Non sei registrato? Registrati.
Ronco Canavese (TO) | Percorso Artistico Permanente

Intervista a MASSIMO FERRANDO e ALESSANDRA GIACARDI di Francesca Di Giorgio

Si parla spesso di “dialogo con il territorio” per avvalorare progetti d’arte contemporanea di scarsa consistenza e ricerca, seguendo i trend del momento e senza aver in mente, in sostanza, di cosa si stia parlando. Quando si incontrano progetti che nascono in silenzio, a volte a margine come i luoghi da cui e con cui si aprono nuove vie meno battute è una scoperta e anche un sospiro di sollievo.
A Ronco Canavese in Valle Soana, all’interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso, è accaduto qualcosa di valore, una mostra temporanea e un percorso artistico permanente in natura con dieci opere site specific dell’artista Massimo Ferrando. Un progetto frutto di una residenza d’artista iniziata nel mese di luglio 2023 insieme all’architetto Alessandra Giacardi e che ha visto una serie di interventi, quali laboratori partecipativi di design del rame con la scuola locale, interazione con la cittadinanza, l’elaborazione di un prototipo di oggetto di design in rame e, appunto, una mostra conclusiva temporanea dell’artista nei suggestivi spazi dell’antica fucina, dal titolo Dietro il visibile.
Abbiamo incontrato Massimo Ferrando e Alessandra Giacardi per un’intervista a pochi giorni dalla conclusione del festival, La città dei bambini e delle bambine, che da anni la coppia, nella vita e nel lavoro, organizza a Sassello (SV) dove vivono…

Massimo Ferrando, Geometriae 2, Dettaglio, Lastre di rame sagomate con ossidazioni indotte, installazione site specific, Ronco Canavese, 2023

Come siete arrivati a creare un vero percorso site-specific a Ronco Canavese (TO), nell’area del Parco Nazionale del Gran Paradiso?
Il progetto è nato dalla volontà del Comune di Ronco Canavese, uno dei comuni appartenenti all’area piemontese del Parco Nazionale del Gran Paradiso, di potenziare l’attrattività della valle (Valle Soana) e incentivare una crescita della popolazione nell’area, nella speranza di favorire anche un ritorno di chi è partito in cerca di lavoro qualche generazione fa e contestualmente attrarre nuovi flussi turistici. La strategia che è stata elaborata è quella di lavorare sulle ‘radici’, sul genius loci, in particolar modo facendo leva sulla tradizione della lavorazione del rame che in valle risale certamente ad epoche medievali, ma, probabilmente, come da noi ipotizzato sulla base di diversi indizi, già da epoca preistorica, cioè all’epoca post neolitica (età del bronzo di area ligure). Conseguentemente siamo stati invitati a elaborare, sulla base di queste premesse, un progetto che riqualifichi il luogo partendo dai suoi elementi autoctoni tradizionali ma attraverso un linguaggio innovativo e creativo. La richiesta di impiego del rame nel progetto di riqualifica dell’area è stato declinato da noi in senso creativo e artistico, superando la standardizzazione di prodotti di design artigianali tradizionali (soprattutto pentolame e oggettistica), offrendoci l’occasione di proporre e strutturare un percorso artistico site-specific che unisce il centro medievale di Ronco con la sua fucina storica, ove abbiamo realizzato la mostra temporanea dal titolo Dietro il visibile. Le opere poste lungo il percorso sono invece permanenti.

Massimo Ferrando, Ties Pietre legate da fili di rame, installazione site specific, Ronco Canavese, 2023

