MERANO (BZ) | Kunst Meran Merano Arte | 16 marzo – 9 giugno 2025
Intervista a LUCREZIA CIPPITELLI E SIMONE FRANGI di Livia Savorelli
Un progetto complesso e stratificato è quello orchestrato dall’autrice, artista e ricercatrice austriaca Belinda Kazeem-Kamiński, sotto la guida dei curatori Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi, per gli spazi del Kunst Meran Merano Arte e in corso fino al 9 giugno.
Nel percorso espositivo dal forte taglio immersivo di Aerolectis – in cui con cura e sapienza sono contrapposti media differenti dalla fotografia al video dalla scultura/installazione fino alla scrittura – in un gioco in cui si alternano vuoti e pieni, silenzi e voci, l’artista svela un capitolo della “nerezza” in Europa, ribaltandone la prospettiva bianca ed eurocentrica, invitando a una conoscenza basata su uno sguardo critico e scevro dagli sguardi dominanti e dalla gabbie culturali.
Una mostra che ti entra dentro e invita ad “andare oltre”, così densa da meritare l’approfondita intervista con i due curatori che trovate a seguire…
Trovo molto interessante la linea di intervento che avete delineato con il programma curatoriale The invention of Europe. A tricontinental narrative che si sviluppa su base triennale (2024-2027) e del quale stiamo assistendo allo sviluppo del primo anno, con la mostra di esordio La Linea Insubrica e, ora, Aerolectis di Belinda Kazeem-Kamiński.
Possiamo definire questa progettualità una prospettiva storico-critica-partecipativa di scardinamento dell’identità europea basata sull’Eurocentrismo (che implicava superiorità legata al colore della pelle, la “bianchezza”, superiorità religiosa, morale e spirituale nonché legata al progresso) e sul colonialismo? Ci raccontate quanto in questa narrazione è stato fondamentale partire dalla storia del territorio altoatesino e quale diviene, in questa prospettiva, la funzione dell’istituzione che ospita questo processo?
Come abbiamo sottolineato nel testo introduttivo ai tre anni di progetto di ricerca e curatoriale, intendiamo lavorare sull’Europa e sull’immaginario monolitico che essa ha costruito, nei secoli, erodendolo con la complicità di storie ed immaginari proposti da artiste ed artisti della diaspora africana, latinoamericana ed asiatica in Europa.
L’intuizione di lavorare sull’Europa come invenzione ci è stata offerta da L’invenzione dell’Africa del filosofo congolese Yves-Valentin Mudimbe, che abbiamo deciso di invocare come uno specchio metodologico che possa aiutarci a leggere il nostro continente, la nostra storia ed il nostro contesto.
Lavorare in Alto Adige è in questo senso una occasione impagabile, perché proprio dalle complessità del territorio si intravedono le questioni dell’Europa del presente. Una figura per noi di riferimento è Alexander Langer che, durante gli anni Ottanta e gli anni Novanta, si è battuto contro l’emergere del nativismo e dell’etno-nazionalismo nel territorio tra l’Austria e l’Italia, proponendo di affrontare il conflitto etnico in questa regione come un prisma attraverso cui leggere le sfide presenti e future poste dalla coabitazione delle pluralità nell’Europa contemporanea. Le stesse questioni di coabitazione sono alla base della fondazione di Kunst Meran, che è nato come spazio in cui esporre arte contemporanea ed architettura contemporanea, fare ricerca e produzione editoriale, per coinvolgere le comunità che abitano il territorio, la germanofona e l’italofona. Un centro in cui riunirsi, intorno alla cultura contemporanea, al di là delle divisioni tra comunità linguistiche, che sono frutto di progetti di colonizzazione e costruzione nazionalista ed identitaria di quelle che Benedict Anderson chiamava Comunità immaginate.
