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LUGANO | Must Gallery | fino al 22 ottobre 2017

La conoscenza del lavoro di Anna Skoromnaya nasce in un preciso momento: la sua selezione tra gli artisti finalisti, prima, e la vincita di un premio speciale, poi nell’ambito dell’Arteam Cup 2016, premio organizzato dall’Associazione Arteam che presiedo. Nelle sale del Palazzo del Monferrato di Alessandria, dove la mostra aveva luogo, Homeward – il lavoro selezionato – era un perfetto connubio di luce, movimento, suono.
Avendo vissuto molto da vicino il lavoro e la crescita di questa giovane artista bielorussa, la decisione di occuparmi di questa intervista, proprio nel momento che la vede protagonista a Lugano, fino al 24 settembre, della mostra derivante dal Premio Speciale Must Gallery aggiudicatosi in occasione di Arteam Cup…

Anna Skoromnaya alla mostra di Arteam Cup 2016, Palazzo del Monferrato, Alessandria

Anna Skoromnaya alla mostra di Arteam Cup 2016, Palazzo del Monferrato, Alessandria

Partiamo dai tuoi esordi, la grafica d’arte prima e la pittura poi. Cosa ha determinato l’approdo ai new media? Cosa vuole esprimere la tua arte, attraverso l’uso dei light box e del sonoro?
La fine degli anni ottanta nell’URSS coincise con il repentino ingresso della tecnologia nelle case. In breve si iniziò a parlare di personal computer e a capire quanto le nuove tecnologie potessero davvero cambiare le nostre vite ed il mondo. I vari ricordi gioiosi della mia infanzia, vissuta in quel contesto, includono l’arrivo della mia prima video camera, dell’attrezzatura audio, del notebook, fino al tanto desiderato Macintosh.
Credo che la scelta di inserire costantemente i new media all’interno delle mie opere venga anche da quelle lontane emozioni, dalla consapevolezza che si tratti di strumenti che rappresentano come nessun altro i nostri tempi, consentendo soprattutto di esprimermi con una ricchezza comunicativa, una maggiore dinamicità e una multisensorialità che trovo, non solo contemporanee, ma molto più vicine alla mia sensibilità artistica.
Ho dedicato vari anni al disegno, alla pittura e alla composizione, laureandomi proprio in pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dopo un triennio in grafica d’arte all’Accademia di Minsk. Credo che le basi artistiche siano molto importanti, perché rappresentano sempre, negli anni e nelle diverse sperimentazioni, un punto di riferimento essenziale a cui attingere. Anch’io, come molti, ho mirato ad una dimensione nuova; in particolare la staticità delle immagini mi è sempre apparsa come un limite, così mi sono dedicata alla ricerca e alla sperimentazione con la luce led e, nel 2014, sono riuscita a presentare la mia prima serie di lavori multimediali, SOS CODE. Si tratta di opere realizzate con una tecnica del tutto inedita, che io ho chiamato ”lightbox dinamico”, dove le figure sono in movimento, in continua trasformazione, attraverso una sorta di illusione ottica creata grazie allo spostamento della luce led incorporata, con una traccia sonora che la integra e, al contempo, consente allo spettatore di recepire in modo multisensoriale il tema affrontato.

Anna Skoromnaya, Homeward, 2015, stampa Lambda, light box con intervento di luce LED dinamica, audio, sequenza 4’ 49’’ Light box, LED lights, audio, sequence 4’ 49’’, cm 130x180

Anna Skoromnaya, Homeward, 2015, stampa Lambda, light box con intervento di luce LED dinamica, audio, sequenza 4’ 49’’, cm 130×180

Parliamo di Homeward e della produzione a quel lavoro più affine, quali i temi affrontati?
Da anni sono interessata a scandagliare gli aspetti relativi all’animo umano, alle sue trasformazioni connesse a momenti cruciali della vita, analizzando le spinte e le cadute, i vuoti e le ambizioni dell’uomo. Questo lavoro di ricerca mi ha portato a sviluppare un crescente interesse verso lo spirito collettivo del mondo contemporaneo, andando ad investigare i rapporti all’interno della società. Ho quindi realizzato la serie SOS CODE per affrontare un immaginario viaggio interiore di un singolo, riflettendo sul deficit comunicativo e di interrelazione tra gli individui. Le difficoltà di comunicare e di essere ascoltati in EMERGENCE, i meccanismi di trasformazione psicologica in STEPS, la confusa deriva di un vivere senza punti di riferimento anche relazionali in ADRIFT sono le tappe di questo percorso, la cifra tematica che ho sentito il dovere di arricchire con la denuncia dei meccanismi di esclusione dell’altro, vissuto come diverso e, quindi, pericoloso.
HOMEWARD descrive proprio il tragitto simbolico e finale di quest’esperienza umana verso la consapevolezza del suo essere sociale. Nel corpo, che si leva faticosamente in direzione del sole, vi è la forza evocativa del percorso di avvicinamento a considerarsi parte di una comunità. Da una condizione di prostrazione determinata dai vari egoismi, l’uomo si muove infatti per arrivare alla dimensione ideale che lo ricongiunge al suo io più autentico, dove le diversità diventano valori e rappresentano la pienezza stessa del vivere.

