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Milano | Officine dell’Immagine | 9 febbraio – 2 aprile 2017

Dal 9 febbraio al 2 aprile 2017, la galleria Officine dell’Immagine di Milano ospita la collettiva curata da Silvia Cirelli, WE CALL IT “AFRICA”. Artisti dall’Africa Subsahariana, una mostra interamente dedicata al complesso e multiforme panorama artistico dei Paesi della cosiddetta Africa Subsahariana.

La scelta del titolo vuole provocatoriamente soffermarsi su quante volte si adoperi una forzata specificità geografica o generazionale, circoscrivendo o ancor peggio “ghettizzando” una particolare scena creativa. WE CALL IT “AFRICA” rappresenta dunque il tentativo di esplorare le varie e diverse “Afriche”, gli innumerevoli universi sia culturali che estetici che popolano questo poliedrico panorama, mettendo l’accento sul rapporto fra arte e società contemporanea.

Bronwyn Katz, Grond Herinnering (Soil memory), 2015

Bronwyn Katz, Grond Herinnering (Soil memory), 2015

Dimitri Fagbohoun (Benin), Bronwyn Katz (Sudafrica), Marcia Kure (Nigeria) e Maurice Mbikayi (Repubblica Democratica del Congo) sono gli interpreti invitati a raccontare, per la prima volta in Italia, le tante contaminazioni nell’arte di temi di grande attualità, concentrandosi su questioni socioculturali, identitarie e geopolitiche, particolarmente rappresentative della complessa realtà africana.
Questi artisti vantano già importanti partecipazioni internazionali: Dimitri Fagbohoun era fra i protagonisti della collettiva The Divine Comedy al MMK Museum di Francoforte nel 2014; Marcia Kure è all’interno di prestigiose collezioni pubbliche come quelle del Centre Pompidou di Parigi, del British Museum di Londra e del Smithsonian National Museum of African Art di Washington; Maurice Mbikayi era fra i finalisti del Luxembourg Art Prize 2016; mentre Bronwyn Katz ha vinto nel 2015 il Sasol New Signatures Merit Prize (Sudafrica) con il video Grond Herinnering, presentato anche in questa occasione.

Dimitri Fagbohoun, Les Patriotes, 2012

Dimitri Fagbohoun, Les Patriotes, 2012

Aprono l’esposizione, i lavori del congolese Maurice Mbikayi (‘74), la cui pratica artistica si concentra sull’impatto della tecnologia nel tessuto sociale africano, e sulla triste realtà delle discariche di rifiuti elettronici che stanno letteralmente avvelenando l’Africa. Alle installazioni realizzate interamente con materiali di riciclo tecnologico, l’artista affianca opere che indagano il tema del dandismo nella quotidianità congolese, un fenomeno molto diffuso che adotta, oltre a una certa eccentricità nell’abbigliamento, anche uno specifico modello etico.
Seguono i lavori di Marcia Kure (‘70), che s’interroga invece sugli effetti del post-colonialismo e la conseguente frammentarietà identitaria e sociale, una frammentarietà che si proietta anche nelle modalità espressive da lei stessa scelte. Il suo, è infatti un vocabolario estetico che punta su un immaginario poliedrico dove convivono forze in continuo contrasto, elementi opposti che annullandosi fra loro, generano una tensione –linguistica e concettuale – prepotente, riconducibile all’allegoria di un’eredità “scomposta” e a memorie dalla natura inquieta.

Marcia Kure, Potus from Of Saints and Vagabonds series, 2017

Marcia Kure, Potus from Of Saints and Vagabonds series, 2017

L’intreccio di suggestioni spesso in contrasto fra loro torna anche nella pratica artistica di Dimitri Fagbohoun (‘72), che spazia fra scultura, video e installazioni, spingendo verso un eclettismo grammaticale che esalta temi quali il ricordo, la politica, la religione e la dimensione poetica dell’esistenza. In una narrazione visionaria che gioca sugli equilibri fra visibile e non visibile, l’artista si confronta con la vulnerabilità dell’essere umano, esplorandone i processi di creazione e distruzione.
La mostra si chiude con la giovane Bronwyn Katz (‘93), che stupisce con una ricerca artistica dal complesso potere immersivo. Al centro della sua cifra stilistica, l’importanza della terra come depositaria ma anche custode della memoria culturale sudafricana, una memoria che nasconde le cicatrici di una storia che ha visto prima il colonialismo e ora un feroce neocolonialismo economico. L’aspetto sensoriale risulta dominante nella trama estetica di questa talentuosa interprete, capace di svelare con timida urgenza, un universo che da privato, diventa ben presto collettivo.

WE CALL IT “AFRICA”. Artisti dall’Africa Subsahariana
a cura di Silvia Cirelli

9 febbraio – 2 aprile 2017
Inaugurazione: giovedì 9 febbraio 2017

Officine dell’Immagine
via Atto Vannucci 13, Milano

Ingresso libero
Orari: martedì – sabato: 11 – 19; lunedì e giorni festivi su appuntamento

Info: +39 02 91638758
info@officinedellimmagine.it
www.officinedellimmagine.it

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