Quando parliamo di aree marginali rurali montane è difficile contenere in un’unica definizione tanta ricchezza e cultura… Provate a raccontare per noi il territorio in cui vivono ora anche opere d’arte?
Sì, è vero, le aree rurali montane cosiddette marginali conservano una ricchezza, culturale e naturale, straordinaria. Raccontarlo, un territorio così ricco, necessiterebbe di un trattato intero. Qui una tale ricchezza la si può dare solo in tracce.
La fucina storica di Ronco è posta in un luogo dai segni altamente stratificati. Il nostro percorso artistico ‘fluviale’ (esso costeggia infatti la sponda dell’energico torrente locale, lo stesso che anticamente faceva funzionare con le sue acque i macchinari della fucina) si dipana entro una boscaglia montana ricca di essenze vegetazionali e massi ieratici ofiolitici depositati in epoche geologiche dalla forza delle fiume. Su di essi abbiamo lavorato in un dialogo con la natura, la storia e la geologia del luogo, restituendo punti di sosta riflessivi ove poter godere delle opere in rame poste in relazione con le forme delle pietre stesse, con le loro stratificazioni geologiche, con i loro colori, con la loro posizione rispetto alla luce cangiante a ogni passo, in ogni ora del giorno, in ogni stagione. Abbiamo, in altre parole, lavorato con il locus, entrando in esso in punta di piedi, come si entra in un santuario: in silenzio, meditando. Parola antica, locus, che nella sua forma latina indica solo ciò che resta di significati arcaici, addirittura celtici, o celto-liguri (gli antichi abitatori di quest’area), in riferimento alla Luce (Lux) del dio Lugh, il luminoso dio delle origini. Genius loci, per conseguenza, è il ‘genio del luogo che si manifesta attraverso la luce’, ove cioè questa si proietta, passando tra le fronde degli alberi, sulla superficie terrestre, individuando uno spazio sacro, il tempio del dio che ci segnala la sua presenza apparendo in questa nostra realtà fisica. Queste sono le concezioni antiche a cui ci siamo uniformati, per ripristinarle e valorizzarle in un modo radicale. Ecco così che ogni opera disseminata lungo il percorso nasce, cresce e matura sotto l’impulso di questa luce che agisce secondo dinamiche misteriose, delle quali l’artista si fa medium, traduttore in forme, secondo dinamiche che rendono l’intervento veramente site-specific, cioè appartenente davvero a questo locus e questo soltanto, non a un altro.
Si diceva dei ‘segni stratificati’ del locus. Essi ci raccontano di un mondo reale e di un mondo sur-reale, di un mondo visibile e di un mondo invisibile; il mito vi emerge come la schiuma sulla superficie del mare, o le luci delle stelle dalla via lattea, coi suoi simboli, indagando i quali abbiamo raccolto frammenti di uni-verso, li abbiamo fatti emergere dall’invisibile. Cosi realizzare le opere fisse en plein air, traendole dal locus stesso, dai suoi elementi, è stato come far emergere una trama sull’ordito di significati universali, dei quali ci siamo occupati nella mostra temporanea allestita dentro il suggestivo spazio della fucina in pietra. ‘Dietro il visibile’, titolo emblematico, è divenuto anche quello dell’intero nostro intervento in Valle Soana: esso allude a tutta la ricchezza nascosta in quest’area ‘marginale’ (che sta ai ‘margini’, fra questo e l’altro Mondo), annidata negli interstizi fra due realtà, nei passaggi fra le luci e le ombre della natura e della Storia.

Massimo Ferrando, Eternità e tempo, lastre e tubi di rame sagomati e ossidati a fuoco, installazione site specific, Ronco Canavese, 2023

