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Intervista a ILARIA MARGUTTI di Livia Savorelli

La storia che ci apprestiamo a raccontare – intessuta di parole che si susseguono e si tramutano in trame, narrazioni che si compongono attraverso il nobile atto del ricamo – parte da un’opera di Ilaria Margutti, Togliere le parole di mano, un ricamo a mano su un rotolo di tela di 8 mt di lunghezza e 70 di larghezza, esposto lo scorso anno a Villa Nobel a Sanremo in occasione di Arteam Cup 2019, che gli è valso tra gli altri il Premio Speciale Falía* Artists in Residence. Ed è proprio l’inizio – pochi giorni fa – di questa residenza e la permanenza dell’artista a Lozio (BS), in Val Camonica, il pretesto di questa intervista che nasce e si chiude, in un ideale cerchio con quest’opera, che si impreziosisce di nuove narrazioni, intriste di storie e memorie del luogo raccontate dai suoi abitanti, che Ilaria riporta pazientemente sulla tela, in vere e proprie sessioni performative. Ma la parola è anche il filo di altri progetti, nati in quarantena, da cui partiamo per questo nostro dialogo…

Ilaria Margutti, HÖ ‘L FÌL DÈ UH (Sul filo di voce), Falía Artists In Residence 2020. Foto di Lidia Bianchi

La pandemia e l’isolamento conseguito al lockdown hanno messo in discussione il tuo centro come donna e come artista. Dopo il primo smarrimento, hai cercato di colmare il vuoto determinato dalla mancanza del contatto fisico e dell’incontro con gli altri ideando un progetto che, attraverso  la parola e la prediletta tecnica del ricamo,  ricostituisse il corpo mancante. Raccontaci come è nato il progetto, per quanto tempo si è sviluppato e come hai tradotto la parola, divenuta poesia da te stessa creata, in fare artistico…
È un lavoro nato durante il tempo della quarantena per una esigenza personale di mettermi in ascolto del momento che stavo vivendo. Nella necessità di nutrire la connessione interrotta tra me e l’altro, ho iniziato a ricamare poesie, concentrandomi sul gesto che crea il ritmo, sul filo che lega nel silenzio le parole e sull’ago, che attraversa la tela del tempo nell’intreccio di eventi invisibili. Avevo bisogno di incontrarmi con un nuovo ritmo, ripulire il pensiero, distaccarmi dalla confusione dei bollettini ma, allo stesso modo, vivere intensamente dentro a questa eccezionale condizione di assoluta solitudine e distanziamento fisico.

Ilaria Margutti, Parole compiute sulla punta dell’ago, Il corpo mancante, dettaglio, installazione presso CasermArcheologica
Sansepolcro (AR)

Seguendo il corso delle giornate e senza pormi domande, ho scelto alcune poesie da ricamare di Antonella Anedda, in particolare da Salva con nome, quando una frase ha interrotto il ritmo intrapreso del gesto, Ricorda quanta tenacia c’è voluta a decifrare la mappa dentro le parole.
Nella distanza forzata, fatta soprattutto di messaggi scritti o videochiamate spesso senza volto, era il corpo mancante l’elemento con il quale stavo dialogando.
Sguardi, gesti, odori e vicinanza, sono stati sostituiti da fiumi di parole con spessori tangibili intrisi di significati e, come nuovi codici segreti, si sono fatti mappa complessa di percorsi intrecciati da ri/esplorare e ri/decifrare.
Ogni parola è così diventata un territorio sconosciuto e vasto che poteva aprire l’immaginazione verso luoghi sconfinati, attraversati da corpi solitari.
Ho ricamato 4 poesie di Anedda, per tenere in vita il ritmo del rito che stavo cercando di riconquistare, ma quella frase mi chiedeva ben altro di una semplice trascrizione ricamata. Così ho voluto creare una tensione dentro al mio gesto perpetuo, sforzare il pensiero per dare una direzione al mio fare. Ho chiesto a 16 amici, con i quali mi sono ritrovata più spesso a confrontarmi, di inviarmi una parola a loro scelta, per darmi le coordinate di partenza per il mio primo viaggio dentro la scrittura.
Le parole mi hanno rapita e si sono incastonate dentro alle mie poesie.
Mano mano che scrivevo e correggevo, una ad una, le ho tutte ricamate su piccoli lembi di stoffa sottile, quasi trasparente, lungo un tempo non misurabile, in quanto mi sentivo preda del ritmo dato dalla disciplina.
Volevo entrare in quelle mappe come se veramente stessi esplorando un nuovo territorio, fatto di me e dell’altro, in una sorta di dialogo invisibile e nell’ascolto silenzioso di ciò che quelle stesse parole mi stavano raccontando, di loro ma anche di me.
Il lavoro è durato due mesi, dal 4 aprile al 31 maggio, scandito nel denso tempo “pandemico” di scrittura, ricamo e ascolto.

