Roberto Ghezzi, 480 ore di luce, a cura di Elena Radovix, veduta della mostra, Galleria Moitre, Torino, 2025. Ph Emanuele Pensavalle

Demandare al luogo di crear-si, palesandosi in luce, forme, colori. La grande avventura creativa di Roberto Ghezzi

TORINO | Galleria Moitre | 18 settembre – 18 ottobre 2025

Intervista a ROBERTO GHEZZI di Livia Savorelli

Per chi come me conosce da tempo Roberto Ghezzi – e lo ha seguito con costanza nelle sue straordinarie avventure in giro per il mondo, sorprendendosi ogni volta delle creazioni che originavano da ogni sua spedizione – ripercorrere con lui, attraverso il suo racconto, le tappe principali delle sue più recenti esplorazioni, aggiunge un ulteriore tassello alla coerenza e profondità del suo essere uomo e artista.
L’occasione di questo nuovo addentrarsi nella poetica di Ghezzi, attraverso l’intervista a seguire, ci è data dalla sua ultima personale alla Galleria Moitre di Torino480 Ore di Luce Arte, Scienza ed Ecologia Ambientale – perché come sottolinea Elena Radovix, curatrice della mostra, “incontrare Roberto Ghezzi significa lasciarsi attraversare dal respiro lento della natura, accogliere il caso come compagno di viaggio e scoprire che il tempo non si misura più in ore, ma in tracce. Il suo lavoro non rappresenta il paesaggio: lo attraversa, lo ascolta e lo restituisce come esperienza viva. È diario visivo e testimonianza di un incontro fisico, relazionale e spirituale, dove la sfida con gli elementi si intreccia con la ricerca interiore e la necessità di lasciare traccia”…

The Mountain’s eyes, Annapurna Base Camp, 2025

Contro ogni visione ego antropocentrica, la tua ricerca si nutre di un profondo rispetto per la Natura, assecondandone i tempi e la sua innata capacità generatrice. Osservazione, ascolto, scoperta sono le condizioni preliminari di ogni tua partenza e successiva immersione nella natura. Come ti poni in dialogo con essa nel tuo essere un “viandante contemporaneo”, come ti definisce efficacemente Elena Radovix nel testo introduttivo alla mostra, in cui “ogni passo è atto di resistenza e devozione”? Parlami di questo aspetto, di come concili il desiderio della scoperta, del superamento dei tuoi limiti – fisici ed emotivi – e il dialogo con l’ambiente che ti accoglie e che diviene parte attiva del processo di creazione?
Pur modificando spesso (per ricerca e per adattamento al caso specifico) il medium che poi utilizzerò per la restituzione finale di ogni progetto, le tappe attraverso le quali mi avvicino al paesaggio sono dettate da una metodologia che potrei definire “coerente”. Per me scoprire un luogo significa molte cose, e l’atto creativo finale, con il quale demando al luogo stesso di crear-si, palesandosi in luce, forme, colori nello spazio bianco che gli concedo, è solo il passaggio finale di un cammino (fisico e mentale) che nel lento avvicinarsi alla meta mi impone, oltre che diversi chilometri, anche letture, approfondimenti, disegni, condivisione, appunti, ascolto e altro ancora. Chiedere ad un luogo di sottrarre un po’ di sé, palesandosi su tela, necessita sicuramente di grande resistenza e merita assoluta devozione.

Roberto Ghezzi, Naturografie AQUAE, installazioni presso Arsenale di Venezia, Roberto Ghezzi e Marco Sigovini CNR ISMAR

Quanto è importante la fase di studio e conoscenza preliminare del territorio su cui ti troverai a operare? E quanto in questa fase, è fondamentale il confronto e il supporto della comunità scientifica?
Lo studio e quindi la conoscenza dei luoghi sono le fondamenta del mio lavoro, senza i quali questa ricerca sarebbe inevitabilmente affidata all’improvvisazione, tra l’altro correndo molti rischi che vanno dalla instabilità delle installazioni, fino all’assenza di sedimentazione visibile (quindi nessun risultato apprezzabile), o problemi relativi a reazioni tessuto-ambiente, e così via. Proprio per questo, pur accettando – di buon grado – l’imponderabilità “creativa” di ogni luogo, non posso mai tralasciare una componente di studio che, attraverso le conoscenze dei ricercatori con cui mi interfaccio, siano essi biologi, geologi, glaciologhi, ecc., cerca in qualche modo di prevedere e indirizzare quell’imponderabilità, per poterla poi imbrigliare e mostrare.
Tutto questo durante la fase preliminare; nella fase finale invece il dialogo con la scienza è interessante e auspicabile per poter offrire una lettura più profonda dell’opera, che da creazione artistica diviene matrice contenente informazioni relative ad un ambiente specifico, o supporto per una divulgazione scientifica alternativa, ad esempio, a fotografia, disegno o dati.

