BOLZANO | SEDI VARIE | IL RESOCONTO
di LIVIA SAVORELLI
Anche quest’anno BAW – Bolzano Art Weeks, per la sua quinta edizione, sviluppatasi dal 3 al 12 ottobre, ha illuminato le menti, è stato aggregatore e attivatore delle straordinarie specificità del territorio, ha riportato alla luce l’importanza del piccolo, del nascosto, del micro, in una prospettiva che come per ogni edizione si rivolge a TUTT*, seguendo il motto TUTTO PER TUTT*. L’inclusività come parola d’ordine che non si limita ad un suo utilizzo “politico” ma diviene attitudine naturale che accoglie e ingloba, facendo entrare tutt* in una realtà realmente orizzontale, non autoreferenziale, in cui ognuno opera per un sentire forte e condiviso in una dimensione plurale e comunitaria, ribaltando la visione antropocentrica ed EGocentrica che caratterizza il rapporto dell’umano nei confronti del territorio, verso una nuova prospettiva totalmente ECOcentrica.
Fare da connettore, riunire le particolarità in un grande format che sappia valorizzare le singole realtà in una visione di insieme di qualità, plurale e condivisa è sicuramente uno delle caratteristiche più evidenti di questo festival che, da anni, ho la fortuna di seguire annualmente e che ha contribuito a modificare la stessa percezione di un territorio che frequento da decenni. Lo sforzo che ho percepito con maggiore intensità in questa nuova edizione, dal titolo Remapping LAND/marks e conclusasi il 12 ottobre, è stata la necessità di rimappare il territorio (già oggetto nelle precedenti edizioni di uno studio, rivalutazione e riscoperta) privilegiando l’aspetto naturalistico e paesaggistico (LAND) e mettendo in un secondo piano tutto ciò che origina dall’intervento antropico sul paesaggio (architettonico, artistico o scientifico che sia).

In quest’ottica, fondamentale è stata la ricognizione dei luoghi naturali e verdi della città di Bolzano, come i “giardini urbani” degli hotel Mondschein, Laurin e Castel Hörtenberg, i “monumenti naturali” come l’imponente Ginkgo biloba nel cortile di Palais Campofranco, donato dall’imperatrice Sissi allo zio arciduca Heinrich, gli spazi verdi comunitari quali l’orto delle Semirurali, del centro giovanile Villa delle Rose e l’oasi sul fiume di Lungomare o altre realtà che si sviluppano a partire dal rapporto natura e cultura come il parco tecnologico del NOI, le serre della Floricultura Schullian. Ec(h)o-es in the Ring del Collettivo Éclat trasforma lo storico Ginkgo in archivio ecologico e politico, voce silenziosa e resistente della natura in città, attraverso una tomografia sonica, che si sviluppa fisicamente intorno all’albero, e una mappatura digitale notturna.

Nella Floricultura Schullian, tre artiste sviluppano altrettante progettualità in dialogo con le piante ospitate nelle serre. Di forte impatto, il progetto Forest Bodies di Alessia Carbonara che si compone di 13 fotografie di ammassi di residui naturali, accumulati nel bosco a seguito di eventi atmosferici disastrosi come la Tempesta Vaia, che assumono una inquietante forma antropomorfa. Allarme rosso è, invece, l’installazione di Annalisa Lenzi che esplora un’altra delle conseguenze della tempesta, la proliferazione del bostrico, un piccolo coleottero che sta devastando intere parti di boschi di abete rosso. Chiude la rosa degli interventi Case Invisibili di Stefania Rossi in cui il concetto di abitare apre le porte ad una visione sensibile di dialogo empatico tra architettura e natura, trasferita in opere pittoriche di piccole dimensioni.

DEEP IN TIME / Tessere il tempo profondo di Nadia Tamanini e Francesco Mina, nel giardino del Parkhotel Laurin, è stata una performance intensa e di lunga durata che ha visto i due performer impegnati a “tessere il tempo”, a partire da sassi raccolti intorno a Bolzano e all’età geologica di ciascuno di essi. L’azione che è stata caratterizzata da un gesto lungo e reiterato, per una durata totale di diverse ore, in cui ogni pietra è stata annodata tante volte quanta la sua permanenza sulla Terra (ogni nodo corrispondeva infatti a un milione di anni), riporta l’attenzione sul tempo profondo dell’esistere del nostro ecosistema e sul conseguente tempo limitato dell’essere umano. Una visione ampia di insieme che rifugge una visione antropocentrica ma ripristina un sano rapporto con l’ecosistema che ci accoglie basato su conoscenza, ascolto e connessione.

BAW permette anche di riportare in luce spazi ormai in disuso (come l‘ex bar della stazione centrale di Bolzano che si affaccia sul binario 1) riattivato dalla suggestiva installazione di Barbara Prenka, curata da Lottozero – centro di design, arte e cultura tessile di Prato – che riattiva il vuoto di uno spazio abbandonato attraverso la presenza scultorea di un elemento, quale la coperta, simbolo di cura ma anche di marginalità sociale e che rimanda a scenari di conflitto e di immigrazione, che si apre al dialogo con tutte le vite che attraversano il binario 1 che si trova appena usciti dall’ambiente.
In What Lies Behind the Boundaries of the Shadow, l’artista di origine kosovare che si muove tra Bolzano e Berlino, riempie il luogo e lo riattiva con un oggetto dal forte valore simbolico reso astratto nel cambiamento della sua funzione d’uso (da oggetto del quotidiano a elemento scultoreo), e dal testo ideato dall’artista e ricamato sullo stesso. Un’operazione intensa per riempire il vuoto con la parola, per riflettere su quotidiano e astratto, per creare connessione tra ciò che è assente e ciò che è presente, riflettendo sul concetto di identità, individuale e collettiva.