Ilaria Margutti, Parole compiute sulla punta dell’ago, Il corpo mancante, dettaglio dell’installazione presso CasermArcheologica
Sansepolcro (AR)

Ho lasciato che fosse proprio “la mappa dentro le loro parole”, a condurmi fino a qui, senza forzare nulla, se non le mani operose e la schiena china sul telaio.
Alla fine ho ricamato 17 poesie mie, 4 di Antonella Anedda e 4 di amici che hanno voluto rispondere alla chiamata in modo più partecipativo (di cui solo due ne ho ricamato il testo) per un totale di 24 pezzi di 30×70 cm l’uno, poi montati su telai sottili, in modo che ogni fazzoletto potesse mantenere la propria natura leggera, mostrando di sé anche il retro del ricamo, come fosse una mappa nella mappa, nell’infinito decifrare.

Parliamo dell’Alfabeto Pandemico, progetto ideato da Lo Stato dei Luoghi, rete nazionale di Rigenerazione Urbana a cui Casermarcheologica appartiene, ufficialmente costituitasi proprio all’inizio del mese di luglio… Il punto di partenza era donare una parola che, dopo essere usciti dall’emergenza sanitaria, sarebbe stata una presa di coscienza dal quale avviare la ripartenza. Come sono collegati i due progetti? Che mappatura lessicale è originata dall’Alfabeto Pandemico?
L’alfabeto Pandemico è nato per l’esigenza di trovare parole che definiscano i metri che ci dividono, che ci raccontino dello ‘stato dei metri’, ma che sappiano guardare oltre e, attraverso un diario collettivo, immaginare una nuova ‘normalità’.
Ognuna di esse ha un significato ma potrebbe acquisirne un altro.
Avere le parole, dopo, significa avere nuovi strumenti di lettura del reale, nuovi immaginari e nuove azioni. Serve a non dimenticare l’effervescenza di pensiero di quei giorni, a non perdere le intuizioni, le visioni, a tenerle strette ed essere pronti ad affermare posizioni radicali.
Serve a non tornare indietro senza cambiare.
È una esigenza di pensare collettivamente. Di prefigurare scenari aperti. Di abbattere i confini delle piccole patrie, delle piccole reti, per disegnare una costellazione di domande che ci guidino quando sarà il momento di costruire risposte e nessuno di noi basterà. (tratto dalla pagina del sito www.lostatodeiluoghi.it)
Quando Emmanuele Curti e Ilda Curti, hanno ideato il progetto de L’Alfabeto Pandemico da inserire nel percorso di costituzione della rete de Lo stato dei Luoghi, tutti noi abbiamo pensato di alimentare e sostenere il progetto di ri-scrittura delle parole lungo il tempo della quarantena, in un lavoro corale che ci ha unito ancora di più, proprio durante un frangente in cui era impossibile stare vicini.
Una vicinanza fatta di parole per riscrivere significati e direzioni, per tracciare altre mappe.
È stato proprio questo che mi ha fatto capire che con il mio lavoro di artista, ma anche come insegnante e anima di Casermarcheologica assieme a Laura Caruso, stavo già seguendo ciò che era nell’intenzione di Alfabeto, ovvero guardare con occhi diversi tutto ciò che pensiamo di conoscere, che diamo per scontato e abbiamo smesso di guardare.

Ilaria Margutti, Parole compiute sulla punta dell’ago, Il corpo mancante, installazione presso CasermArcheologica, Sansepolcro (AR)

Se io e Laura non avessimo guardato Palazzo Muglioni, ora Casermarcheologica, con gli occhi della visione utopica che ci ha mosso, oggi tutto ciò che Caserma sta generando, non esisterebbe.
Ci sentiamo parte di un lavoro corale fatto di cura e di ascolto, di attenzione per i dettagli che sfuggono e soprattutto siamo legate da un obiettivo comune che vuole partire da ciò che c’è per restituire un presente a ciò che ci manca.
Per questo è importante stare vicini, prendersi cura delle cose che ci circondano, delle persone, degli amici, di ciò che ci somiglia, delle parole, che sono state l’unico mezzo di comunicazione sotto il periodo della quarantena e che hanno permesso ai fondatori della rete, di creare quella visione ora concretizzatasi.
Ho sempre usato la scrittura nel mio lavoro, ma stavolta era diverso, tutto era eccezionale, stra-ordinario e non potevo lasciare che questo tempo pandemico, mi lasciasse la stessa persona che aveva trovato.
Non si può crescere senza confrontarsi con ciò che ci è estraneo e ci intimorisce, con ciò che è diverso da sé, e non si possono superare i tempi storti se non si impara a diventare vasti.
Per me ricamare, stare con Laura a Casermarcheologica e insegnare, sono esercizi di vastità, prove di rigenerazione quotidiana e so che anche i soci fondatori della rete Lo stato dei Luoghi hanno gli stessi intenti che ci proponiamo noi: fare e donare una esperienza di vastità.