The Mountain’s eyes, Annapurna Base Camp, 2025

La luce è un elemento fondamentale soprattutto negli ultimi tuoi progetti, come ad esempio in The Montain’s Eyes, sviluppato in Nepal. In questo caso hai utilizzato delle inedite “camere oscure”…
Come ogni altro elemento di “emanazione naturale”, anche la semplice luce del sole, che per effetto della diffrazione riesce a scrivere su carte fotosensibili, ha da sempre affascinato il mio immaginario. E, come per le opere su tela, anche in questo caso ho voluto eliminare quasi del tutto il mio intervento diretto sul supporto, affidandomi alla fotografia stenopeica.
Quindi così, con uno zaino pieno di carte emulsionate, sono partito a piedi da Pokhara per arrivare dopo molti giorni sino al campo base del monte Annapurna, a 4300 mt slm, in Nepal, raccogliendo lungo il percorso circa 150 lattine usate e abbandonate, alle quali ho dato nuova vita trasformandole da rifiuti a camere oscure. Tagliandole ed inserendo al loro interno carta fotografica, dopo aver realizzato un piccolo foro con uno spillo nella parte frontale, le ho lasciate per diversi giorni lungo i fianchi delle montagne, incastrate tra le rocce, per catturare sulle mie carte fotografiche ciò che vedono quei giganti di roccia: il risultato è stato sorprendente, perché carte in bianco e nero hanno restituito, una volta invertiti i negativi, colori surreali, archi di luce scritti dal sole nel suo percorso durante i giorni e sagome sfumate di paesaggio, proprio come si ricordano i sogni. E nonostante alcune di esse fossero state poste lungo sentieri molto frequentati, non appare mai nessun essere umano. Il motivo tecnico è la bassa sensibilità delle carte, ma a me piace immaginare che sia un altro: quando andiamo troppo di fretta, le montagne non ci vedono proprio…

Roberto Ghezzi, The Mountain’s eyes, fotografia stenopeica a lunga esposizione su carta cotone, 2025

Il titolo della mostra allude, invece, ai 20 giorni (ovvero alle 480 ore di luce) attraverso le quali ha preso vita un progetto inedito in cui la fotografia ha avuto un ruolo fondamentale. Ci troviamo immersi nei paesaggi vulcanici e glaciali dell’Islanda e il progetto si basa su lunghe esposizioni. Quali collaborazioni sono state fondamentali e che ruolo ha giocato il fattore Tempo in Iceland Still?
Per il progetto Iceland Still (giugno 2025), nato in collaborazione con il fotografo Antonio Manta, ho utilizzato attrezzature più sofisticate di quanto sono solito fare (potenti filtri ND e macchine digitali collegate a pannelli solari) per fermare in una sola foto esposizioni diurne lunghissime, che ho poi sovrapposto in post produzione creando un’immagine che racchiudesse tutto lo spazio e il tempo di ogni giorno, per 20 giorni.
Come per le naturografie e per la fotografia stenopeica, anche in questo caso l’idea di comprimere nelle due dimensioni di una carta l’inesorabile scorrere del tempo mi ha spinto a forzare l’utilizzo classico della fotografia digitale oltre i suoi limiti.

Roberto Ghezzi, Iceland Still, Islanda centrale 2025, fotografia su carta fine art

La documentazione del viaggio, attraverso il disegno e la parola, sui taccuini – una vera chicca nella mostra, restituisce la complessità del tuo lavoro e della tua ricerca sul campo. Quanto è importante l’aspetto legato al disegno e alla pittura nel tuo lavoro? Anche in relazione ad un altro tuo progetto, Polar Stream, realizzato alle Svalbard?
I diari di viaggio sono la cosa più preziosa che possiedo, dalla quale, in qualsiasi tipo di spedizione e progetto, non potrei mai separarmi; c’è dentro tutto: riflessioni, appunti tecnici, piccole poesie, disegni, dipinti, reperti, e tanto altro. In una parola: le tracce di un processo artistico, mentale e fisico, che spesso le opere terminate non mostrano. Conservo ancora il primo che realizzai, risale al 1989. In alcuni progetti, come quello alle Svalbard appunto, del 2024, dedicato al cambiamento climatico, a parte tre video, i taccuini sono stati l’unica mia restituzione.

