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CORTINA D’AMPEZZO (BL) | Galleria d’Arte Contini  | 29 dicembre 2018 – 22 aprile 2019

di JACOPO RICCIARDI

Parlare delle sculture in ceramica degli Anni ’20 di Arturo Martini, in mostra alla Galleria d’Arte Contini di Cortina D’Ampezzo, oggi che sono passati più di novant’anni, è cruciale per indagare i due principali procedimenti che ha utilizzato l’arte nel secolo scorso e per capire quale evoluzione di questi sia meglio seguire nell’arte di ora.

Narrazione e serialità sono i due dati contrapposti. La prima è sinonimo di tradizione e Martini ne è un esempio primario. La seconda è sinonimo di contemporaneo e trova in un altro scultore un illustre capostipite, ed è Marino Marini. Serialità vuol dire ripetere lo stesso stilema e farlo evolvere su se stesso, dando per esempio alla scultura con cavaliere o al cavallo solo pose sempre più estreme. Narrazione vuol dire, e lo è per Martini, decompressione dello spazio illustrativo, rilassatezza plastica, dilatazione del tempo nella scena, qualità empatica del racconto, dolcezza, invenzione, orizzonte infinito del piacere d’osservazione. In Marini, prevale la compressione dell’immagine nel simbolo, e la scultura diventa forma preparata per la battaglia dell’intelletto. L’arte concettuale fa prevalere la serialità fino alla tautologia, per creare nuove ulteriori divaricazioni intellettuali. La narrazione è rimasta segno di un’arte antiquata, costretta alle spalle della barriera della Seconda Guerra Mondiale. Dopo, la serialità vivrà il suo momento liberatorio proprio come un passo ulteriore oltre la narrazione, in Capogrossi e Fontana.

Arturo Martini, Giuditta, maiolica dipinta, hand painted majolica, cm 30×28. Courtesy Galleria d’Arte Contini

Eppure, tutto in queste ceramiche è portato con una grazia di tocco, come un minuetto. L’invenzione di Martini che usa la tridimensionalità come un quadrante, che mostra tre scene diverse girando intorno alla piccola scultura di Giuditta, che mostra Oloferne addormentato, poi Giuditta che cerca con la lanterna in mano, e in seguito Giuditta con la testa di Oloferne mozzata e sgocciolante di sangue in mano. Ora cosa accade, che questi tre spazi sono ricavati uno a ridosso dell’altro; un pezzo di muro interno diventa dall’altro lato un pezzo di muro esterno che si prolunga in un drappo bianco come una quinta nell’ultima scena. Gli spazi scenici emergono uno suggerito dall’altro come per magia, e lo scultore è riuscito a plasmare il tutto separando le scene mantenendole in continuità e scavando uno spazio dove si svolge l’azione quasi con un effetto miracoloso. Viene da dirsi: “Dove ha trovato tutto questo spazio?” e la meraviglia accentua l’ascolto visivo e lo studio dell’osservazione che si cala in una ambito ormai vivente. Vivente perché ha il nostro ritmo (il simbolo del cavaliere di Marini ha un ritmo sopra-vivente che deve essere compreso da un altrove), e la pittura della ceramica lucida nei suoi pochi colori è espressiva ma gentile nella descrizione, non si impone mai, ma viaggia con il piacere dell’osservazione.

Martini, Giuditta, maiolica dipinta, hand painted majolica, cm 30×28,5. Courtesy Galleria d’Arte Contini

La testa di Oloferne soffre, è sporca, gocciano copiose gocce di sangue dal collo mozzato, mentre il corpo di Giuditta messo in posa plastica è lattescente, e si arricchisce della fragilità del bianco lucido della ceramica, il corpo diretto nell’altra direzione rispetto all’orrida testa, e lei alza il braccio davanti alla testa girata che fugge per non vedere, e la sola nota di colore di lei è il bianco cristallino, il rosso vivo delle labbra leggermente aperte allo stupore o al grido o al principio di una parola, con un puntino marrone di un occhio che trapela, nascosto appena sotto il braccio, che raccoglie psicologicamente tutto l’orrore della scienza, spalancato, pietrificato. Sembra un’esagerazione che tutto questo sia contenuto in una piccola scultura di ceramica di nemmeno trenta centimetri, ma questo è proprio il fuoco della narrazione che si libera nei suoi particolari creati da una partecipazione di bontà dello scultore verso la scena che sta raccontando, e ogni gesto anche minimo sulla pasta dell’argilla è significativo ed è un particolare della narrazione (e non solo momento espressivo come per Marini il pene eretto del cavaliere che si allarga innaturalmente verso la punta) come anche il gesto del pennello che va a cercare inventando il minimo che diventa il tutto nella forza del racconto complessivo.

La delizia di questa miriade di trovate crea un mondo dove la sensibilità e la personalità umana scintilla come un dono per l’uomo stesso. La narrazione è un dono. Il simbolo della serialità è un dovere che deve essere capito, come se si dovesse trovare un nome a un senza nome. La narrazione ha già fagocitato e digerito il nome, e mostra il divenire umano di quel nome. Personalmente ritengo quindi che al simbolo della serialità, alla concettualità tautologica dovrà seguire un ritorno della narrazione, di una nuova diversa narrazione che sente dietro di sé l’immobilità del seriale, in una ulteriore dinamica che racconta qualcosa di noi ora. Osservare Martini ricorda quindi un potenziale sopito nell’arte da quasi cent’anni che può e forse deve riemergere per rompere un assordante silenzio fotto di monadi.

