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MILANO | ArtNoble Gallery | Fino al 13 marzo 2025

Intervista a FILIPPO MAZZA di Ilaria Introzzi 

È estate, fa caldo, nulla si muove tranne lei, minuscola e nera: la mosca. Uno di quegli insetti considerati dai più insignificanti, fastidiosi. Si aggirano attorno a noi facendo quel rumore fastidioso che ci porta, pigramente, ad alzare le mani per scacciarla dai nostri confini. L’artista Filippo Mazza (Milano, 1994) la nobilita in C’era una volta, la sua prima personale da ArtNoble Gallery, fino al 13 marzo 2025. In realtà, Mazza non solo tenta di darle spessore inserendola all’interno di un contesto alto, puro in un certo senso, ma la usa come strumento di riflessione su cosa sia effettivamente l’Arte oggi e come questa possa effettivamente muovere pensieri, spesso dicotomici sulla sua efficacia a livello educativo, di dispensatrice di cultura. Ne parlo con l’arista milanese, a seguito della visita alla sua esposizione, poetica, divertente e distopica. Visitare per credere.

Filippo Mazza, Una mosca (2025), Detail 3, courtesy ArtNoble Galler, ph credit Michela Pedranti

Filippo, è la prima volta che intervisto un artista che porta in mostra, almeno apparentemente, nessun’opera. Come l’hai concepita e perché?
Questa mostra nasce da una riflessione sul concetto stesso di opera d’arte e sul ruolo della galleria come spazio destinato alla sua esposizione. L’idea di partire da uno spazio vuoto, dove apparentemente non ci sono opere, nasce dal desiderio di mettere in discussione la tradizionale concezione che un’opera d’arte debba essere fisica e visibile. Ho scelto di svuotare lo spazio per creare una sorta di ‘assenza’ che però, attraverso la mosca nascosta, diventa il vero centro dell’esperienza. In questo modo, l’assenza di contenuto visibile viene trasformata in una riflessione sul valore dell’arte e su come il suo significato non dipenda necessariamente dalla sua visibilità o dalla sua forma. La mosca, che inizialmente potrebbe sembrare insignificante o banale, sfida le nostre percezioni culturali di valore e bellezza. Inoltre, il suono registrato della mosca, che ronzando riempie lo spazio, aggiunge un elemento di coinvolgimento e mistero. L’invito per il pubblico è di cercarla, ma non tutti la troveranno, rendendo l’interazione parte integrante dell’opera stessa. Un altro aspetto fondamentale della mia mostra è proprio l’idea di spogliare la galleria di tutte le opere tradizionali per invitare il pubblico a guardare lo spazio con occhi diversi, più attenti. Quando una galleria è vuota, senza opere visibili, tutto ciò che rimane è l’architettura stessa: le pareti, le luci, i cavi, i difetti nel muro. Il fatto che il pubblico debba cercare un oggetto così piccolo, come una mosca, in uno spazio grande e vuoto crea una sorta di tensione visiva, una concentrazione che porta a notare ogni singolo dettaglio, che di solito potrebbe passare inosservato. Questo atto di ricerca, quasi ossessivo, dà valore anche all’architettura, nuda e cruda, come mai la si potrebbe vedere altrimenti. In questo senso, la galleria non è più solo uno spazio passivo, ma diventa un elemento attivo dell’opera, un contesto che, insieme al suono e alla mosca nascosta, modifica la percezione dell’ambiente e di ciò che lo circonda. Non si tratta solo di un’oggetto da scoprire, ma di un’esperienza che cambia il nostro rapporto con lo spazio.

Filippo Mazza, C’era una mosca, 2025, Installation view. Courtesy ArtNoble Gallery. Ph. credit: Michela Pedranti

