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Scusa, sono al cinema #12

a cura di Mila Buarque

Una delle peculiarità dei festival cinematografici contemporanei è l’incredibile concentrazione di titoli di ogni genere che vengono presentati alla visione degli addetti ai lavori. Dalle otto del mattino fino alla mezzanotte, senza soluzione di continuità, le proiezioni si susseguono mettendo alla prova la buona volontà anche del più ligio e appassionato degli spettatori. Qualcosa inevitabilmente si è costretti a sacrificare, con la paura sempre presente di avere perso proprio quel capolavoro sconosciuto di cui poi tutti parleranno. Arrivare a Venezia quattro giorni dopo l’apertura del Festival moltiplica questa sensazione in maniera esponenziale.

L’Hermine, un film di Christian Vincent, Foto: Jerome Prebois, Albertine, Productions Gaumont

Aleksandr Sokurov e Fredrick Wiseman, Johnny Depp e Jake Gyllenhaal, Janis Joplin e l’Everest, sono solo alcuni dei registi, attori, personaggi e storie che si sono visti fino ad oggi alla kermesse e che abbiamo purtroppo perso. Per questa ragione venerdì sera appena sbarcati dal vaporetto, malgrado gli abiti inzuppati, la stanchezza per il lungo viaggio e l’approssimarsi dell’ora di cena, abbiamo inforcato il pass e affrontato la coda all’ingresso della Sala Darsena. Fatica ripagata dalla visione di L’Hermine, del regista francese Christian Vincent. Un giudice (Fabrice Luchini), presidente di una corte d’assise in un processo per infanticidio, re-incontra, tra i giurati, la donna di cui è segretamente innamorato da anni. La loro storia personale, insieme a quelle degli altri componenti della giuria, si intreccia allo svolgimento del processo. Con un occhio all’illustre precedente de La parola ai giurati di Sidney Lumet, Vincent riesce ad alternare in maniera convincente i toni della commedia e del dramma, grazie anche alla prova del sempre bravo Luchini, che nei panni del protagonista si candida autorevolmente al premio Volpi per la migliore interpretazione maschile.

A BIGGER SPLASH  un film di Luca Guadagnino    con (in ordine alfabetico)  Ralph Fiennes, Dakota Johnson  Matthias Schoenaerts, Tilda Swinton   e  Aurore Clement, Lily McMenamy  Elena Bucci  e con Corrado Guzzanti. Foto: Sandro Kopp

Rinfrancati da questa prima (positiva) visione, ci siamo così avviati al nostro risveglio sabato mattina, alla visione di A Bigger Splash, quarto film del regista italiano Luca Guadagnino. Ispirato a La piscina, film del 1969 di Jacques Deray, racconta le vicende di Marianne (Tilda Swinton) rockstar temporaneamente afona a causa di un’operazione, e di Paul (Matthias Schoenaerts) il suo compagno che, mentre trascorrono un periodo di vacanza in un Damuso a Pantelleria, vengono raggiunti da Harry (Ralph Fiennes), produttore discografico ed ex compagno della cantante e dalla figlia di lui Penelope (Dakota Johnson). Malgrado il cast stellare (c’è anche Corrado Guzzanti ad interpretare un macchiettistico ispettore di polizia), gli straordinari paesaggi panteschi e l’innegabile talento visivo del regista, il film non sviluppa alcuno degli interessanti filoni narrativi che si intravedono inizialmente (per esempio il rapporto tra l’imborghesimento a cui inconsciamente tende la Swinton e lo stile di vita tipico del Rock’n’Roll tutto droga ed eccessi che si ostina a praticare il personaggio interpretato da Fiennes) per perdersi dietro alle storie personali dei quattro protagonisti fra luoghi comuni e maledettismi esistenziali, con sullo sfondo un mondo fatto da ebeti in adorazione delle celebrità.

El Clan, un film di Pablo Trapero. Courtesy K&S Films

Tutt’altra potenza ha invece il secondo film che abbiamo visto durante la mattina, l’argentino El Clan scritto e diretto da Pablo Trapero. All’inizio degli anni ’80, nell’epoca a cavallo tra la fine della dittatura e l’avvento della democrazia, a San Isidro, un sobborgo di Buenos Aires, vive la famiglia Puccio. Il padre è un membro dei servizi segreti. I cinque figli vivono vite normali tra lo studio e lo sport (Alejandro, il figlio maggiore, è un campione di rugby e fa parte della nazionale argentina). Ma dietro questa apparente normalità si nasconde una vita fatta di rapimenti e uccisioni. Il Clan Puccio (così fu denominato dai quotidiani che all’epoca si occuparono di questi fatti) è il protagonista di un fatto di cronaca che sconvolse un paese allora dolorosamente abituato a confrontarsi quotidianamente con la violenza. Nel ricostruire questa agghiacciante storia Trapero riesce perfettamente ad inserirla nel contesto storico, raccontando come ogni personaggio sia figlio di una società che era tristemente costruita sulla sopraffazione e sull’abuso di potere. Un film lucido e avvincente che speriamo abbia colpito i giurati quanto noi e nel quale abbiamo ritrovato alcune atmosfere già viste nel cinema di un altro interessantissimo regista contemporaneo sudamericano, il cileno Pablo Larrain, figlio di una nazione che con quella Argentina condivide una storia recente comune.

72. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
diretta da Alberto Barbera
organizzata dalla Biennale di Venezia

2 – 12 settembre 2015

Lido di Venezia

Info: www.labiennale.org

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