MILANO | Galleria Giovanni Bonelli | 25 febbraio – 2 aprile 2016
di KEVIN McMANUS
Maurizio Mochetti ha attraversato nella sua totalità una delle epoche più problematiche e intense dell’arte italiana. Non è solo una questione anagrafica (per fortuna sono vivi e attivi artisti ben più anziani di lui), ma di tempismo: tra il suo debutto e la mostra qui recensita, l’arte ha cambiato pelle più volte, e lo ha fatto in un contesto complicato come quello della nostra epoca, in cui nulla è stabile – questo almeno sembra il messaggio ricorrente – ma allo stesso tempo nulla cambia fino in fondo.
La nostra è una temporalità liquida, o addirittura nebulosa, in cui le particelle del passato si vedono a occhio nudo: le pratiche artistiche di cinquant’anni fa rimangono a loro modo attuali come possibili ambiti di ricerca, e al contempo ci sono stili, atteggiamenti, trovate che tornano a più riprese di moda, quasi che la storia recente sia una sorta di loop senza scampo.
Mi sembra che l’impatto della mostra di Mochetti alla Galleria Giovanni Bonelli (realizzata in collaborazione con Nicola Furini), dislocata in modo articolato, ma al tempo stesso, almeno in parte, afferrabile con un solo sguardo, agisca proprio su questa percezione del tempo storico recente.
C’è una coerenza di fondo che ci fa credere di trovarci in mezzo a un gruppo di opere più o meno coeve; al tempo stesso questa coerenza non funziona del tutto, ci porta a cogliere una vicenda artistica senza raccontarcela esplicitamente. Il Cono del 1967, in questo senso, racchiude emblematicamente il senso dell’intera mostra; il funzionamento è noto e tutto sommato semplice, con il piccolo cono collegato da un filo di piombo al centro di un cerchio sulla parete, e il nostro cervello che, percependo questo insieme destrutturato da un particolare punto di vista, lo struttura ricostruendo la prosecuzione immaginaria delle pareti del cono.
Se la Gestalt ci consente di spiegare il “gioco”, il lavoro non si limita però ad esso, e questo effetto percettivo ci arriva come un pugno in faccia, con un senso della forma scultorea e della presenza fisica che apre il discorso su questioni ben più ampie e profonde. Da qui in poi, non riusciamo più a “fidarci” dello spazio di Mochetti, e nemmeno degli altri elementi con i quali costruisce le sue forme.
Le riflessioni sull’oggetto-aeroplano, come Aereo-razzo Bachem Natter BA 349 B-1944, o Camouflage Pinguini (1987), ad esempio, ci attirano nella loro autoevidenza apparente, per ingannarci con le loro soluzioni installative, lo specchio in un caso, che ci rende vouyeur scornati e ironici obiettivi bellici, la disposizione seriale nell’altro, che quasi si prende gioco dei ritorni al colore semioticamente saturo degli anni ottanta, ridendo al tempo stesso, forse con affetto, della rigidità degli schemi minimalisti di due decenni prima.
Anche la luce oscilla tra la funzione di segno/segnale (la scelta del rosso è adeguata, in questo senso) e quella di simbolo spirituale, senza prendere estremamente sul serio nessuna delle due. È così nell’enigmatico Elica infinita del 1991, ma soprattutto nella suggestiva Perni con laser, installazione a terra con proiezione di luce laser mobile e 400 perni verticali: cimitero, città, prato high-tech, o forse solo la proiezione sul pavimento del senso attuale – distaccato ma al contempo desideroso di immersione – del termine “sublime”.
Maurizio Mochetti
progetto di Giovanni Bonelli e Nicola Furini
25 febbraio – 2 aprile 2016
Galleria Giovanni Bonelli
via Luigi Porro Lambertenghi 6, Milano
Orari: da martedì a sabato 11.00-19.00
Ingresso libero
Info: +39 0287246945
info@galleriagiovannibonelli.it
www.galleriagiovannibonelli.it