Parlando con Matthew Noble, coraggioso gallerista che ha voluto dedicare nei suoi spazi la tua prima personale, gli ho detto che il progetto è un gesto astuto, ma con un senso preciso di ciò che è il mondo oggi, anche nell’arte. Rumoroso e al tempo stesso silente, nascosto. Sei d’accordo?
Sì, sono d’accordo. La mostra è una riflessione sul nostro mondo contemporaneo, in cui convivono continuamente rumore e silenzio, visibilità e occultamento. Oggi viviamo in un’epoca in cui siamo bombardati da stimoli, informazioni e rumori che spesso ci distraggono dalla vera essenza delle cose. Allo stesso tempo, c’è un desiderio di silenzio e di intimità, una ricerca di profondità nascosta dietro la superficie. L’arte, come la vita quotidiana, si muove tra questi due estremi. La mosca nascosta in oro, che non è immediatamente visibile, diventa un simbolo di come il valore e il significato possano essere nascosti nella realtà più banale o apparentemente insignificante. È come un invito a fermarsi, ad ascoltare il silenzio e a guardare oltre ciò che è immediatamente visibile. In un mondo che spesso ci spinge a consumare velocemente, l’arte diventa un modo per invitare alla riflessione, a fermarsi e a guardare con maggiore consapevolezza ciò che ci circonda, riscoprendo magari il valore nelle cose più nascoste.

Filippo Mazza, C’era una mosca, 2025, Installation view. Courtesy ArtNoble Gallery. Ph. credit: Michela Pedranti

Lo spettatore è invitato a meditare e, aspetto altrettanto importante, a trovare l’opera vera e proprio (perché c’è la fastidiosa mosca e l’ho trovata): un invito a prendersi del tempo, oggi che sembra sfuggirci di mano. Quanto ci hai messo a progettare il percorso espositivo?
Sì, l’invito a prendersi del tempo è un aspetto fondamentale del progetto. Viviamo in un’epoca in cui il tempo sembra sempre sfuggirci, tutto è frenetico e spesso non ci concediamo il lusso di fermarci veramente. Una delle intenzioni con questa mostra era quella di incoraggiare il pubblico a rallentare, a prendersi il tempo necessario per esplorare lo spazio e per cercare l’opera. Per quanto riguarda la progettazione del percorso espositivo, ci ho messo diversi mesi a pensare a come costruire questa esperienza, che mi piace definire un esercizio di attenzione. Non volevo che fosse solo una ricerca fisica dell’oggetto, ma anche un invito a riflettere su come ci approcciamo alla realtà. Ogni dettaglio della galleria, dalle luci alla disposizione delle casse per il suono, è stato pensato per creare un ambiente che induca alla concentrazione e all’ascolto. Volevo che lo spettatore sentisse il contrasto tra il silenzio e il rumore, l’assenza e la presenza.

Camminando per lo spazio si avverte anche un dettaglio della tua personalità, pur non conoscendoti: timidezza, forza e al tempo stesso sensibilità. In effetti, anche la mosca-opera vera e propria comunica questo. L’artista non può mai prescindere da se stesso?
Non credo che nel campo artistico ci si possa prescindere completamente da sé stessi; l’opera non è mai del tutto separata dalla persona che la crea. Però, ciò che trovo affascinante nell’arte è che, pur essendo il frutto dell’esperienza personale, riesce sempre a connettersi con il pubblico, aprendo a molteplici interpretazioni che vanno al di là dell’individuo. Anche quando si cerca di esplorare tematiche universali o di distaccarsi dalle proprie emozioni, l’esperienza personale, i propri vissuti e il proprio modo di vedere il mondo inevitabilmente si riflettono nell’opera. L’arte è un’espressione intima e personale, anche quando sembra universale o astratta. In un certo senso, anche nella ricerca di oggetti o concetti che vanno oltre la propria esperienza, non si può fare a meno di infondere in essi qualcosa di sé.

Filippo Mazza, C’era una mosca, 2025, Installation view. Courtesy ArtNoble Gallery. Ph. credit: Michela Pedranti

Spesso sono gli artisti established ad avere l’arguzia di proporre una mostra fatta solo di audio e un’opera da cercare. Quali sono i tuoi punti di riferimento in merito?
Il mio punto di partenza non è tanto guardare agli artisti già affermati, ma piuttosto al desiderio di creare esperienze immersive e partecipative. L’idea di utilizzare solo audio e un’opera nascosta nasce dal bisogno di stimolare una relazione più profonda tra lo spettatore e lo spazio. Mi interessa il concetto di attenzione e di ricerca, che non è solo visiva, ma anche sensoriale e mentale. Piuttosto che pensare a un ‘punto di riferimento’ in senso stretto, mi ispira l’idea di esperimenti artistici che sfidano i confini tra ciò che è visibile e ciò che è percepibile, invitando il pubblico a essere parte attiva del processo di scoperta. In questo senso, forse potrei citare artisti che hanno esplorato l’interattività o l’uso del suono, come Ryoji Ikeda o Janet Cardiff, ma la mia intenzione è sempre stata quella di spingere l’osservatore a confrontarsi con l’arte in modo diverso, senza necessariamente seguirne una tradizione consolidata.