Roberto Ghezzi, 480 ore di luce, a cura di Elena Radovix, veduta della mostra, Galleria Moitre, Torino, 2025. Ph Emanuele Pensavalle

In mostra non potevano mancare le tue Naturografie©… A quali progetti si riferiscono, dove si sono originate?
Sì, in mostra ci sono anche alcune Naturografie di montagna, realizzate in Appennino e sulle Alpi. Ho voluto esporle anche qui, insieme ai lavori del Nepal e dell’Islanda, perché comunque, oltre ad essere state create in luoghi montani come gli altri pezzi, sono opere che si creano nel tempo e dove (qui in maniera ancor più evidente che negli altri lavori) la delega creativa nei confronti del paesaggio è elemento fondante e caratteristico. Sotto certi aspetti considero, nel senso ampio del termine, tutte le opere della mia ricerca naturografie, poiché accomunate da approccio al paesaggio molto simile, pur con esiti diversi in base ai diversi progetti.

Roberto Ghezzi, Naturografie di terra e di acqua, elementi naturali su tessuto, 2025

Collegati alla mostra, prenderanno vita anche due interessanti talk di approfondimento che si svilupperanno in due diverse sedi torinesi: l’Orto Botanico e il Centro Studi Sereno Regis… Puoi introdurci ai contenuti su cui verranno sviluppati gli incontri?
Da sempre cerco di far in modo che la mia ricerca artistica e la ricerca scientifica possano convergere, sia prima, che durante, che dopo i vari progetti, in senso pratico e teorico.
Non è facile, ma le occasioni di scambio sono all’ordine del giorno, ed i talks che cerco di promuovere o ai quali vengo invitato sono un’occasione unica. Nella bellissima sede dell’Orto Botanico di Torino, il mattino del 18 ottobre, giorno di chiusura della personale presso la Galleria Moitre, in dialogo con la direttrice e il curatore, parlerò della mia ricerca in relazione alla botanica, mentre al Centro Studio Sereno Regis, nel pomeriggio dello stesso giorno, intavoleremo una discussione molto trasversale che partendo dal mio progetto in Nepal ci porterà ad approfondire le scienze della terra, con il Prof. Carosi, quindi la letteratura di montagna, con la scrittrice Fioly Bocca, a ancora arte contemporanea, con il Prof. Romeo e il gallerista Alessio Moitre, e didattica dell’arte con la Prof.ssa  Brombin del PAV. Vi aspetto…

 

Roberto Ghezzi. 480 Ore di Luce Arte, Scienza ed Ecologia Ambientale
a cura di Elena Radovix

18 settembre – 18 ottobre 2025

Galleria Moitre
Via Santa Giulia 37, Torino

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Talk in programma:

480 Ore di Luce – Arte, Scienza ed Ecologia Ambientale

18 ottobre 2025 ore 10:30 – 12:30

Orto Botanico di Torino – Aula Magna
Viale Pier Andrea Mattioli 25, Torino

Interverranno:
Roberto Ghezzi – Artista
Prof.ssa Consolata Siniscalco – Direttrice dell’Orto Botanico di Torino
Loic Maurice Mingozzi – Referente e curatore dell’Orto Botanico

Modera: Elena Radovix – Curatrice artistica della mostra

480 Ore di Luce – Arte, Scienza ed Ecologia Ambientale

18 ottobre 2025 ore 15:00 – 18:00

Centro Studi Sereno Regis
Sala Gandhi Via Giuseppe Garibaldi 13, Torino

Interverranno:
Roberto Ghezzi, artista
Prof. Rodolfo Carosi, Full professor in Structural Geology and Tectonics, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Torino, Presidente della Società Geologica Italiana
Prof. Gabriele Romeo – Full Professor of Phenomenology of Contemporary Arts, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino; Presidente AICA Italia, Board Member AICA International (Parigi)
Orietta Brombin, curatrice AEF PAV Parco Arte Vivente, Centro sperimentale d’arte contemporanea, e docente di Museologia del contemporaneo all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino

Fioly Bocca – Scrittrice
Alessio Moitre – Presidente Exhibito, Art Director Galleria Moitre

Modera: Elena Radovix – Curatrice della mostra

La partecipazione è gratuita con prenotazione: info@galleriamoitre.com
cell.+39 352 0718200

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