Massimo, se non sbaglio hai già avuto modo di sperimentare lavori con il rame. Che legame hai con questo materiale?
Sono venticinque anni che lavoro con questo materiale e lo indago. Per lungo tempo l’ho fatto silenziosamente, per imparare a conoscerne i misteri. Il rame è davvero un materiale misterioso: è vivo, e come tale insegna, come fa il maestro con un allievo. Duttile e versatile, è incredibilmente consonante con i significati espressi dai ‘segni’ stratificati del locus. La stessa etimologica del ‘luminoso’ metallo trasmette significati per me decisivi. ‘Ram’ è una ‘radice linguistica archetipale’ (come alb-, ur-, beg-, tar-, ecc., tipiche di quest’area culturale e linguistica) riconducibile al valore simbolico e sacrale del metallo e della metallurgia, che è una pratica antichissima (i metallurghi furono i primi sciamani). Il rame, infatti, e le tecniche metallurgiche erano utilizzate in rituali preistorici di iniziazione tramite il fuoco: una sorta di proto alchimia. La radice ‘ram’ appare in tutte o quasi le tradizioni del mondo (Ram il primo druida nella tradizione celtica, Rama il personaggio mitico nella cultura indù, la dinastia dei vari Ram-sete in quella egizia, Ab-ram in quella ebraica: e potremmo continuare ancora e ancora). Qui nella valle, come in molte aree coinvolte dalla colonizzazione ligure e poi celto-ligure (quest’ultima avvenuta quattro o cinque secoli prima dell’era cristiana) ha lasciato tracce nei toponimi: infatti un ‘Monte Rama’ cappeggia sopra il luogo dell’antica fucina, costruita in località Castellaro, nome che indica un antico insediamento ligure precristiano, già allora dedito, noi lo crediamo sulla base di diversi indizi, alla lavorazione del metallo, già molto prima dunque della costruzione della fucina nelle sue forme seicentesche.
Il rame ci racconta quindi più di quel che pensiamo, qualcosa di inaspettato. ‘Ram’ è anche la ‘luce riflessa’ quando viene lucidato, l’apollinea lux del dio Lugh che ancora si manifesta portando un ‘segno’ dal Cielo, tramite un raggio del Sole; eppure si ossida, con cromatismi assai ricchi, però non si corrompe come il ferro, non si consuma. A fronte di una luce che in particolari circostanze si fa diafana, l’umidore argenteo della Terra rivela una materia spiritualizzata color turchese: ora il locus è luce e ombra insieme, restituendo la totalità della realtà. L’artista-medium, chiamato a ricomporre un cosmos, conosce queste ‘leggi’, le ha riscoperte traendole da uno scrigno prezioso, di esse si imbeve, e il suo agire per produrre forme e colori avviene assecondando l’azione di forze che lo superano: è il genius loci che agisce in lui. Qualcosa di più di un artista, secondo queste concezioni; è dunque l’artista: è un sacerdote che compie un rituale chiamando a raccolta tutte le forze magiche tratte da un fuoco che lo arde interiormente, lo stesso che serve a fondere il metallo per produrre forme e oggetti-simbolo.

Veduta della mostra Dietro al visibile, fucina di Ronco Canavese

Ci raccontate su quali elementi vi siete concentrati per pensare il vostro percorso in Valle Soana?Tutti questi aspetti sono stati la base su cui ‘fondare’ (verrebbe anche da dire ‘fondere’, o ‘forgiare’), più che le nostre riflessioni, il nostro agire, istintivamente, secondo la natura stessa del luogo, il suo carattere conformato a idee universali. Ovviamente vi è stato anche uno studio più razionale, che ha tenuto conto dei motivi per cui siamo stati chiamati ad intervenire, dello scopo pratico da raggiungere: rivitalizzare concretamente la valle.
Lavorare per la rigenerazione dei Territori è sempre un’esperienza complessa ed entusiasmante. L’idea di fondo che ci ha guidati e ci guida nei nostri progetti di rigenerazione territoriale è il concetto ampissimo di ‘Territorio come opera d’arte’, ove le molte componenti collaborano all’opera finale. Così si lavora con le istituzioni primariamente, ma soprattutto con le comunità, con la gente, con le sue storie e le sue leggende. Ma anche con le stratificazioni architettoniche e urbanistiche, non potendo tralasciare nulla di ciò che c’è, perché tutto (o quasi) ha diritto ad avere una voce in capitolo. Dunque abbiamo tenuto conto delle persone (abbiamo fatto laboratori creativi usando il rame con i ragazzi delle scuole) e degli edifici in cui essi abitano: la scuola, appunto, le piazze, la chiesa, l’oratorio, le strade; poi con i luoghi dei ritualismi popolari, come la ‘posa dei morti’, la postazione usata dai portantini per riposare lungo il percorso in discesa dalle alture e che conduceva a seppellire i morti nel cimitero del paese: un vero e proprio rituale collettivo di sepoltura sui generis. Ancora percorsi dunque; e poi le tradizioni, come quella locale del presepe, a cui abbiamo aderito volentieri, reinterpretandolo in maniera originale, secondo quella pratica di bottega artigiana tipica di un’epoca nel quale l’artista era anche e soprattutto un esecutore su commissione, il tema del lavoro venendogli fornito dal committente: stava poi a lui interpretarlo con maestria e perizia tecnica, veicolando (platoniche) idee. Altri tempi.

