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Intervista a KARLA HIRALDO VOLEAU di Tommaso Evangelista

Karla Hiraldo Voleau (1992) è una fotografa e artista visiva franco-dominicana, la cui ricerca si muove lungo le linee sottili che separano verità e finzione, biografia e performance, desiderio e costruzione sociale. Formata all’ECAL di Losanna, dove ha conseguito il master in fotografia, Hiraldo Voleau ha rapidamente definito una voce propria nel panorama della fotografia contemporanea, riconoscibile per la sua capacità di mettere in scena l’intimità come dispositivo narrativo e analitico. La sua pratica attraversa media e linguaggi – dalla fotografia all’installazione, dalla scrittura alla performance – e ruota attorno a temi come la rappresentazione del corpo, la costruzione dell’identità di genere, il potere implicito nei rapporti affettivi, la sessualità e la vulnerabilità. Tra i suoi lavori più noti: Hola Mi Amol (2019), una riflessione sullo sguardo femminile nei confronti del corpo maschile, e Another Love Story (2022), progetto autobiografico che rilegge attraverso la messinscena una relazione sentimentale rivelatasi ingannevole, ibridando documento e fiction, trauma e narrazione.

Frammenti – Karla Hiraldo Voleau

Hiraldo Voleau ha esposto presso istituzioni come Foam (Amsterdam), MEP (Parigi), ICP (New York), ed è stata selezionata per il programma Foam Talent, il Prix Picto e il festival Les Rencontres d’Arles. Nel 2025 ha presentato Frammenti, un progetto in fieri sviluppato in Italia e liberamente ispirato ai Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini, recentemente presentato parzialmente al Festival Fotografia Europea di Reggio Emilia. Come nel documentario del 1964, anche Frammenti si fonda su una tensione tra ascolto e sguardo, tra inchiesta e autorappresentazione: l’artista raccoglie e fotografa le testimonianze di giovani italiani della Generazione Z – studenti, in particolare, intorno ai 18 anni conosciuti in ambienti scolastici– ponendo domande su amore, identità, consenso, sessualità, corpo e relazioni. Ma se Pasolini era un intervistatore esterno, quasi un etnografo, Hiraldo Voleau adotta un approccio più partecipativo e performativo: le immagini non documentano semplicemente, ma attivano il desiderio, mettono in scena, riflettono su ciò che dell’intimità può essere mostrato, o desiderato come mostrabile. Frammenti è così un progetto sul desiderio di raccontarsi e sulla complessità del farlo oggi, in un’epoca in cui i linguaggi affettivi e sessuali sono attraversati da nuove consapevolezze, da forme inedite di esposizione, di codifica e di sorveglianza. Come in molte delle sue opere precedenti, l’artista, che qui intervistiamo, non offre risposte ma cerca un ascolto critico, visivo e sensibile, capace di interrogare non solo ciò che vediamo, ma anche come – e da dove – guardiamo.

Foam Talent 2020, Hola Mi Amol, Karla Hiraldo Voleau Foam. Foto: Christian van der Kooy

Nei tuoi lavori, l’intimità e la vulnerabilità sono elementi centrali. Cosa significa per te “mettersi in gioco” davanti e dietro la macchina fotografica? C’è un equilibrio che cerchi tra estetica e contenuto politico? Come lo gestisci?
Sì, spesso mi includo nelle mie immagini, per creare una relazione orizzontale tra me e il mio soggetto. Utilizzare la mia identità e il mio corpo mi permette di partire da un punto di vista onesto, rafforzando ulteriormente il legame tra lo spettatore e il progetto. Stranamente (o forse no), trovo che essere il più personale, specifico e concreto possibile mi permette di avere una portata più universale. Partendo dall’Io, Jaime parla del Noi e delle esperienze collettive.

Doble Moral – Karla Hiraldo Voleau

Another Love Story parte da un’esperienza personale e si trasforma in una performance con un attore. Che tipo di processo hai attraversato per trasformare un tradimento in un dispositivo artistico?
Il processo di questo progetto è nato in modo del tutto organico. La Maison Européenne de la Photographie di Parigi mi ha chiesto di creare un progetto sull’amore per la loro stagione di mostre intitolata Love Songs, nel 2022. Durante la creazione di questo nuovo progetto, ho scoperto la doppia vita del mio (ex) partner. Ho deciso quasi all’istante di fare una svolta a 360° e di parlare di ciò che stava succedendo nella mia vita sentimentale in quel momento — e concentrarmi su questa storia di abuso emotivo. Inconsapevolmente e rapidamente, questo progetto è diventato una sorta di terapia artistica. Per essere libera di esprimermi e concentrarmi sulla mia versione dei fatti, ho deciso di ingaggiare un attore, un sosia, per sostituire il mio ex e riprodurre insieme, in modo identico, tutte le foto del telefono che avevamo scattato durante la nostra storia d’amore (ce n’erano a centinaia). Questo processo di ‘reenactment’, di autofiction, è stato una scelta naturale, dato che avevo già lavorato in queste aree.

