ROMA | FONDAZIONE PASTIFICIO CERERE | FINO AL 29 MARZO 2025
di MIRIAM DI FRANCESCO
Sin dalle scuole primarie, quando l’insegnante interrogava l’alunno sulle lezioni precedenti, capitava spesso che il malcapitato ricevesse una ramanzina per aver usato la parola cosa per riferirsi a un concetto letterario, a un problema matematico o a un evento storico. L’indistinto, quella cosa vaga, appunto, era motivo di detestabilità nonché di innominabilità.
La promessa del vuoto di Giovanni Termini, a cura di Simone Ciglia, nella Fondazione Pastificio Cerere di Roma, dal 31 gennaio al 29 marzo, narra quelle cose. E, con un certo sorriso durante il percorso espositivo, riaffiorano i ricordi di un senso comune che aspira a chiamare le cose con il “proprio nome”. Giovanni Termini, invece, quelle definizioni le sente strette al punto da sovvertirle conferendo nuova forma e sostanza alle cose. L’artista svolge, così, un lavorìo ai fianchi dello spettatore pungolando sull’incerto con una promessa del vuoto, la sola in grado di mantenere, prendendosi gioco di tutto ciò che lo circonda in una costante sfida sulle cose del mondo.

Giovanni Termini, La disciplina delle Eccezioni, 2025, maniglia antipanico e legno, dimensioni variabili. Installation view LA PROMESSA DEL VUOTO, Fondazione Pastificio Cerere 2025. Courtesy Fondazione Pastificio Cerere. Ph: Carlo Romano.
Ma quali sono quelle cose cui si riferisce Termini? Sul significato della parola cosa ci viene in soccorso il Dizionario italiano Zingarelli: “Parte, aspetto della realtà, materiale o ideale, concreta o astratta”. Sembrerebbe, dunque, come accadeva per l’alunno irriverente dei miei ricordi che la cosa sia effettivamente tutto. C’è un aspetto ulteriore della parola cosa, dal latino causa e stessa origine del francese chose: nel suo senso originario (dall’inglese thing e dal tedesco ding) essa significherebbe un’assemblea e una riunione di persone. Ed è in questa intercapedine semantica che si insinua il discorso sulle cose sotto forma di relazione dell’artista. Termini stringe un patto con lo spettatore nel vano d’ingresso del Pastificio, luogo caro all’artista, su una porta che accede sul nulla di una parete bianca, e che quindi porta non è, inframmezzata da un foglio di legno ripiegato. Maniglione, legno e parete, tre cose che dicono di una relazione tra, nella prima dichiarazione dell’artista.

Giovanni Termini, installation view LA PROMESSA DEL VUOTO, Fondazione Pastificio Cerere 2025. Courtesy Fondazione Pastificio Cerere. Credits: Carlo Romano.
La sala principale della Fondazione accoglie l’installazione site-specific più estesa e significativa in mostra che introduce un aspetto peculiare della pratica dell’artista: il fine vita degli oggetti. Sette comuni frullatori sono collocati su di un palco in ferro zincato e messi in funzione contemporaneamente in intervalli di tempo irregolari. Qui, Termini fa propria la differenza tra oggetto e cosa come illustra Ciglia nel testo che accompagna la mostra: “Delineando quella che è stata codificata come Thing Theory (Teoria delle cose) al principio degli anni 2000, Bill Brown prendeva le mosse dalla distinzione heideggeriana fra oggetto e cosa: se il primo è legato al dominio della funzionalità, la seconda si genera dalla trasformazione dell’oggetto quando cessa la sua funzione”. La scultura di Giovanni Termini si appropria degli oggetti della realtà, li manomette e infonde loro un “vitalismo materialistico”.

Giovanni Termini, La promessa del vuoto, 2025, palco in ferro zincato e frullatori, dimensioni variabili. Installation view LA PROMESSA DEL VUOTO, Fondazione Pastificio Cerere 2025. Courtesy Fondazione Pastificio Cerere. Ph: Carlo Romano.
Si prosegue lungo il percorso espositivo con l’opera video Imperfect time (2017) che indugia nuovamente sul movimento, ripetuto e costante, di un telaio industriale sul quale si avvolgono fili in pvc di diversi colori. Non è di certo un caso la scelta di catturare un processo industriale non solo per l’attenzione dell’artista nei confronti dei processi produttivi umani che lo collegano alla scultura, ma soprattutto per la sua storia personale per tanti anni dedicata al lavoro. L’ultima opera in mostra, Ipotesi (2018), è una mutazione di una sdraio da spiaggia che, pur conservando i materiali originali, cambia di colore. Il titolo della scultura riafferma il dubbio costante, la sperimentazione, il gioco, soprattutto rivolge lo sguardo al consumismo, al turismo di massa, così come ad un orizzonte nostalgico.

Giovanni Termini, Installation view LA PROMESSA DEL VUOTO, Fondazione Pastificio Cerere 2025. Courtesy Fondazione Pastificio Cerere. Ph: Carlo Romano.
L’interesse dell’artista per le cose passa dalla rianimazione della carica di obsolescenza che hanno immagazzinato, insieme agli incontri accumulati nel corso della loro storia. Giovanni Termini promette un vuoto pieno di quelle cose che sono passate per la sua vita, tra le mani di altre vite; interviene sulle cose per accrescere la loro l’umanità intrinseca, un po’ come accadeva all’alunno che di frequente utilizzava la parola cosa per afferrarla in attesa di ricevere il mondo.
Giovanni Termini
LA PROMESSA DEL VUOTO
a cura di Simone Ciglia
31 gennaio – 29 marzo 2025
Fondazione Pastificio Cerere
Via degli Ausoni 7, Roma
Orari: dal martedì al sabato, dalle ore 15:00 alle ore 19:00. Lunedì su appuntamento.
Info: Tel. +39 06 45422960
info@pastificiocerere.it
www.pastificiocerere.it