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GENOVA | Palazzo Ducale | fino al 19 agosto 2012

di LUISA CASTELLINI

Sono state in un certo senso le Migrazioni di Uliano Lucas a tenere a battesimo questa lunga stagione di Palazzo Ducale dedicata alla fotografia. Stagione che prosegue fino al 19 agosto insieme ad altri due grandi maestri. Sebbene vicini per volere o per sorte a Genova, nella differenza dei loro percorsi Dondero e Giacomelli ben danno, infatti, misura della vastità e profondità di orizzonti della ricerca fotografica italiana. Non mancano del resto le prossimità, tra i due. Ma si tratta di vicinanza da intendere a livello etico e progettuale. E di una “comunione ontologica” che ha i propri cardini nella consapevolezza del medium e quindi di quel mondo che l’immagine va a formare. Qui, in Dondero, l’immagine di reportage con tutti i suoi annessi, etici e sociali. Immagine consapevole, da consegnare alla società civile più che allo sguardo estetico. Là, in Giacomelli, l’immagine che volentieri si fa sequenza senza lasciarsi invischiare dalla narrazione e la trasfigurazione, di spazio e di tempo, che può attuarsi nel corpo dei Pretini quanto nelle tracce d’aratro dei campi sorpresi dall’alto. In entrambi, certamente, un’immagine che conserva quell’opacità necessaria a renderla tale e non altro.
Se del reportage siamo condotti di solito a considerare formativi elementi quali lo spazio e il tempo, benché molte immagini, da sempre, di reportage “stretto” o meno, tendano a trascenderli (si pensi alla riflessione di Barthes sul ritratto del condannato a morte Payne, per restare tra gli illustri) svincolandolo da una certa fotografia di “ricerca” tra classi ed etichette, tra Dondero e Giacomelli siamo posti di fronte alla necessità di riformulare la questione e questo conferisce nuovamente la misura del valore delle ricerche di entrambi, nella loro specificità.

Prendiamo allora, l’indimenticabile immagine di Dondero del gruppo degli scrittori del Nouveau roman, che gli è valsa l’epiteto, oltralpe, di fotografo letterario. Il marciapiede è quello di rue Palissy, Parigi ovviamente, di fronte alla sede delle éditions de Minuit. Il clima quello di un ottobre del 1959. Era il 16 del mese, per amor di precisione. Sembra un po’ una foto di classe, come avrebbe ricordato anni più tardi Dondero. Forse aveva ragione, ma di che classe si tratta: Nathalie Serraute, Samuel Beckett, Alain Robbe-Grillet, Claude Mauriac, Claude Simon, Jerome Lindon, Robert Pinget, Claude Ollier. Nessuno, tanto per annotare l’evidenza, fissa l’obiettivo. E giù, da allora, fiumi d’inchiostro su “pose” e co. Oltre che, naturalmente, sui protagonisti dello scatto che è diventato emblematica traccia (o l’è stato di Barthes: rieccolo) sublimata in momento.

Prendiamo poi uno scatto, qualsiasi, di “Vita d’ospizio” di Giacomelli. Si tratta di immagini realizzate nella prima metà degli anni ’50 nell’istituto di Senigallia, che il nostro ben conosceva perché la madre vi lavorava. Si tratta sì di un reportage: si sviluppa immagine dopo immagine ma più che al racconto è prossimo alla poesia. Dove ogni parola, come ogni pausa, gode del valore dell’irriducibilità.

Il dato, imponente, non è spaziale o temporale, ma umano, in tutte le sue sfaccettature. Dolore, solitudine, e via dicendo. Stesso dato che incontriamo, nell’altro versante, la gioia, nella danza dei ben noti Pretini (e qui, ancora, la poesia del “Non ho mani che mi accarezzino il volto”). Gioia che si fa rarefatta per, appunto, poter giocare. Lui è Giacomelli, che per quarant’anni o giù di lì studierà ogni ruga dei campi marchigiani attraverso i quali costruirà una dimensione, nuovamente poetica, struggente e al tempo stesso (sì il tempo) incalzante. Difficile definire già gli scatti degli anziani dell’ospizio e ancor più i campi reportage ma solo perché si vuole assecondare una lettura piuttosto che l’altra del termine. Abbracciando invece le sue tante e straordinarie sfumature, che già ben evidenzia Dondero (si pensi agli straordinari ritratti, di volti noti o meno) possiamo goderci il lusso di non precluderci nulla. Ovvero di non lasciarci ammansire dalle parole quando etichette e, al contrario, lasciarci semplicemente accompagnare quando l’obiettivo (se è permesso il gioco di parole) è l’approdo all’immagine. In sintesi: due grandi maestri della fotografia italiana le cui mostre invitano non già a celebrare (come l’uso del termine maestri suggerirebbe) quanto ad agire e riflettere. E scusate se è poco.

Mario Dondero. Dalla parte dell’uomo
Loggia degli Abati, Palazzo Ducale – Genova

Mario Giacomelli. Un maestro della fotografia del Novecento
Sottoporticato, Palazzo Ducale – Genova

Orario: dalle 11 alle 19 – tutti i giorni – lunedì chiuso

Info: palazzoducale.genova.it

Fino al 19 agosto 2012

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