LONDRA | Hollybush Gardens
Intervista a LISA PANTING e MALIN STÅHL di Elena Dolcini
Hollybush Gardens è uno spazio d’arte contemporanea a due passi dalla city di Londra. Questa intervista alle direttrici Lisa Panting e Malin Ståhl, descrive principalmente il significato di una galleria che vuole essere più di uno spazio dove esibire e possibilmente vendere oggetti. Panting e Ståhl dimostrano di essere interessate a crescere insieme agli artisti che rappresentano, contrarie a un certo elitismo artistico e a favore di un dialogo anti-gerarchico, attraverso il quale sviluppare progetti aperti e dalle molteplici dimensioni.
Quando e come è nata Hollybush Gardens? Quali erano le vostre aspirazioni al momento in cui avete deciso di iniziare a fare parte attivamente del mondo dell’arte?
Lisa Panting: Possiamo dire che Hollybush Gardens è nata con l’artista Johanna Billing, che al tempo non era rappresentata commercialmente da nessuna galleria. Il nostro obiettivo era, ed è, costruire una relazione a lungo termine con gli artisti che rappresentiamo.
Malin Ståhl: Era il 2005, un momento di grande espansione qui a Londra; il mercato, almeno ai nostri occhi, divenne improvvisamente molto visibile. Anche a noi sembrò così possibile gestire il nostro spazio; eravamo interessate a collaborazioni che durassero più a lungo di progetti individuali e il mercato in quel momento sembrò poter supportare i nostri interessi. Eravamo e siamo ancora impegnate a crescere insieme ai nostri artisti.
In che modo il nuovo progetto si differenzia dalla sua organizzazione iniziale, quando ancora occupavate uno spazio più ridotto in Bethanal Green, zone est di Londra? Che cosa ha fatto sì che vi espandeste e qual è stato il motivo del cambio di location?
Spostarci dallo spazio precedente è stato un grande cambiamento per noi; ora ci sono molte più possibilità per le mostre, quando prima avevamo a disposizione solo una stanza. Gli artisti con cui abbiamo iniziato non sono più giovanissimi, così come noi, del resto; inoltre, questo nuovo spazio permette una maggiore flessibilità sia a loro che a noi. Hollybush Gardens ha aperto in una piccola unità in un deposito in Bethnal Green e lì siamo rimasti fino a quando non ci siamo spostati in Clerkenwell, una zona molto più centrale, a due passi dal famoso teatro Sadler Wells. Senza ombra di dubbio, essere più centrali rende tutto più semplice, anche a livello di relazioni con i collezionisti. È più probabile infatti che questi siano disposti a raggiungerci qui in Clerkenwell invece che in Bethnal Green, una location considerata da alcuni “eccessivamente east”. Clerkenwell è un’area pulsante, qui lavorano molti professionisti, tra cui architetti e designer. È una postazione strategica, niente è davvero lontano, nemmeno altri paesi, se pensiamo che da Parigi si può raggiungere la stazione di Kings Cross in meno di 3 ore. Hollybush Gardens abita uno spazio dalle molteplici potenzialità, esteticamente è una continua sorpresa, che tuttora non manca di ispirare inaspettate soluzioni. Il posto è unico, caratterizzato da grandi volumi. L’ambiente è suddiviso in due piani e osservare lo spazio dalla cima delle scale conferisce una prospettiva differente a ogni mostra. L’intero edificio che occupiamo è un luogo molto interessante ed è per questo motivo che abbiamo deciso di non modernizzarlo, mantenendo le sue caratteristiche principali quali pavimenti, porte e mattoni.
La galleria è uno spazio di scambio culturale. Hollybush Gardens non solo ospita mostre, ma ispira un dialogo multi-disciplinare in cui l’arte si fa strumento incisivo di analisi della società. In che modo gestite la relazione, a volte controversa, tra commercio e critica?
LP: C’è sempre una tensione tra la galleria come spazio commerciale e l’idea di cultura. Noi speriamo di fare la differenza, suggerendo che l’idea di gestire uno spazio va al di là del vendere un prodotto, e ha invece più a che fare con il presentare un corpo di lavori ai vari attori culturali. Ovviamente c’è sempre una dimensione pratica per cui gli artisti e la galleria hanno bisogno di soldi per sopravvivere; questo però non è il fattore determinante in quanto a scelte curatoriali. Un esempio tra tutti è l’aver venduto a Frieze Art Fair un’opera dell’artista svedese Karl Holmqvist, che ha tra l’altro partecipato alla Biennale di Venezia nel 2011; si trattava di un pezzo su carta da parati, difficilmente descrivibile come commerciale. Una galleria non è mai un luogo statico, ma al contrario, uno spazio influenzato da un continuo movimento tra i due vettori del commercio e della critica culturale. Questi vivono indissolubilmente in conflitto, è molto difficile che abbiamo una relazione armoniosa.