Il progetto Aerolectis di Belinda Kazeem-Kamiński parte dalla parola, attraverso un inno ad una narrazione fluida, ispirata alle forze della natura e ai ritmi ciclici che le attraversano, che qui diventano elementi per attuare una lotta per il rinnovamento, dettata dalla necessità di accogliere nuove istanze per la rilettura del passato coloniale e di riportare alla luce quelle storie soggette ad una sistematica cancellazione. Parliamo delle linee guida di sviluppo della mostra, a partire dalla storia di Asue*, Gambra* e Schiama* e come la loro vicenda si è intrecciata alla geografia dell’Alto Adige…
I versi installati sulla grande parete che accoglie i visitatori della mostra sono di Belinda, che è, per sua stessa autodefinizione, scrittrice, ricercatrice ed artista. Ci teniamo a dirlo perché la parola e la scrittura sono state un centro nevralgico del nostro lavoro comune di ricerca, ideazione e formalizzazione in opere della mostra. Intorno al linguaggio ci siamo confrontati con molta attenzione, perché è anche attraverso i nomi, le definizioni ed identificazioni che passano razzismo, inferiorizzazione, esotizzazione, sessualizzazione. Il poema di Belinda in effetti, come ci ha spiegato ed ha scritto lei stessa, fa riferimento al paesaggio come sfera di discussione sul passato coloniale e sulla cancellazione di vicende simili a quelle di Asue*, Gambra* e Schiama*. Il titolo della mostra, invece, risuona con gli immaginari di Kamau Brathwaite, poeta e pensatore delle Barbados, nonché co- fondatore del Caribbean Artist Movement, e di Édouard Glissant, filosofo e scrittore della Martinica. Il concetto di movimento delle maree di Brathwaite sottolinea i ritmi ciclici e non lineari della storia, in cui le forze cambiano e si trasformano continuamente. Le stesse forze a cui Belinda fa riferimento nella scansione quasi materiale del percorso espositivo – roccia, fuoco, acqua, aria – la stessa aria che sembrava smuovere Asue*, definita come un ciclone nei diari scritti dalle suore del convento in cui ha vissuto la bambina co-protagonista della storia fatta riemergere da Belinda.
La mappatura che l’artista delinea con opere come Vermessung. “Von der Landschaft aus” rivela la violenza connessa alla geografia coloniale, che collega direttamente territori come l’impero Asburgico, l’Alto Adige e alcune parti di Italia del 19° e 20° secolo, all’Africa, attraverso un’attività missionaria violenta, basata sullo sradicamento di bambine africane dai luoghi di origine e una nuova collocazione in Italia… Da che documenti e/o studi sono emerse queste storie che definiscono chiaramente i contorni di una vera e propria diaspora africana?
Belinda ha lavorato a partire dai documenti dell’Archivio di Stato di Brunico, dove ha trovato materiali che riguardano la vita delle tre bambine a cui fa riferimento la mostra. Sono documenti scritti dalle monache dell’istituzione ecclesiastica in cui le bambine erano state portate e dove sono cresciute e decedute. Non sono testi scritti dalle bambine, ma – cosa davvero terrificante – dalle suore che le avevano in carico. Emergono elementi sulle bambine a partire dalle descrizioni che le suore facevano su di loro. Erano oggetti della narrazione, e non soggetti, un esempio da manuale di epistemicidio, in cui il soggetto razializzato e brutalizzato dalla colonialità non ha diritto di parola. Esiste unicamente in relazione con il soggetto narrante.

Belinda Kazeem-Kamiński, Vermessung. “Von der Landschaft aus”, 2025
Courtesy the artist. Foto Ivo Corrà
Connesso allo sradicamento dal proprio luogo di nascita e alla ricollocazione in diversi luoghi, molti dei quali strutture religiose nelle Alpi, c’era poi la totale cancellazione dell’identità d’origine e l’assegnazione di un nuovo nome, a seguito della purificazione attuata attraverso il battesimo, strumento per salvare le loro anime. Torna la Linea insubrica, e qui il paesaggio torna come luogo di tensione e di storie non risolte…
Per noi la Linea Insubrica è stata un’epifania, una metafora che esemplifica in maniera molto materiale la relazione profonda e consustanziale esistente tra Europa ed Africa a partire dall’immagine della placca teutonica del continente africano e quella del continente europeo che si toccano sulle Alpi: lo scontro tra le due dà luogo proprio alle Alpi. In questa storia geologica, è la placca inferiore, quella africana, che esce sulla superficie, dopo l’impatto, e che forma la materialità della catena montuosa. Il paesaggio alpino, con la sua identità “autentica”, è oggi un luogo di contestazione di comunità immaginate, come quelle di cui Benedict Anderson ci parla: identità che forzano le proprie unicità nella negazione dell’altro. E con le autenticità che sono spesso narrate ed elevate (ed oggi vendute come immagine fissa al turismo di massa). La realtà è invece ibrida, come lo è l’Europa, come lo è questo territorio, così come lo sono materialmente le Alpi. E da qui guardiamo alla geopolitica del presente, alle sue conflittualità e narrazioni, alle loro radici che affondano nella modernità “autentica” e costruita dall’Eurocentrismo e che la colonialità sostiene da secoli attraverso una serie di utensili narrativi, tra questi l’Evangelizzazione e l’idea di “salvare” le anime dei non bianchi attraverso il sistema delle Missioni sparse in Africa come negli altri imperi coloniali sparsi nel Sud Globale.