Veduta della mostra Dietro al visibile, fucina di Ronco Canavese

Riflessioni sui simboli, sugli archetipi e sulla forza di messaggi atavici e universali sono da sempre al centro della ricerca di Massimo Ferrando…
Gli archetipi sono alla base dell’agire dell’uomo nella storia e della sua stessa vita psichica profonda. Non vi è certo bisogno qui di ricordare C.G.Jung. Ma prima di lui l’uomo dell’arché (l’uomo originario, che non è certo solo quello di un’epoca lontana, ma è anche l’uomo di oggi, perché noi siamo e sempre saremo un uomo della pre-istoria, così come un adulto sempre sarà abitato da una dimensione infantile inalienabile) conosceva benissimo quelle dinamiche che lo univano a qualcosa di sublime, a un Mondo oltre il mondo, mondo dentro di sé e oltre sé: un Sè Superiore e Universale che lo connetteva all’invisibile, cioè al mistero. Discorsi difficili da sostenere oggi, anche nel campo dell’arte, talvolta troppo autoreferenziale, troppo incentrata sul concetto di ‘stile’ in riferimento al modo di agire proprio di ogni singolo artista: quando invece per me vale innanzitutto, la pratica artistica, quale ’s-vestizione’, quasi un liberarsi di un abito individuale inessenziale, un restare nudo di fronte ai significati, superando per un attimo lo spirito del tempo, la sua impronta, dunque anche l’individualità stessa dell’artista che prima quasi si eclissa, per aprire a un tempo sospeso in cui gli archetipi tornano a vivere e agire concretamente; è un ritorno a un illo tempore che permette di rimettere nella giusta prospettiva l’intreccio di fili di una trama tessuta nei secoli dall’umanità sopra un ordito che lo trascende. Per questo ho così a cuore i simboli, perché sono un linguaggio dell’anima universale, comprensibile a tutti, tutti coloro che, in ogni tempo, hanno dismesso il proprio abito razionale, individuale e storicizzato, per ritentare un contatto intuitivo con le forme geometriche pure, e con la natura quale simbolo, anch’essa, di qualcosa di superiore che deve essere ‘portato alla luce’. Per fare ciò bisogna reimparare ad ascoltare la musica del Mondo. “La geometria delle forme è musica solidificata”, diceva il grande Pitagora, e “l’uomo non pensa mai senza immagini”, diceva Platone. Per questo il mio lavoro, talvolta, ruota intorno alla ricerca intorno a tali forme astratte originarie, perché innescano un dialogo con l’invisibile, dunque con i significati profondi a cui, nella nostra lacerata epoca storica, bisogna inevitabilmente ritornare: per ridare un senso e una forma nuova al mondo. Questa è l’epoca della crisi, è un’epoca oscura dietro le artificiali, accecanti luci del progresso e della tecnologia (anche militare); ma occorre ritornare al senso profondo del nostro esistere sulla Terra. E i territori delle aree ‘marginali’, con il loro tesoro nascosto da esplorare, sono il tramite per rimettere ‘al centro’ le questioni che contano davvero. Proprio alla ‘luce’ di queste mie intenzioni profonde, si potrà forse intendere, allora, il significato dei titoli delle opere di un’arte che, se da un lato indaga il carattere profondo di un luogo, dall’altro lo riconsegna a un Uni-verso invisibile delle idee: Settimo Cielo – Ram, fuoco – Eternità e tempo – L’isola, ultime rivelazioni da un altrove – Creò i Cieli e la Terra – E separò le acque – E lo spirito di Dio aleggiava sulle acque – Metamorfosi – Stratificazioni – Geometrie – Chiamò l’asciutto Terra e le acque Mare – Omphalos – L’uovo cosmico che per primo pose la vita  – Corrispondenze – Come in Cielo così in Terra – Di celesti influssi – Axis mundi – Nelle trame del tempo – Ricucire le trame dei mondi – Degli infiniti mondi – eccetera… Mi verrebbe da dire: un’arte cosmica, innanzitutto; dove per cosmo intendo primariamente ciò che non si vede, ma c’è: ed è ‘Dietro il visibile’.