Hollybush Gardens rappresenta 15 artisti, molti dei quali sono riconosciuti anche in Italia. Solo per citarne alcuni, Andrea Büttner e Johanna Billing, sono entrambe artiste che nell’arco della loro prolifica carriera si sono confrontate con insegnamenti squisitamente italiani, quali per esempio l’approccio pedagogico di Bruno Munari. Andrea Büttner in Aprile sarà in mostra alla Tate Britain con il suo Little Sisters: Lunapark Ostia 2012 in cui alcune suore conversano con l’artista su felicità e spiritualità. Gli artisti da voi rappresentati hanno background differenti e in questo modo riflettono il vostro approccio internazionale. Potreste dire che Hollybush Gardens è anche uno spazio dal respiro europeo?
LP: Sicuramente è presente un forte elemento europeo. Abbiamo un pubblico eterogeneo, da giovani studenti d’arte a persone che sono già da tempo in questo mondo. Possiamo dire di fare parte di quella generazione che si è voluta distanziare dall’idea di classe e ricchezza, mostrando di credere fermamente in una struttura sociale che fosse anti-gerarchica. Chiuderci possibilità non ci interessa, al contrario, siamo aperte a sviluppare conversazioni con studenti, così come con persone di tutte le età e nazionalità.
Hollybush Gardens partecipa a varie fiere internazionali, da London Frieze Art Fair ad Art Cologne. In che modo la vostra presenza alle fiere contribuisce al miglioramento del lavoro di tutti i giorni?
LP: Fin dal principio abbiamo considerato le fiere come piattaforme, siamo consapevoli delle loro potenzialità e pensiamo che siano un veicolo incisivo per comunicare il nostro programma. La crisi cambia il modo in cui le persone vedono le fiere d’arte; si è più selettivi, perché ci si sente a rischio. La domanda ovviamente è se ogni galleria è a rischio, o se esista una sorta di scala per cui alcuni nomi giocano sempre carte sicure.
MS: Quando si tratta di partecipare a fiere, è importante applicare determinate strategie, analizzare l’ambiente nello specifico e capire così quale artista prediligere per quel determinato evento. Siamo sempre molto attente nel comunicare con semplicità le pratiche dei nostri artisti, in modo da creare una comprensione orizzontale e quindi reale e motivato interesse.
Che cosa pensate dell’approccio italiano all’arte contemporanea?
MS: Dal nostro punto di vista, l’approccio italiano è sperimentale e la ragione di ciò è probabilmente da ricercare nel suo spirito e tradizione. In Italia le persone sembrano molto informate, avendo una conoscenza specifica della storia dell’arte. Questo background fa sì che le persone con cui collaboriamo siano molto aperte a un dialogo su idee, concetti e gesti e pronte a mettere in discussione un apparato più tradizionale. Tutte le volte che siamo venute in Italia siamo state accolte calorosamente dai vostri collezionisti e curatori. Crediamo che il programma di Hollybush Gardens possa parlare alla cultura italiana da una posizione privilegiata, condividendo un approccio che non solo riflette le sperimentazioni contemporanee, ma anche un dialogo critico con storia e tradizione. Quasi tutti i nostri artisti collaborano con gallerie e istituzioni di cultura italiane: Krischner + Panos con Nomas Foundation, Benoît Maire ha esposto alla Fondazione Giuliani, Reto Pulfer all’Istituto Svizzero e alla Fondazione Panificio Cerere anche queste, come le due precedenti istituzioni, attive nella capitale. Falke Pisano ha da poco partecipato a una collettiva alla Fondazione Merz. E molti altri ancora; Ruth Proctor alle spalle una lunga collaborazione con la galleria Norma Mangione di Torino e, ovviamente, come tu ricordavi, Andrea Büttner alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, come vincitrice del premio Max Mara nel 2010 e Johanna Billing, che nel 2008 ha partecipato alla rassegna cinematografica Tarantula organizzata dalla Fondazione Trussardi.
Mi potete dire perché avete deciso di non menzionare la parola galleria nel vostro nome? Nonostante Hollybush Gardens sia una galleria, avete infatti deciso di non intitolarla tale. Perché?
MS: Speriamo sinceramente che le persone che vengono qui e collaborano con noi possano percepire Hollybush Gardens come una sorta di contenitore di idee. Questo spazio vuole essere un punto di incontro in cui scambiare visioni e pensieri. Un termine come galleria spesso rispecchia un approccio anacronistico, non al passo con i tempi e riesce a comunicare solo l’idea di un negozio in cui le dinamiche commerciali sono le protagoniste. Ci piacerebbe che la gente invece pensasse a Hollybush Gardens come a uno spazio che va al di là del commercio. Il nostro obiettivo è condividere conoscenze con una comunità di persone interessate a prendere parte attivamente a progetti culturali. Il nostro approccio è curatoriale: vogliamo essere ispirate da e ispirare un pubblico che consideri Hollybush Gardens un campo operazionale e non semplicemente un contenitore di oggetti.
LP: Al momento attuale, le gallerie di media taglia fanno fatica a sopravvivere; per ciò speriamo di coinvolgere nel nostro programma più persone possibili, in modo che il mondo dell’arte non si dimentichi del valore di questi spazi. Dobbiamo continuare ad affermare la nostra visibilità.