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BOLOGNA | Arte Fiera | #Report

di FRANCESCO LIGGIERI

Alle 9:39 del mattino, già con un piede dentro Bologna, mi trovo in attesa di un amico artista.
Abbiamo dieci ore davanti per esplorare Arte Fiera, quella macchina da corsa che funziona a metà tra adrenalina e déjà-vu. Sono un amante delle sfide contro il tempo, lo ammetto, quindi sì: otto ore per vedere tutto, mangiare qualcosa di decente, prendere appunti e, magari, fare una riflessione degna.
La giornata parte con una colazione al Bar Maurizio, su invito del buon Silvio Salvo, che propone caffè come se fosse una missione diplomatica (Pastis è una colazione con l’opportunità per fare networking, ndr).
Patrizia Sandretto Re Rebaudengo è lì come l’unica grande immensa, splendente stella dell’arte italiana. Nella mia testa mi piace immaginare di stargli almeno simpatico — questo già mi basta per iniziare la giornata con il piede giusto. Tra un cornetto e un sorso di cappuccino, si parla inevitabilmente di politica culturale: “Ma i dazi? E il decreto cultura per abbassare l’IVA sull’arte? Ah, il governo… Sempre il minimo indispensabile, no?”

Veduta della mostra Ai Weiwei: “Who Am I?”, Palazzo Fava, Bologna, courtesy Galleria Continua

Spoiler: ogni anno giuro di non tornare a questa fiera.
Ogni anno torno.
È come per citare un’amica bolognese: (…) quando tua nonna fa i tortellini in brodo: sai che ne hai già abbastanza, ma li mangi lo stesso”. E mentre cammino verso gli ingressi principali, penso che forse dovrei finalmente adottare una nuova filosofia: smettere di lamentarmi e accettare che certe cose vanno così. Eppure, lo so, qui si può essere critici. Lo si deve essere.

Diego Soldà, “Geologia della Pittura”, veduta dello stand di Atipografia ad Arte Fiera 2025

Certe gallerie propongono artisti storici come calamite per collezionisti nostalgici, altre invece puntano su nomi più giovani, spesso con risultati incerti. Il rischio? È raro, perché ogni metro quadrato espositivo costa e il rischio, come si sa, raramente ripaga. Ma ci sono eccezioni degne di nota: Giorgio Persano, Galleria Continua con un Ai Weiwei ancora affilato (La mostra Ai Weiwei: “Chi sono io?” è visitabile fino al 4 maggio 2025 a Palazzo Fava, ndr), Atipografia con uno stand di Diego Soldà che è sempre tanta roba, Galleria Giovanni Bonelli con una Chiara Calore ai massimi livelli, Studio la Linea Verticale (con uno stand interamente dedicato all’artista bolognese Alberto Colliva, scomparso nel 2023, ndr) e Ncontemporary.

Una veduta dello stand di Studio la Linea Verticale, dedicato ad Alberto Colliva, Arte Fiera 2025

Poi ci sono le esposizioni che sembrano esercizi scolastici. Lo stand della BLM Fondazione di Venezia, ad esempio, e mi dispiace molto dirlo ma per onor di cronaca va detto, sembrava la mostra finale di un liceo artistico, salvo Benedetta Cocco – un’aliena che ha finalmente spezzato la monotonia. E qui mi chiedo: promozione o semplice macello creativo?

Una veduta dello stand di Galleria Giovanni Bonelli ad Arte Fiera 2025

Il MAMbo, invece. Sui social sembrava la mostra del secolo (Facile ironia. L’ironia nell’arte italiana tra XX e XXI secolo, ndr). Dentro, l’impressione è stata più simile a un riscaldamento prima di una vera partita. Forse colpa mia, mi ero abituato troppo bene da loro in passato. Certo, alcune opere valgono il viaggio — “La mozzarella in carrozza” da sola è una piccola epifania visiva. Ma nel complesso mi sono chiesto se Balbi e Co. abbiano davvero centrato il bersaglio o se fosse solo una parentesi estetica ben allestita.

Veduta della mostra Facile ironia. L’ironia nell’arte italiana tra XX e XXI secolo, MAMbo, Bologna. Ph. Carlo Favero

E poi c’è Booming. Non mi aveva mai convinto, lo ammetto, ma quest’anno, Gavioli e Stricker, hanno finalmente ridato vita a questo bel progetto. Hanno cambiato location (Palazzo Isolani, ndr), hanno fatto un restyling e hanno dimostrato che con poche risorse si possono fare grandi cose. È la classica sfida Davide contro Golia, e non posso che tifare per loro.

Una veduta dello spazio allestito da d406 per Booming a Palazzo Isolani, Bologna

Ma la vera sorpresa, in generale, sono stati i progetti indipendenti: Supernova, Spazio Relativo e Sof:Art e Capsule – luoghi che resistono alle logiche di mercato e portano avanti un’arte sincera, fatta per chi ama creare, non solo vendere.
Ah, Bologna. Anche se mi fa impazzire con i suoi ritardi e le sue contraddizioni, riesce sempre a offrirmi qualcosa di vero. Tra una fiera e l’altra, i piaceri semplici di un pasto ben fatto o l’emozione fugace davanti a un’opera d’arte mi ricordano perché continuo a tornarci.
E così, mentre la giornata volge al termine, mi torna in mente una frase sentita per caso in una discussione tra artisti: “Siamo circondati da così tanta merda che abbiamo iniziato a pensare che fosse arte.”
Provocatorio? Sì.
Ma forse è proprio questa la funzione dell’arte: farti riflettere su quello che guardi, anche quando quello che vedi non ti piace.

Veduta dello stand della galleria Ncontemporary, Arte Fiera Bologna, Ruth Beraha, Fortune’s always hiding, I’ve looked everywhere

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