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The Chinese Umbrella Hat Project (Parte II), Venezia 2011

Intervista ad Andrea Bianconi di Francesca Di Giorgio

«…Dare alla grande comunità cinese un volto». Con lo sguardo rivolto a Shanghai (sede della prima tappa, nel settembre 2010) e il pensiero a Venezia, Andrea Bianconi concepisce una performance che costruisce un ponte, nel tempo e nello spazio, tra due comunità unite da un legame storico-culturale molto forte. Da Shanghai a Venezia – il progetto è inserito nel calendario delle celebrazioni ufficiali previste per l’Anno della Cultura Cinese in Italia – 88 volontari – vestiti di seta rossa, con maschere dell’Opera e in testa cappelli ad ombrello cinesi, da cui ciondolano gli oggetti più disparati – sabato 4 giugno, hanno passeggiato da Piazza San Marco ai Giardini Pubblici della Biennale. «Le persone fotografavano, si meravigliavano, amavano l’aspetto sereno e poetico di questi 88 personaggi… una nuvola rossa» racconta Bianconi. Il numero 88 non è casuale e rafforza il valore simbolico che la tradizione culturale cinese attribuisce all’8: come segno di buon auspicio e fortuna interculturale…

Francesca Di Giorgio: Quando e come nasce The Chinese Umbrella Hat Project?
Andrea Bianconi:
L’idea nasce dalla voglia continua di scoprire nuovi luoghi e nuove culture. Quando pensavo alla Cina, mi spaventavo, mi rendevo impotente, era qualcosa che non conoscevo, ho voluto, a mio modo, affrontare questa paura. L’idea ha iniziato a concretizzarsi a Canal Street a New York, in un grande negozio cinese che vendeva gabbie per uccelli. Un anno dopo, io e mia moglie Sonia, siamo andati a Shanghai, abbiamo vissuto per due mesi in un appartamento di 20mq in un palazzo di 500 cinesi in una zona “residenziale” cinese. Con rispetto e umiltà ho iniziato a conoscere le tradizioni, i costumi e la cultura, le persone, le sete, la Cina , l’Italia… guardando Shanghai pensavo a Venezia.

Dopo Shanghai, Venezia. Per The Chinese Umbrella Hat Project hai scelto le location in coincidenza di eventi particolari: l’Expo 2010, la Biennale e la fiera d’arte contemporanea ShContemporary di Shanghai e le giornate d’apertura della 54. Biennale di Venezia…
Il progetto, sin da subito, era composto da due parti, la prima parte a Shanghai, la seconda a Venezia. Volevo creare un simbolico ponte culturale, di 88 persone, tra queste due città. A Shanghai, il 9 settembre dello scorso anno, nella via principale, Wujiang RD West NanJing RD, e a Venezia, lo scorso 4 giugno, da Piazza San Marco ai Giardini. Come lo spazio anche il tempo è molto importante, così ho voluto realizzarla in due momenti storicamente e culturalmente importanti per le rispettive città.

Come hai deciso di strutturare la tappa veneziana? Come si è svolta “l’incursione”? Ci sono stati cambiamenti in corso d’opera? (ho notato che in Cina si trattava dei giovani della Shanghai Dance School mentre chi hai scelto per Venezia?)
C’è stato un cambiamento durante la preparazione della performance, un grande supporto mi è stato dato dal Dipartimento di Studi sull’Asia dell’Università Cà Foscari di Venezia e dell’Istituto Confucio presso la stessa Università, con il Patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica Cinese in Italia e dell’Istituto Italiano di Cultura a Shanghai, che mi hanno aiutato a trovare le 88 persone, a Shanghai erano cinesi della Shanghai Dance School, a Venezia, erano 88 volontari che studiano la cultura e la tradizione cinese presso l’Università. 88 è un numero che, nella tradizione cinese, significa molta fortuna… “giving the great Chinese community a face”.

La performance si alimenta di un doppio dialogo quello tra Cina – di cui ricorre l’anno culturale in Italia – e il nostro Paese – che celebra i 150 anni di unità…
La performance rappresenta la cultura tradizionale cinese, le relazioni storiche tra Cina e resto del mondo, le interdipendenze culturali, l’apertura e la dinamica della civilizzazione, lo scambio e la comunicazione tra persone, la comprensione internazionale, il passaggio da passato a futuro.

La dimensione performativa accompagna da sempre il tuo lavoro dilatando il privato fino a farlo diventare pubblico e viceversa…
Un aspetto importante nel mio lavoro è lo spazio, sia fisico, sia culturale.
Ritornando alle gabbie, esse rappresentano prigione e allo stesso tempo protezione, sono chiusura rispetto agli altri ed apertura verso noi stessi, sono il rapporto tra noi stessi e gli altri, tra il nostro pubblico e il nostro privato, tra la ragione e il sentimento, tra l’amore e la paura d’amare, tra me e mia moglie, tra ciò che conosco e ciò che non conosco, tra la città dove sono nato e la città dove vivo, tra la mia cultura e le altre culture, tra un oggetto e gli altri oggetti.

Il progetto in breve:
The Chinese Umbrella Hat Project (Part II), Venice 2011

Un progetto interculturale di Andrea Bianconi, curato da Oliver Orest Tschirky
Sabato, 4 giugno 2011 (settimana d’apertura de La Biennale di Venezia 2011)
16-18 pm, San Marco / Giardini Pubblici della Biennale, Venezia
Info: elisapaiusco@fondazionevignato.it

In alto:
“The Chinese Umbrella Hat Project”, Venezia 2011
In centro:
“The Chinese Umbrella Hat Project”, Venezia 2011
In basso:
Andrea Bianconi, performance Shanghai, 9 settembre 2010

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