Another Love Story. Performing Intimacy -Karla Hiraldo Voleau

Cosa ti ha spinta a reinterpretare i Comizi d’Amore di Pasolini con uno sguardo contemporaneo alla Gen Z italiana? Quali sono, secondo te, le caratteristiche più significative e sorprendenti dell’amore e della sessualità di questa generazione?
Ho sempre sentito l’urgenza di lavorare con la Generazione Z, perché mi affascina profondamente: è la prima cresciuta interamente nell’era digitale, immersa fin dall’infanzia in una sovrabbondanza di immagini, e al tempo stesso è confrontata a un mondo del lavoro più che fragile, a un futuro climatico incerto, e a un’esplosione di consapevolezza legata alla salute mentale. Mi sembrano estremamente maturi e allo stesso tempo totalmente schiavi di internet. Volevo verificare i miei preconcetti. La scoperta del documentario Comizi d’Amore di Pasolini è stata la scintilla che ha dato forma a questo progetto. L’Italia, con le sue forti specificità regionali e la sua attualità politica, mi è sembrato il luogo ideale per la mia esplorazione — un campione rivelatore di ciò che accade anche altrove in Europa. Così è nato Frammenti.

Frammenti – Karla Hiraldo Voleau

Nei tuoi lavori spesso si intrecciano identità culturale, affettiva e di genere. In che modo consideri l’identità: come costruzione fluida, come architettura sociale o come narrazione individuale?
Per me l’identità è un processo continuo. È qualcosa che cambia nel tempo, attraverso le relazioni e le esperienze. Nei miei lavori, parte sempre dal personale ma si intreccia inevitabilmente con il sociale e il politico. L’intimità diventa uno spazio in cui l’identità si rivela e si mette in discussione.

Another Love Story. Performing Intimacy -Karla Hiraldo Voleau

La fotografia è tradizionalmente associata alla testimonianza. Nei tuoi scatti però sembra più uno strumento di interrogazione. Cosa può ancora dire la fotografia oggi, nell’epoca della sovrapproduzione visiva?
Penso che, oggi, la fotografia non possa più esistere da sola. Nell’epoca dell’eccesso visivo, ha senso solo se inserita in una storia, in un processo. Non cerco la bella immagine, ma ciò che si attiva attorno ad essa. Il testo, per esempio, è assolutamente importante per me: spesso è inserito a mano, per creare un legame ancora più diretto tra lo spettatore e il mio processo. Con Frammenti, per esempio, non è scritto a mano, ma ho trascritto manualmente, con una vecchia macchina da scrivere elettronica, tutte le interviste che ho fatto al centinaio di studenti che ho incontrato in giro per l’Italia. Quindi c’è anche la questione del tempo, impiegato a scrivere, copiare e digerire tutte le storie di questi adolescenti. I ritratti sono importanti quanto le trascrizioni delle nostre discussioni.

Teresa – Karla Hiraldo Voleau

La tua ricerca abita zone ambigue: tra documentazione e finzione, confessione e costruzione. Quanto è importante per te restare in questa ambiguità? È una strategia, una condizione o una necessità?
L’ambiguità è una necessità. Non cerco mai di dimostrare qualcosa in modo netto. Preferisco restare in una zona dove la verità può emergere senza essere forzata. Non è una strategia, è il modo in cui sento che posso lavorare in modo giusto, con rispetto per le storie e per chi le racconta.

Karla Hiraldo Voleau – I Have Nothing to Tell You

Numerosi tuoi lavori esplorano il tema del potere all’interno delle relazioni affettive, esaminando le dinamiche di osservazione, controllo del desiderio e narrazione. Le relazioni che rappresenti appaiono statiche, ricostruite o ritualizzate. Esporsi è un atto di potere o di perdita di controllo? Che tipo di sapere può produrre il corpo?
Esporsi è per me un atto di potere, più che di vulnerabilità. È un modo per ritrovare il controllo su emozioni che spesso mi sembrano ingestibili. Quando metto in scena il mio corpo o la mia emotività, trovo una forma di chiarezza, come se potessi finalmente darle un senso.
Il corpo, in quel momento, diventa strumento, materia viva, capace di produrre conoscenza non solo razionale ma incarnata. Ad esempio, attraverso rituali, attraverso l’atto della scrittura o in performance filmate o fotografate. L’esposizione non è passiva: è un gesto attivo e una forma di presenza totale. E ancora una volta, scegliere sé stessi come materia prima mi sembra derivare da una preoccupazione di onestà – perché anche raccontare le vite degli altri è molto importante, ma può comportare errori, generalizzazioni, interpretazioni errate e manipolazioni.

Karla Hiraldo Voleau – Another Love Story

In diversi scatti sembri occupare una posizione liminale: non solo autrice, ma anche soggetto, regista, spettatrice. Come definisci oggi il ruolo del fotografo in relazione al reale?
Non cerco di definire il ruolo del fotografo oggi, perché credo che non ci sia più un’unica definizione possibile, ma anche perché mi sento sempre meno una fotografa. Mi piace molto la serie ‘The Rehearsal’ di Nathan Fielder, in cui anche lui diventa spettatore, attore, regista e autore di un’opera visiva con un numero sempre maggiore di strati. Mi sembra molto attuale mescolare ciò che sta davanti all’obiettivo con ciò che sta dietro. Sovrapponendo ruoli, punti di vista e strumenti. Siamo in un’epoca di polivalenza e di molteplicità estrema. Ho l’impressione che sia facile conoscere un gran numero di argomenti allo stesso tempo, perché si ha facile accesso a così tante informazioni. È più raro, invece, trovare profondi esperti in determinati argomenti. Tutto questo mi sembra che si rifletta nel nostro approccio all’arte di oggi: meta, diverso, e veloce.

Info: https://khiraldovoleau.com/

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