Che valore ha per te un insetto come la mosca?
La mosca, per me, è un animale che racchiude una grande dualità. Da un lato è associata a luoghi sgradevoli, come il letame, dall’altro può trovarsi anche sui fiori, in contesti di bellezza e vita. È un insetto che vola liberamente, si posa tanto sui corpi vivi quanto su quelli dei morti, attraversando così l’intero ciclo della vita. Questo contrasto mi affascina, perché la mosca, pur essendo spesso vista come un simbolo negativo, ha anche una sua bellezza intrinseca e una funzione che appartiene alla natura, quella di ciclica trasformazione e decomposizione. Con questa ambiguità, la mosca diventa una metafora potente per esplorare la complessità del mondo, dove ciò che è considerato ‘sgradevole’ può convivere con ciò che è ‘bello’ e necessario.

Filippo Mazza, C’era una mosca, 2025, Installation view. Courtesy ArtNoble Gallery. Ph. credit: Michela Pedranti

Come nasce il tuo percorso artistico e quali punti in comune riscontri del tuo passato nel presente?
Il mio percorso artistico nasce da una curiosità costante verso la forma e il processo, iniziata durante gli studi in design di interni e scenografia. Fin da subito, però, sentivo il bisogno di approfondire tecniche che potessero portare alla realizzazione di sculture. Questo mi ha portato alla Fonderia Battaglia, dove ho avuto la fortuna di lavorare per sei anni, imparando ogni aspetto del processo della fusione a cera persa e affiancando grandi artisti nazionali e internazionali. È stata un’esperienza che ha influito profondamente sul mio lavoro e sulla mia visione dell’arte. Quello che riscontro del mio passato nel mio presente è una forte connessione con il processo e la materialità. Il bronzo, che è il materiale che prediligo, è la sintesi di un lavoro che inizia dal pensiero e si trasforma in realtà attraverso un processo fisico, tangibile. La fusione in bronzo è una pratica che mi lega ancora oggi al mio lavoro, che pur evolvendosi, mantiene sempre un forte legame con la materia, il processo e la trasformazione. Anche se i temi e le forme cambiano, il mio approccio rimane lo stesso: un’esplorazione continua tra la creazione e il processo che la porta alla luce.

A fine esposizione si arriverà anche al termine della vita dell’insetto protagonista, motivo per cui la mostra è di breve durata. Vorresti focalizzare il tuo percorso artistico su questo al momento?
La scelta di una mostra di breve durata, come quella incentrata sulla mosca, è legata proprio al concetto di transitorietà e ciclo vitale. L’insetto, simbolo di vita e morte, è effimero per natura, e questo riflette il mio interesse per la fugacità e l’impermanenza. Tuttavia, non credo che il mio percorso artistico si focalizzi esclusivamente su questo aspetto. Ogni mio progetto nasce da una riflessione specifica e da un’intenzione diversa, anche se l’idea del tempo e della trasformazione è un tema che mi accompagna in molti lavori. In futuro, continuerò ad esplorare nuove tematiche, ma la riflessione sul ciclo vitale, la transizione e la bellezza dell’effimero rimarrà sicuramente un elemento che porterò con me, in modi diversi.

Progetti per il futuro?
Per il futuro, ho diverse idee e progetti che sto esplorando, ma ciò che mi interessa principalmente è continuare a sperimentare con materiali e processi, cercando di portare avanti una ricerca che spinga oltre i confini della scultura tradizionale. Mi piacerebbe approfondire ancora di più l’interazione tra spazio, materia e tempo, cercando nuove modalità per coinvolgere lo spettatore. Inoltre, vorrei esplorare altre forme di espressione artistica, senza mai allontanarmi troppo dalle radici che ho costruito nel tempo, come la fusione e la scultura. Ogni progetto futuro sarà una naturale evoluzione, ma sempre con l’intento di stimolare una riflessione e un dialogo tra l’opera e il pubblico.

Filippo Mazza. C’era una mosca
testi di Ilaria Baia Curioni e dal sound design di Jacopo Gino

ArtNoble Gallery
Via Ponte di Legno 9, Milano

Info: info@artnoble.co.uk
https://artnoble.it/

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