Abbracciando la filosofia del sostenere iniziative a basso impatto ambientale, nella domenica del 5 ottobre, BAW ha organizzato un art bike tour che da Bolzano ha portato i partecipanti a raggiungere, attraverso una rigenerante pedalata, Laives per partecipare all’opening della mostra e alla performance di Eduard Popescu organizzata da lasecondaluna e curata da ateirami (Norma Cicala e Lucrezia di Carne), dal titolo Un amore senza fine e a Caldaro assistere alla preview di un nuovo spazio d’arte privato CT ART SPACE e visitare le mostre di Willy Verginer & Martin Kargruber alla Galleria Le Carceri, per raggiungere nella tappa finale Castel Gandegg a San Michele-Appiano.
Un amore senza fine del giovane artista rumeno Eduard Popescu (Bucarest 2002) è un lavoro poetico che, in un mondo che tende a omologare ogni narrazione riconducendola a quella dominante e caratterizzato da immaginari stereotipate, a partire dalla sua storia di immigrato e da quella di sua madre, riporta la luce su storie invisibili e marginalizzate, che riguardano le persone – spesso straniere – che si occupano di lavoro domestico e di cura. Un lavoro fondamentale, che viene totalmente dato per scontato, che determina forme di esclusione sociale e che invita ad un importante riflessione su dinamiche di classe, genere e razza. Una riflessione profonda di chi intraprende un viaggio verso una nuova terra per migliorare la propria posizione nel mondo ma, in questo nuovo luogo, capisce presto di essere nuovamente sottoposto a una nuova marginalizzazione economica e culturale, che fa perdere la propria identità. Un sensibile elogio “a chi rimane e a chi si disperde”.

Tra i BAW25 WINNER, ricordo il progetto PROPAGATION di Christine Runggaldier alla LAIMER GMBH. Da sempre incentrata la sua pratica sul corpo umano e sul funzionamento degli organismi viventi, l’opera studia il processo della proliferazione vegetativa della patata, inducendo a pensare scenari futuribili in termini di vita sulla terra e conquista dello spazio.

La LAIMER GMBH ha altresì ospitato, in un altro spazio dell’azienda, la mostra Scar Cartographies di Fanni Fazekas. La fotografa ungherese di base a Bolzano, a partire da un progetto di residenza a Laives in cui ha partecipato nell’aprile 2025, ha sviluppato intorno al tema delle Cartografie tessili una mappatura, al contempo fisica ed emotiva, delle cicatrici di ciascuna delle partecipanti (tutte donne, artiste e formatrici artistiche). Il risultato è un elogio alla fragilità connessa allo stereotipo femminile, un inno a quegli strappi, che più o memo ricuciti, ci caratterizzano come persone e delineano la nostra identità. Un approccio fortemente relazionale, nel mettersi in connessione con l’Altro, per sviluppare una cartografia emozionale dove l’essenza di ciascuna di queste donne, con le loro ferite fisiche ed emotive che siano, rappresenta un imprescindibile tassello di una mappatura intensa e corale di ciò che solitamente viene nascosto. La restituzione attraverso il ricamo è un atto forte di presa di posizione, di volontà di far riemergere la propria memoria personale e di attraversarla, di far rifiorire la propria identità di donna attraverso lo sguardo e il racconto di un’altra donna. Una rinascita attivata attraverso un gesto collettivo che riunisce le singole individualità.

Una visione corale e fortemente legata al femminile che si ricollega anche all’opera Reginae di Martina Fontana (altro BAW25 Winner), presentata dal curatore Simone Sensi al NOI Techpark. Le sculture, che richiamano le forme perfette degli alveari e lo spirito mutualistico e di condivisione che caratterizza ogni singola ape in quanto membro della collettività, vengono innanzitutto realizzate dall’artista attraverso il coinvolgimento attivo di gruppi di donne attraverso laboratori collettivi di cucito. Un inno alla cooperazione, al rifuggire dall’individualismo imperante che domina la nostra società, al costruire insieme per abbracciare un’idea di collettività forte in grado di fronteggiare le urgenze che questi tempi impongono.

Cittadinanza attiva, cooperazione e progetti di rinverdimento e rinaturalizzazione di aree dismesse (come i terreni attorno al Premstallerhof) per fronteggiare anche gli effetti nefasti del cambiamento climatico, sensibilizzazione attraverso talk dedicati, aggregazione sistematica delle diverse realtà del territorio, coinvolgimento attivo di scuole (in questa edizione il Liceo Pascoli), Università (in particolare la Facoltà di Economia e Management, unibz) e dialogo intenso e costruttivo con le istituzioni del territorio (Museion, Fondazione Dalle Nogare e Ar/Ge Kunst) rendono BAW un collettore fondamentale e uno stimolo per riflettere su tematiche condivise rendendo l’arte contemporanea strumento per delineare nuove strade e visioni, stimolando un pubblico sempre più ampio e intergenerazionale. Finalmente un’arte per PER TUTT*.



