VENEZIA | Giardini della Biennale | 20 aprile – 24 novembre 2024
di ISABELLA FALBO
Sul palcoscenico mondiale dell’arte il curatore di questa 60. edizione della Biennale di Venezia, Adriano Pedrosa, ha dato voce ad artisti provenienti prevalentemente dal Sud del mondo e prevalentemente autodidatti – indigeni, outsider, folk e queer – capovolgendo le prospettive e obbligandoci a cambiare i nostri punti di vista.
La cultura può essere un mezzo di collaborazione tra i popoli e un potente strumento geopolitico: Qhip Nayra Uñtasis Sarnaqapxañani, Padiglione della Bolivia.
Osservatorio privilegiato del mondo, attraverso l’arte La Biennale di Venezia dice molto anche sulla politica e, non poteva passare inosservato il gesto della Federazione Russa che dal 2022 non partecipa alla Biennale e che in questa edizione ha “prestato” il suo padiglione nazionale ai Giardini allo Stato Plurinazionale della Bolivia.
I rapporti tra Russia e Bolivia sono storicamente amichevoli sia a livello politico che commerciale, tuttavia – dalle parole della Ministra delle Culture, della decolonizzazione e della depatriarcalizzazione Esperanza Guevara, alla quale è stata affidata la curatela dell’esposizione intitolata Qhip Nayra Uñtasis Sarnaqapxañani – questa cooperazione sembra sia frutto delle “iniziative culturali tra i due Paesi, attualmente orientate alla ricerca, anche in campo artistico, con frequenti scambi di visite a scopo di studio”.
Realtà istituzionale unica, lo Stato Plurinazionale della Bolivia riconosce i diritti di tutti i gruppi indigeni al suo interno, ne preserva e promuove le diversità culturali e linguistiche, le conoscenze ancestrali, le tradizioni e i saperi che li contraddistinguono.
Il titolo della mostra Qhip Nayra Uñtasis Sarnaqapxañani ha origine da un’espressione dei popoli Aymara “Guardando al futuro/passato, ci muoviamo in avanti” e racconta di una concezione del tempo circolare, che vede passato e futuro interconnessi. Questa idea di circolarità e armonia dell’esistenza in cui tutti gli elementi sono collegati, si differenzia dalla consueta concezione lineare del tempo che procede per obiettivi.
La mostra vede la partecipazione di 25 artisti – provenienti anche da altri Paesi latinoamericani facendosi così portavoce anche di un messaggio di fratellanza – tra cui Elvira Espejo Ayca che è anche direttrice del Museo Nazionale di Etnografia e Folklore di La Paz.
“Elvira Espejo Ayca crea tessuti artistici perché vede il filatoio e come uno strumento di apprendimento che ci può risvegliare in regni sensoriali non gerarchici in cui c’è una comunione con gli elementi primari.”
Metafora di una ferita (coloniale) aperta: Sandra Gamarra Heshiki. Pinacoteca Migrante, Padiglione della Spagna.
La conquista dell’Impero Inca da parte di Francisco Pizarro aprì la strada alla sottomissione del Perù nel 1531 che solo nel 1821 proclamò la sua indipendenza dall’impero spagnolo.
Come per contrappasso, in questa 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia 2024, la Spagna ha proposto per la prima volta nel proprio padiglione nazionale un’artista straniera, la peruviana Sandra Gamarra Heshiki, che con la mostra Pinacoteca Migrante, parla con tatto, finezza e abilità delle conseguenze della colonizzazione spagnola dal punto di vista del popolo conquistato.
Attraverso una pittura figurativa classica con punti di enfasi, basata sull’appropriazione e un sincretismo in cui si incontrano le culture precolombiana, coloniale e occidentale, Pinacoteca Migrante si compone di sei gallerie e presenta narrazioni storicamente taciute smantellando le strutture che perpetuano le gerarchie egemoniche del colonialismo. I protagonisti sono persone, piante e materie prime.
La prima sala, Terra Vergine, ospita dipinti di paesaggi, appartenenti a diversi musei spagnoli, che rappresentano territori spagnoli nelle ex colonie dell’America Latina, delle Filippine e del Nord Africa. Su ogni dipinto sono sovrapposte citazioni di scrittori e intellettuali sull’ecologia.