Massimo Ferrando, Il settimo cielo, Vista d’insieme, Lastre di rame sagomate e ossidate a fuoco, installazione site specific, Ronco Canavese, 2023


Massimo Ferrando (Savona, 1972). Artista poliedrico e versatile, è scrittore, fotografo e promotore di un design declinato in senso artistico, artigianale e autoriale. Ha pubblicato nel 2008 la sua raccolta poetica “Per altra porta” (Galata Edizioni). Suoi testi sono apparsi in Italia (Lietocolle, Joker, Galata, Fara edizioni, Espoarte) e Francia (Jacques Flament Edition). Ha frequentato nel 2009 il centro TAM dello scultore Arnaldo Pomodoro, nel corso di scultura, gioiello e design nei laboratori di Pietrarubbia (PU) e presso la fonderia Battaglia di Milano. Spazi espositivi in Italia, Francia e Turchia hanno ospitato suoi lavori e interventi. Nel 2013 ha inaugurato OPUS Design, laboratorio d’arte, architettura e design. 

Massimo Ferrando accanto ad un’opera all’interno del percorso site-specific, Ronco Canavese

Alessandra Giacardi (Savona, 1981). Architetta, Dottore di Ricerca Europeo in Design (European Ph.D. Label). Da sempre si occupa di progettazione nel significato più ampio del termine, ideando e realizzando opere architettoniche, eventi, installazioni, manufatti e progetti culturali dalla grande componente territoriale in un continuo scambio di sapere tra committente, progettista e comunità locale. Ha lavorato in Irlanda (Dublino), Spagna (Siviglia) e nel 2011 presso il TU Delft – DFS Design For Sustainability – Università dei Paesi Bassi. Dal 2020 collabora con il Dipartimento di Architettura e Design dell’Università di Genova e dal 2022 è Professoressa a contratto per il corso di “Laboratorio di Basic Design”, corso di Laurea in “Design del Prodotto e della Comunicazione”. Il suo focus di ricerca è in particolar modo quello del rapporto tra artigianato e design per cui diverse sono le pubblicazioni a sua firma.

Alessandra Giacardi al lavoro durante il laboratorio di design

Insieme collaborano da anni in progetti di ricerca nei campi dell’arte, dell’architettura e del design con diverse pubblicazioni e con l’apertura di un Presidio Culturale nell’entroterra ligure. Il loro lavoro “L’arte e la guerra”, progetto museale per un Nuovo Parco Archeologico a Karkemish (Vedi “The New York Times”, 22 Gennaio 2013 e pubblicazione “Border – l’arte e la guerra”- Ante Quem Srl. 2023), contiene installazioni di land art dal forte impatto emozionale e simbolico (“Border”, con la quale hanno vinto il premio Espoarte Arteam Cup 2017, “La soglia” e “La sottile linea rossa”). È del 2018 il loro libro “Verba Manent-Conversazioni su artigianato e design” edito da Il Geko edizioni.

www.massimoferrando.it

www.giacardiferrando-architetture.com

 

“Dietro il visibile”. Arte e design del rame in Valle Soana
Massimo Ferrando e Alessandra Giacardi

L’intervento artistico “Dietro il visibile, arte e design del rame in Valle Soana” rientra nel più ampio progetto “Re-cuivre, nuova creatività del rame in Valle Soana», all’interno del bando «Territori in luce» della Fondazione Compagnia di San Paolo. L’iniziativa ha avuto come partner principali il Comune di Ronco Canavese e il Parco Nazionale Gran Paradiso.

Percorso artistico permanente e visitabile tutto l’anno anche autonomamente, o avvalendosi delle guide locali

Info: +39 0124 901070
info.pie@pngp.it

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •