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MILANO | Viasaterna | 25 ottobre – 22 dicembre 2017

Intervista ad ALESSANDRO CALABRESE di Eleonora Roaro

Impasse
è il titolo della personale di Alessandro Calabrese (Trento, 1983) che si è inaugurata il 24 ottobre in Viasaterna. Si riferisce ad una strada interrotta, un vicolo cieco, e quindi in senso più ampio ad una condizione di paralisi che riguarda la fotografia, l’arte e la società attuale. Il lavoro (e quindi la noia), la sovrabbondanza di immagini e il ruolo dell’autore sono al centro della sua poetica, con un forte riferimento all’opera di David Foster Wallace. Ne abbiamo discusso con l’artista…

Alessandro Calabrese, Impasse, courtesy Viasaterna

Alessandro Calabrese, Impasse, courtesy Viasaterna

In occasione dell’opening, la performer Isadora Cartocci ha letto alcune parti de Il re pallido di David Foster Wallace, che era un tuo riferimento anche nella serie A Failed Entertainment…
In realtà non era nei miei intenti insistere troppo sulla sua figura. Mi piace quello che fa, ma ne riconosco i limiti. In genere ho pochissimi riferimenti che consumo fino all’osso. Se già la serie A Failed Entertainment era ispirata a Foster Wallace, non volevo che il rapporto con il suo lavoro fosse troppo esplicito anche con The Long Thing. In quest’ultimo caso mi sono appropriato di alcune parti del romanzo per giustificare un progetto che ha a che fare con il tema della noia e del lavoro. Il titolo poi è il modo in cui si riferiva Wallace al suo lunghissimo romanzo incompiuto Il re pallido: la cosa lunga, appunto.

Alessandro Calabrese, Untitled, dalla serie The Long Thing, cm 160x120, 2017 © Alessandro Calabrese, courtesy Viasaterna

Alessandro Calabrese, Untitled, dalla serie The Long Thing, cm 160×120, 2017 © Alessandro Calabrese, courtesy Viasaterna

Avevo scelto questa frase da Il re pallido che mi piaceva che tu commentassi, per poi scoprire che è quella che hai stampato sul poster distribuito durante l’inaugurazione! La chiave burocratica alla base di tutto è la capacità di avere a che fare con la noia. Di operare efficacemente in un ambiente che prelude tutto quanto è vitale e umano. Di respirare, per così dire, senz’aria. La chiave è la capacità, innata o acquisita, di trovare l’altra faccia della ripetizione meccanica, dell’inezia, dell’insignificante, del ripetitivo, dell’inutilmente complesso. Essere, in una parola, inannoiabile1.
The Long Thing è un lavoro che nasce da un momento di noia ed è legato alla mia precedente serie A Failed Entertainment, realizzato tramite una noiosa e ripetitiva scansione di acetati. Ha origine come forma di reazione ad un processo fisico che mi stava alienando.
Forse anche concettualmente si rifà a Il re pallido, perché vuole essere una sorta di catarsi. Wallace parla in maniera abbastanza noiosa del concetto di noia, ma ci inserisce dei momenti poetici, divertenti ed estremamente belli a livello di scrittura. Quei momenti catartici sono un modo per valorizzare il lavoro come stimolo per fare qualcosa che sia anche estetizzante, piacevole. Avevo la necessità di realizzare un progetto che fosse visivamente appagante per me ed era un modo per parlare di una frustrazione personale che però riguarda tutti: quella del lavoro e della noia.