Arturo Martini, San Sebastiano, maiolica dipinta, cm 36×16. Courtesy Galleria d’Arte Contini

Il San Sebastiano in porcellana verde luminosa e profonda viene alzato ed esposto con i polsi legati dietro la schiena, i capelli lisci e lunghi tagliati sotto le orecchie, il corpo massiccio in una posa dal movimento minimo e possente, il corpo non ancora trafitto dalle frecce e il volto girato e destra verso l’alto come in un volo dell’animo. La scena si offre in un candore insieme feroce, pieno di levità spirituale. La scena non cita se stessa, non si riassume, ma si vive, è la scienza, viva in quel momento con tutti gli artifici di un’arte che racconta. Si deve precisare che Martini usa una forma semplificata per essenza, che non perde la ricchezza del vivente, di cose e persone, ma anzi li esalta. Ne risulta una scultura emessa da un occhio limpido sulla vita e ne ritrasmette l’armonia narrativa attraverso una sinfonia controllata di gesti che vanno a sollecitare una forma, di una scena insieme ai suoi personaggi, coesa.

Arturo Martini, Collegiali Policrome, maiolica dipinta, cm 17,5×12,5×12. Courtesy Galleria d’Arte Contini

La scultura può essere una magia, una magia deliziosa che lega e che svela, ecco Le Collegiali, giovani ragazze vestite con una divisa bianca a bori azzurri strette in un abbraccio circolare, ognuna con la sua altezza e posizione della testa, more castane bionde, rivolte tra loro al vuoto interno, con le braccia sulle spalle delle vicine, o strette ai fianchi. La magia consiste nell’assistere dall’esterno a un colloquio segreto e silenzioso, dietro la barriera candida delle divise bianche strette l’una all’altra, nell’indizio delle teste viste sempre da dietro in una posa rivelatrice di un discorso fitto ma il cui contenuto sfugge nel vuoto interno della scultura. Si riesce a sentire il vocìo, si risale da questo alle psicologie possibili nell’aspetto dei volti che si rivolgono a destra o sinistra o davanti a sé. Non si sa cosa si dicono esattamente, ma il tutto della scena è mostrato segretamente e già vissuto nell’osservazione. L’animo che sottilmente e dolcemente si esprime in questa piccola intima scultura può dirsi una magia che esprime ciò che resta taciuto nell’animo.

Arturo Martini, Orfeo, maiolica dipinta – hand-painted majolica, cm 33×28. Courtesy Galleria d’Arte Contini

Orfeo, seduto, suona la cetra in alto alla destra del petto con la testa sognante rivolta leggermente in su. Ha gli occhi girati a destra persi nel vuoto del suono. La cetra sembra uno specchio indirizzato agli animali li riuniti: un gatto raggomitolato ai suoi piedi ascolta attento con la piccola testa sollevata; un leone in piedi su tre rialzi naturali, le sommità tondeggianti coperte da colate di verde smeraldo, con la criniera non riccia ma rigata da segni paralleli come formati da un pettine, porta la testa all’altezza della cetra, ed è fiero e attento; dietro il leone due altri rialzi più affilati svettano sopra la testa di Orfeo, una colomba appollaiata comoda sul primo, e più in alto un’altra colomba bianca nell’atto di aprire le ali e spiccare il volo, sono la narrazione di una musica tanto delicata quanto viva, che percorre l’essere vivente, il mondo naturale, gli animali, che sono la parte ancestrale di un primo dialogo che Martini fa apparire dal vuoto dello spazio nella dolcezza di una scultura di ceramica dipinta; infine un altro animale, un lungo topo forse, si allunga sul rialzo grigio che sorregge la colomba che sta più in alto, e girando da dietro si sporge per spiare la colomba appollaiata.

Quanto è più brutale la serialità di Warhol che vive di distacco e di indifferenza. Francis Bacon decapita la narrazione ed entra nella serialità. Donald Judd è seriale, proto tautologico. Lo stesso Alberto Giacometti è seriale, ripetitivo, anti-narrativo. Per uscire da questa meravigliosa serialità serve un processo alquanto lungo, soprattutto per ritrovare la narrazione. Damien Hirst è Walt Disney. Tracey Emin un fantoccio della narrazione. Sean Scully riesce a dare a ogni quadro una unicità espressiva non di variante, ma di unicità, e può essere inteso come l’inizio di un ritorno verso una narrazione (anche se i Landline sono seriali; meglio i quadri figurativi di suo figlio che gioca; ancora meglio i Wall of Light). Stanley Whitney sembra seriale, ma ogni quadro ha una propria unica fisionomia sottolineata dal titolo. L’unicità dell’esperienza di un singolo quadro allontana dalla serie e principia il viaggio verso una nuova narrazione.

La mostra, alla Galleria Contini di Cortina D’Ampezzo, offre per la prima volta al pubblico quaranta opere degli anni venti di Arturo Martini, provenienti tutte dalla prestigiosa collezione dell’avvocato Costantino Barile (Albissola 1886 – 1968), illustre studioso della storia della ceramica ligure che ha conosciuto direttamente l’artista trevigiano.


Arturo Martini
Magia della ceramica – Le terrecotte e le maioliche della collezione Costantino Barile

Catalogo a cura di Nico Stringa

29 dicembre 2018 – 22 aprile 2019

Galleria d’Arte Contini
Piazza Silvestro Franceschi 7, Cortina d’Ampezzo (BL)

Info: +39 0436 867156 / 0436 867400
cortina@continiarte.com
www.continiarte.com

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