Ilaria Margutti, HÖ ‘L FÌL DÈ UH (Sul filo di voce), Falía Artists In Residence 2020. Foto di Maura Vangelisti

In questo momento, ti trovi a Lozio nella Val Camonica per la residenza, vinta in occasione di Arteam Cup 2019, Falía Artists In Residence. Come il tuo progetto si sviluppa e lega alle specificità della residenza che mira a creare connessioni tra arte, cultura e territorio?
Sono a Lozio da circa una settimana e il lavoro ha già preso la sua forma, anche se ho appena iniziato ad ordinare i materiali raccolti.
Rimanendo fedele alla ricerca artistica nata sotto il periodo della quarantena, assieme ad Alice Vangelisti, curatrice del progetto Falía Artists in Residence, abbiamo condiviso l’idea di continuare ad animare di storie il mio lenzuolo fatto di scrittura ricamata, che avevo appunto esposto per la mostra conclusiva del premio Arteam Cup a Villa Nobel a Sanremo.
Volevo essere coerente anche alla scelta di Alice, per questo ho pensato che il territorio di Lozio e i suoi abitanti potessero essere non solo un’occasione per continuare la scrittura ricamata del lenzuolo, ma anche un modo per connettersi alla storia di un territorio con un’identità incredibile, immerso in una natura potentissima.
Grazie all’aiuto di Alice nell’accogliermi nella sua terra, ho potuto coinvolgere un gruppo di abitanti, nella raccolta di leggende, ricordi ed esperienze legati ai temi della montagna che li avevano particolarmente appassionati nel corso della loro esistenza, in particolare modo mi interessava far loro raccontare come vivevano il rapporto con le montagne circostanti, presenze determinanti per tutti coloro che hanno scelto di vivere nell’entroterra della Valle Camonica.
Questo mi ha permesso di entrare in contatto con le persone da un punto di vista che proviene da una loro personale esigenza di potersi raccontare liberamente a una “forestiera”.
Sono rimasta semplicemente in ascolto, ho registrato le loro voci e le ho attraversate con il filo, riportando parti delle loro storie sul ricamo del mio lenzuolo.
Da domenica scorsa, ho iniziato una performance (se così la si può definire), in cui sono seduta a ricamare dentro un fondo posto lungo una delle vie principali del paese, in modo che chiunque possa vedermi, fermarsi ad ascoltare le voci registrate che mi fanno da sottofondo e, se vogliono, raccontarsi.
Io ricamo e ascolto, interagendo con tutti coloro che passano, sulla soglia del mio stare.
Si scoprono mondi invisibili e pieni di poesia, nella semplicità di gesti e parole che mi vengono donati quotidianamente.
Quello che lascerò a Falía sarà una video/performance girata nella cava di pietra calcarea ornamentale che si trova a Sommaprada e che costituisce uno dei punti identitari del paese, oltre alla documentazione di tutti i materiali di questa intensa esperienza, nella quale io, artista, non sono altro che uno strumento che permette di fare emergere un invisibile probabilmente dimenticato.

Ilaria Margutti, HÖ ‘L FÌL DÈ UH (Sul filo di voce), Falía Artists In Residence 2020. Foto di Lidia Bianchi

Quali eventi hai in programma per il prossimo autunno sia a livello personale sia nell’ambito di Casermarcheologica, di cui sei una delle anime?
A CasermArcheologica abbiamo in programma un autunno bello intenso. Già a partire da fine agosto ci saranno dei laboratori artistici, uno con Elio Mariucci, storico artista della Valtiberina ora in mostra nei nostri spazi con Archetipi Transitori fino al 19 settembre e successivamente avremo da noi un artista di fama internazionale, Olivier Grossetête, che coinvolgerà molti dei nostri cittadini biturgensi, per realizzare una architettura di comunità in cartone, all’interno del nostro chiostro.
A ottobre sarà la volta di Matteo Lucca, che rimarrà da noi in residenza per realizzare alcune opere, con il coinvolgimento di alcuni studenti, che poi saranno esposte a metà dello stesso mese, per la mostra Il diritto al silenzio.
A fine ottobre, avremo l’onore di ospitare il primo convegno della rete nazionale appena fondata de Lo stato dei Luoghi, infine chiuderemo questa prima parte di riapertura con l’inaugurazione della mostra dei ragazzi che hanno frequentato il corso di fotografia con Alessandra Baldoni.
Per quanto riguarda il mio lavoro, il 6 settembre, con la mia installazione realizzata durante la quarantena, Il corpo mancante, sarò ospite al Festival Cantiere Poetico a Santarcangelo di Romagna, a cura di Fabio Biondi, fino al 23. A fine novembre, assieme a Roberto Ghezzi, inaugureremo una bipersonale a Palazzo della Penna a Perugia, a cura di Michele Dantini e con la collaborazione di Michela Morelli.

www.ilariamargutti.com
www.falia-air.com
www.casermarcheologica.it

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