Foster Wallace, nella lunghissima filmografia fittizia di James O. Incandenza, si riferisce a Infinite Jest (Lo scherzo infinito) come il primo tentativo di intrattenimento commerciale, non finito e non visto2. Diversi temi s’intrecciano nel romanzo, da cui l’assuefazione per l’eccesso di immagini. Nel tuo progetto c’è anche una riflessione sul ruolo dell’artista e sull’autorialità, come emerge anche dal catalogo A Failed Entertainment, pubblicato per Skinnerboox con un testo di Tacco Hidde Bakker e un’intervista di Francesco Zanot.
A Failed Entertainment era il titolo provvisorio di Infinite Jest. Il mio progetto è un intrattenimento fallito a tutti gli effetti: la gente non lo trova divertente. La fotografia come intrattenimento è un fallimento. Ho fallito come fotografo e come produttore di immagini.
Il progetto nasceva da un’intuizione banalissima. Nel 2012 avevo inserito le fotografie più costose della storia su Google immagini, in modo da trovare fotografie molto simili se non identiche a quelle di partenza, ma gratuite. Per me, che avevo iniziato a lavorare come fotografo, non aveva più senso continuare a produrre immagini e allora feci una scelta secondo me concettualmente coerente. Avevo così inserito duecento fotografie prodotte in tre anni all’interno di Google immagini, e per ogni mia fotografia salvavo quelle che la rete mi restituiva, le stampavo su acetato e scansionavo, per poi sovrapporle.
L’idea era di evitare di scegliere, di sacrificare l’autorialità. Vivevo un conflitto con me stesso circa la necessità di esprimersi: mi chiedevo perché si dovesse mettere in mostra qualcosa. Mi suonava arrogante, presuntuoso. Anche se poi questo è un paradosso, perché non è possibile non esprimere un’opinione.
In The Long Thing l’automatismo è sempre presente, anche se è meno casuale che in A Failed Entertainment. Volevo riprendere in mano il volante, lasciando però alla macchina la libertà di prendere le sue decisioni. Lo scanner, che mi piaceva perché evocava l’immaginario dell’ufficio, era impostato in maniera automatica, in modo tale che le immagini non dipendessero dalla mia volontà dal punto di vista cromatico, compositivo e non solo. È uno strumento affascinante, anche se superato. Se nel progetto precedente avevo usato Google e algoritmi, quindi cose assolutamente dei nostri tempi, in questo caso tutt’altro. La fotocopiatrice veniva già usata negli anni ’60/’70 come strumento artistico e inoltre mi rifacevo alle sperimentazioni di Man Ray, William Fox Talbot e Frederick Sommer.

Alessandro Calabrese, Untitled, dalla serie The Long Thing, 2017 © Alessandro Calabrese, courtesy Viasaterna

Alessandro Calabrese, Untitled, dalla serie The Long Thing, 2017 © Alessandro Calabrese, courtesy Viasaterna

Molto forte nella tua pratica è un istinto iconoclasta e un rifiuto della narrazione. In poche parole, una tendenza all’astrazione. Così scrive Foster Wallace in Tutto, e di più, un saggio sulla matematica, peraltro abbastanza opinabile: Vale la pena intendersi sul significato di astrazione. […] Da un punto di vista grammaticale la radice è aggettivale, dal latino abstractus= “tirato via”. L’Oxford English Dictionary riporta nove definizioni principali dell’aggettivo “astratto”, la più appropriata delle quali è la 4a: “distante o separato dalla materia, da un’incarnazione materiale, dalla pratica o da esempi specifici. Contrario di concreto3. Che cosa pensi dell’astrazione in riferimento alla tua pratica artistica?
La questione dell’astratto è per me fondamentale perché uno dei riferimenti “di pancia” è Francis Bacon, soprattutto nella lettura che ne fa Gilles Deleuze in La logica della sensazione. Mi riconoscevo molto nel limite tra astratto e figurativo a cui fa riferimento. E Bacon era esattamente lì, a metà: corrompeva l’immagine senza però finire nell’astratto. Per me era chiaro quindi che non avrei mai fatto nulla di totalmente astratto, ma nel lavoro nuovo mi sono contraddetto. Certo, se ti spiego le immagini non sono astratte: sono dei gesti concreti che appaiono come un’astrazione. Non sono astrazioni di qualcosa che non esiste, ma traduzioni di oggetti reali. Sono uno specchio un po’ deformato di qualcosa di tangibile. Per esempio queste otto immagini colorate partono da alcune cartelle da ufficio che ho scansionato. Questo processo è un contrasto tra il mio movimento e la macchina che legge l’informazione in maniera casuale. Per rispondere alla tua domanda, non credo che sia astrazione opposta dal concreto, ma che invece parte da qualcosa di concreto.

1 David Foster Wallace, Il re pallido (Torino: Einaudi, 2011), 566-567
2 David Foster Wallace, Infinite Jest (Torino: Einaudi, 2006), 1184
3 David Foster Wallace, Tutto, e di più: storia compatta dell’∞ (Torino: Codice edizioni, 2003), 9

Alessandro Calabrese. IMPASSE

25 ottobre – 22 dicembre 2017

VIASATERNA
Via Giacomo Leopardi 32, Milano

Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 12 alle 19. Mattine e sabato su appuntamento

Info: +39 02 36725378
www.viasaterna.com

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