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Scusa sono al cinema #3

A cura di Mila Buarque

Volendo fare un paragone ardito: per gli appassionati di cinema i Festival sono quello che le Biennali rappresentano per gli Art Lovers. Se la Biennale per antonomasia è quella di Venezia, il Festival più prestigioso, e quindi ambito da registi e addetti ai lavori, è senza dubbio Cannes. Nei dodici giorni che passano dall’apertura all’assegnazione della Palma d’Oro, quasi un centinaio di film, contando solamente i lungometraggi, vengono proiettati nelle varie sezioni della selezione ufficiale. Per gli addetti ai lavori sono imperdibili almeno quelli del concorso, 18 quelli scelti quest’anno, che competono per la vittoria finale. Per chi invece non può permettersi di dedicare un paio di settimane alla propria passione cinematografica, inevitabile dover scegliere, fra le varie giornate e quindi tra i film della programmazione quotidiana.

Locandina ufficiale di Cannes 2014

Ecco quello che siamo riusciti a vedere nei due intensissimi giorni che abbiamo trascorso sulla Croisette, cominciando da Homesman seconda opera da regista per Tommy Lee Jones dopo Le tre sepolture che, presentato a Cannes nel 2005, valse allo stesso Jones il Premio per la migliore interpretazione maschile. Questa seconda prova dietro alla macchina da presa dell’attore americano racconta il viaggio, attraverso le praterie del Nebraska, compiuto dalla zitella (per i canoni dell’epoca, siamo nel 1854 e il mondo è quello del selvaggio West) Mrs Cuddy (Hillary Swank), in compagnia del disertore George Briggs (Tommy Lee Jones), per accompagnare tre donne che, avendo perso il senno, sono attese dalla moglie di un pastore (Meryl Streep), che cercherà di occuparsi di loro. La durezza della vita in un mondo dove inevitabilmente chi è più debole, come le donne e i bambini, è destinato a soccombere, ci pare il tema centrale di un’opera bella e asciutta.

Tommy Lee Jones sul set di "The Homesman"

Altrettanto interessante è il vincitore del Premio per la migliore regia The Foxcatcher, di Bennett Miller (autore dell’intenso Capote, che valse il premio Oscar al compianto Philip Seymour Hoffman). Basata sulla vera storia dei frateli Dave e Mark Schultz, entrambi campioni olimpici nel 1984 nella specialità della lotta libera, e sul rapporto con il multimiliardario John Du Pont. L’opera ci mostra l’intima e complessa relazione tra i due fratelli continuamente in bilico fra l’amore e la competizione (bellissima ed esemplificativa in questo senso la scena dell’allenamento iniziale, nella quale i due si scontrano, si abbracciano si colpiscono finendo poi per ferirsi) e in qualche modo la confronta con il rapporto freddo e crudele fra Du Pont, loro munifico sponsor e l’anziana ed altera madre (interpretata dalla grandissima Vanessa Redgrave). Rapporti personali, sconfitte, riconoscimenti e dilemmi morali – il minore dei due fratelli rischierà di perdersi senza la guida del maggiore, il quale a sua volta si adatterà, pur a fatica, a compiacere il ricco benefattore – si susseguono fino al tragico e inaspettato epilogo finale.

Immagine tratta dal film The Foxcatcher

Tralasciando per motivi di spazio (e anche perché difficilmente lo vedremo mai nelle sale italiane) l’interessante documentario fuori concorso di Stephanie Valloatto Caricaturistes, sul lavoro e le storie di dodici “vignettisti”, che attraverso le loro pubblicazioni difendono la libertà di pensiero (e di disegno) in varie parti del mondo, terminiamo il racconto della nostra prima giornata al Festival con Juajua dell’argentino Lisandro Alonso, inserito all’interno di Un certain regard, la sezione del Festival dedicata alle opere più sperimentali. Il film, attraverso l’utilizzo di lunghi piani sequenza in 4/3, crea un’atmosfera di sospensione del tempo all’interno della quale si dipana faticosamente la ricerca della figlia scomparsa da parte di un padre (il bravissimo Viggo Mortensen qui a suo agio a recitare anche in spagnolo oltre che nel natio danese) nella Patagonia del 1882. Un cane, un mitico bandito, un’anziana donna (che forse è la figlia o forse la madre che li ha abbandonati anni prima) sono alcuni dei personaggi che l’uomo incontra in questo suo peregrinare, fino al ritrovamento di un oggetto (un soldatino giocattolo?) che appartenuto alla ragazza, apparirà improvvisamente fra le mani della stessa nella Danimarca dei nostri tempi. Alonso crea un film che, pur interessante e pregevole per alcuni aspetti, rimanendo in bilico tra suggestioni oniriche e sviluppo narrativo della storia, rischia a volte di perdersi e di perdere l’attenzione degli spettatori.

To be continued…

Immagine tratta dal film "Jauja" di Lisandro Alonso

Info: www.festival-cannes.com

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