Segue la sala intitolata Gabinetto dell’Estinzione, che collega il colonialismo all’estrattivismo mostrando i “tesori” delle spedizioni botaniche europee del XVIII e XIX secolo.
Tra le altre sale, il Gabinetto del Razzismo Illustrato racconta il modo in cui l’antropologia e la scienza sono state utilizzate come strumenti di discriminazione razziale per sostenere l’idea di classificazione e imporre la volontà occidentale di superiorità gerarchica sul Sud globale.
La sala intitolata Maschere Meticce approfondisce le pratiche coloniali della ritrattistica concepite come capsule del tempo che cercano di immortalare norme politiche e sociali, ed eliminando le divisioni di genere attraverso ad esempio ritratti di trans e unione delle tre razze: indios, bianchi e neri… L’artista mette in discussione la struttura patriarcale come norma naturalizzata.
L’arte come diplomazia culturale: Eduardo Cardozo. Latente, Padiglione dell’Uruguay
È un atto relazionale quello di Eduardo Cardozo, che con Latente ha realizzato un’opera installativa e immersiva che collega concettualmente e formalmente – in modo estremamente creativo, gentile e sofisticato – il suo paese di provenienza, l’Uruguay e il paese che lo ospita in occasione della 60. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, l’Italia.
Secondo una modalità intima, silenziosa e complessa, attraverso diversi media che tuttavia fa rientrare nella sfera della pittura, con Latente Cardozo sviluppa, inoltre, un articolato dialogo con il pittore veneziano Tintoretto, sancendo così, in modo ancora più profondo, il suo atto relazionale non solo con l’Italia ma con la città che lo ospita. Come scrive la curatrice Elisa Valerio nel testo del catalogo “Questo dialogo si articola in tre momenti: il nudo, le vesti e il velo. Da un lato il nudo è la parete dello studio trasferita a Venezia con la tecnica dello strappo. Dall’altro le vesti sono un’interpretazione dell’artista uruguaiano di uno dei bozzetti del Paradiso di Tintoretto. Infine, il velo. È una tela cucita con ritagli di garza utilizzati per strappare il muro dello studio”.
Superando il limite spazio-temporale, oltre a quello intrinseco dei materiali, con un gesto concettuale e simbolico che parla di fragilità e sradicamento, Cardozo trasferisce a Venezia la “pelle” delle pareti del suo studio di Montevideo, su un’unica parete lineare. Inoltre, sottolinea il concetto di nudità con una composizione di tele che dialogano formalmente con la parete, esposte al contrario, in cui è il gesto del dipingere che conta più della pittura stessa.
Attraverso una trasposizione ritmica e visionaria Cardozo incontra Tintoretto, e come un innamorato studia la sua opera, ne estrae la tipica gestualità, il linguaggio pittorico e i colori per trasportarli nella propria opera sotto forme organiche, fluttuanti, senza peso, Infine, al centro della stanza è sospeso il velo, che appare come spazio liminale dell’incontro fra i due artisti.
60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
Qhip Nayra Uñtasis Sarnaqapxañani (Guardando al futuro/passato, ci muoviamo in avanti)
artist*: Elvira Espejo Ayca, Oswaldo “Achu” De León Kantule, Yanaki Herrera, Duhigó, Zahy Tentehar, Lorgio Vaca, Maria Alexandra Bravo Cladera, Rolando Vargas Ramos, Edwin Alejo, Cristina Quispe Huanca, Martina Mamani Robles, Prima Flores Torrez, Laura Tola Ventura, María Eugenia Cruz Sanchez, Faustina Flores Ferreyra, Pamela Onostre Reynolds, Guillermina Cueva Sita, Magdalena Cuasace, Claudia Opimi Vaca, Olga Rivero Díaz, Reina Morales Davalos, Silvia Montaño Ito, Ignacia Chuviru Surubi, Ronald Morán.
Sandra Gamarra Heshiki, Migrant Art Gallery (Pinacoteca Migrante)
curatore Agustin Perez Rubio
Padiglione Uruguay
con la collaborazione di Álvaro Zinno
curatrice Elisa Valerio
Giardini della Biennale, Venezia