Anna Skoromnaya, Adrift, 2015, stampa Lambda, light box con intervento di luce LED dinamica, audio, sequenza 2’ 20’’, cm 130x180

Anna Skoromnaya, Adrift, 2015, stampa Lambda, light box con intervento di luce LED dinamica, audio, sequenza 2’ 20’’, cm 130×180

Dopo l’aggiudicazione del premio hai lavorato senza sosta ad un progetto la cui prima tappa è stata presentata proprio in occasione di questa mostra-premio… Ci racconti brevemente a chi vuoi dare voce con Kindergarten?
Kindergarten è un viaggio surreale tra le macerie di un fragile e delicato mondo stritolato dall’egoismo. Vuole anche però essere una denuncia contro la compressione, la negazione dei diritti della fascia più vulnerabile della nostra società, i bambini. Al giorno d’oggi ci sono ancora milioni di piccoli sfruttati, costretti a lavorare in condizioni disumane, senza possibilità di studiare, giocare, vivere la propria infanzia e costruire il proprio futuro. È agghiacciante pensare che vere e proprie legioni di bimbi sono mandate ad uccidere e a morire in guerre, a diventare, a loro insaputa, strumenti di morte, attentatori suicidi con la folle promessa di guadagnarsi un posto in Paradiso. Altrettanto vergognosa è la condizione di centinaia di migliaia di bambine che ancora sono vendute come spose, mutilate nella loro più tenera intimità, private della possibilità di sognare, innamorarsi, di poter scegliere, di amare.
Credo fermamente che l’arte possa e debba costituire talvolta anche un forte veicolo di testimonianza, mirato ad aiutare chi non ha forza, chi non ha voce. Gli ultimi, i più deboli, spesso sono i più importanti perché, come in questo caso, possono essere il futuro della società o il suo stesso fallimento. La serie Kindergarten è il mio incontenibile grido di vergogna verso ciò a cui ho sentito il dovere e prima ancora l’impellente bisogno di dare forma.

Anna Skoromnaya, Cream Hand Mixer, dettaglio, serie Kindergarten, 2017. Foto: Andrea Parisi

Anna Skoromnaya, Cream Hand Mixer, dettaglio, serie Kindergarten, 2017. Foto: Andrea Parisi

Il lavoro ha comportato un grande dispendio di tempo ed energie. Ci racconti brevemente l’iter creativo, partendo dai backstage fotografici fino all’effettivo assemblaggio finale dell’opera?
Il lavoro nel campo dei new media prevede un lungo e costante percorso di ricerca e sperimentazione che accompagna le fasi di ideazione e di progettazione di ogni opera. Mi piace utilizzare dei media specifici per ogni nuova installazione, il che richiede però uno studio progettuale ad hoc. L’ideazione di un’opera inizia dalla stesura di varie bozze, dove riesco a sintetizzare le idee, selezionando quelle più essenziali ed efficaci, passando poi ai disegni tecnici, dove studio da vari punti di vista proporzioni e forme di ogni singolo dettaglio che andrò a realizzare. Integrando la parte multimediale con diversi materiali come ferro, plastica, legno o acciaio, sono in costante rapporto con i miei collaboratori, con i quali curo personalmente la realizzazione delle varie componenti disegnate che faranno parte dell’opera, una volta assemblate. Riprese video e set fotografici richiedono anticipatamente un’attenta preparazione degli spazi, con selezione e prove di modelli, realizzazione dei costumi, trucco e tanto altro. La componente audio, sempre presente nelle mie opere, richiede altrettante fasi di lavoro in studio a sperimentare adeguate soluzioni sonore. Lavorando con le tecnologie cerco sempre di far sì che l’artificio tecnologico non prevalga sull’opera stessa, ma costituisca un mezzo espressivo che rafforzi il messaggio che voglio comunicare. Tutto ciò a volte richiede mesi di sperimentazione, fallimenti e prove, finché non si arriva ad ottenere l’effetto artistico desiderato. Solo allora si può procedere alla fase dell’effettivo assemblaggio dell’opera, dove non mancano gli aspetti meccanici, elettrici, elettronici e logistici. È la fase in cui diventa abitudine portare in tasca viti, chiavi, morsetti e cavi, ma è anche il momento in cui finalmente, dopo tanto lavoro, l’opera prende corpo ed inizia a vivere di vita propria.

