.gildalavia.com/

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