Belinda Kazeem-Kamiński, Untitled (Prototype Nkisi/Repurposed Savings Box), 2025. Courtesy the artist. Foto Ivo Corrà
Il ruolo di un semplice oggetto, come un salvadanaio, emerge potentemente in un’opera come Untitled [Prototype Nkisi/Repurposed Savings Box] evidenziando come anche il guardare non è un atto neutro ma può essere condizionato e viziato da consuetudini e saperi radicati culturalmente di cui non ci accorgiamo coscientemente. Potete approfondire per noi questo aspetto, anche in funzione di un’altra opera in cui gli nkisi acquisiscono tutta un’altra accezione?
Frequentando artisti, attivisti e pensatrici e pensatori non Europei nelle nostre ricerche e nei nostri studi, abbiamo imparato che il cammino di liberazione dalle narrazioni ideologiche eurocentriche è lungo, lento ed inesorabile. Ti offre uno stravolgimento epistemologico di quanto è dato per naturale, ti costringe a guardare il mondo che conosci decifrandone ad ogni passo gli elementi ideologici che l’Eurocentrismo ha consolidato, livello dopo livello, in ogni manifestazione della nostra esistenza. Il lavoro di Belinda è un cammino di liberazione elemento dopo elemento, da quanto crediamo di sapere e diamo per certo. Non sapevamo che nella cultura germanofona dell’Austria e delle Alpi – cattolicissima – esistessero questi “salvadenai” realizzati raffigurando un corpo non bianco trafitto. Nella mostra è offerto al nostro sguardo come un oggetto religioso e come un mistero che appare, che si dà, velato, allo sguardo: l’artista, per non sentire ancora ulteriore dolore, lo mette in scena senza farne vedere i contorni pornografici. Gli nkisi che Belinda produce sono anche esse materializzazioni di una cultura rituale e religiosa, in questo caso non europea, e che incarnano degli spiriti. Nella mostra incarnano un antidoto al razzismo, alla sofferenza dei corpi non bianchi in Europa. Sono rabbia, sono vendetta, sono entità vive a cui l’artista dona un corpo ed una presenza.

Belinda Kazeem-Kamiński, Untitled (Lash. Linger. Load/Nkisi), 2025. Courtesy the artist. Foto Ivo Corrà
A chiusura del percorso di mostra, al terzo piano, si entra nel backstage della mostra con esposti materiali d’archivio, libri, testi e un elenco, redatto dalla storica tedesca Ute Kueppers-Braun, con i nomi delle ragazze africane rapite dai missionari e portate in Europa. Un elenco di frammenti di vite, mai completi che rivelano i silenzi e le omissioni della storia. Che accezione acquisisce quindi l’archivio nella pratica dell’artista e come i “fantasmi della storia” (per citare l’interessante libro Cose di fantasmi. Haunting e immaginazione sociologica di Avery F. Gordon, tra i titoli da lei selezionati) possono, attraverso l’arte contemporanea, farsi breccia nella violenza della storia, per reclamare il diritto a un’identità?
La sala del terzo piano è diventata, in maniera quasi organica e non programmata, un punto di arrivo di un percorso emotivo e di immersione quasi fisica offerto agli spettatori dal percorso della mostra. Nella mostra non si spiega nulla, ma si lasciano segni perché lo spettatore senta, e soffra, dolore, rabbia, e forza emancipatrice. L’ultimo piano offre degli spunti narrativi e concettuali, oltre che la materializzazione fisica dei corpi di bambine e bambini rapiti e portati in Italia dal sistema evangelizzatore dei missionari. La ricerca artistica ha questo potere importante, di rendere evidenti e materiali immaginari, idee, storie. Costruisce reti di esperienze che si offrono, come un mosaico, a materializzare l’invisibile e renderlo patrimonio di sentire comune. Belinda lavora molto con l’archivio, i cui materiali diventano un sostrato da cui partire per costruire connessioni inedite, per offrire visioni non immediate, per denaturalizzare ciò che è noto. Nella nostra pratica curatoriale crediamo fermamente nel potere di questo procedere non disciplinare, che usa le fonti per costruire – al di fuori di metodologie chiuse ed indifferenti come quelle accademiche – saperi inediti. Questo procedere si fonda sul visibile come strumento, e sulla teoria e sul pensiero critico come filtro per ricodificare il mondo, la sua storia, le nostre credenze.
Belinda Kazeem-Kamiński
Aerolectics
The Invention of Europe YEAR 1
A cura di Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi
16 marzo – 9 giugno 2025
Kunst Meran Merano Arte
Edificio Cassa di Risparmio Portici 163, Merano (BZ)
Orari di apertura: martedì – sabato: ore 10-18. Domenica e giorni festivi: ore 11- 18. Lunedì chiuso.
Info: 0039 0473 212643
info@kunstmeranoarte.org
www.kunstmeranoarte.org