Anna Skoromnaya, Cream Hand Mixer, dettaglio, serie Kindergarten, 2017. Foto: Andrea Parisi

Anna Skoromnaya, Cream Hand Mixer, dettaglio, serie Kindergarten, 2017. Foto: Andrea Parisi

Entriamo ora nel merito dei lavori presenti in mostra. Oltre ad una selezione dei tuoi lavori precedenti, due delle tre installazioni del ciclo Kindergarten. Primo elemento di coesione: il riferimento a particolari tipi di cibo. Secondo: l’uso di ologrammi e monitor, innestati in strutture fortemente connotate sia visivamente sia materialmente. Terzo: un’immagine, in movimento, fortemente spiazzante. Quarto: la scelta del sonoro che acuisce l’effetto di straniamento visivo. Quali sensazioni vuoi innestare nel pubblico che si aggira nel tuo kindergarten?
Kindergarten è un parco giochi molto particolare: i bambini che dovrebbero giocarci non ci sono o, meglio, ne sono rimaste le immagini in movimento, le voci evocate dalle filastrocche di sottofondo, inglobate all’interno delle forme come fossero giocattoli nelle mani degli adulti.
Le tre installazioni che compongono la serie prendono il nome dai diversi macchinari che producono cibi cari ai bambini nei parchi: la Popcorn Machine, che fa esplodere il mais, riferita all’installazione sui bimbi martirizzati nelle guerre, Cream Hand Mixer, la cremeria meccanica che ruota senza fine come i piccoli sfruttati nel lavoro della seconda installazione ed, infine, il Cotton Candy Maker, macchina per lo zucchero filato, come il velo triste delle tante spose bambine nella terza opera.

Anna Skoromnaya, Popcorn Machine #2, 2017, ologramma, plexiglas lucido e satinato, audio, cm 230x268x170. Foto: Andrea Parisi

Anna Skoromnaya, Popcorn Machine #2, 2017, ologramma, plexiglas lucido e satinato, audio, cm 230x268x170. Foto: Andrea Parisi

Tutte le opere della serie sono basate sui contrasti, sulle contrapposizioni anche stridenti tra il piano ideale e quello della cruda realtà. Per sottolineare questo aspetto, ho voluto trasformare i giochi tipici di un parco in strumenti di lavoro, così lo scivolo è diventato un nastro trasportatore, l’altalena un ingranaggio, la giostra un sistema di chiavi meccaniche e bulloni di diverse dimensioni, mentre i bambini sono presenti come fossero dei fantasmi, lavorano realmente invece di giocare, trasportano con fatica mattoni e legna, puliscono scarpe, cuciono vestiti, spaccano pietre. L’apparenza e la sostanza, in questa serie, sono due piani che si intersecano e si confondono, anzi confondono e vogliono colpire, scuotere lo spettatore che è trascinato senza preavviso in una dimensione di fiaba spezzata, come lo è l’infanzia di chi è vittima di questi spregevoli egoismi. Ecco che quindi la città fatta di costruzioni è una sorta di Palmira, che racchiude in sé effimeri ologrammi, ciò che rimane dei bambini martirizzati dalla follia omicida di maestri senza fede, evanescenti resti incapsulati in dei sarcofaghi giocattolo.

Anna Skoromnaya, Popcorn Machine, 2017, ologramma, plexiglas lucido e satinato, audio, cm 610x344x220. Foto: Andrea Parisi

Anna Skoromnaya, Popcorn Machine, 2017, ologramma, plexiglas lucido e satinato, audio, cm 610x344x220. Foto: Andrea Parisi

Per concludere, secondo te, cosa può fare un artista per migliorare questo mondo? Credi che la denuncia sociale, attuata attraverso l’arte, possa contribuire a focalizzare l’attenzione sui drammi della nostra contemporaneità?
L’arte da sempre rappresenta, testimonia e sensibilizza; per il mio modo di sentire e vivere l’arte essa deve aprire dei varchi nelle coscienze. Per questo credo che si debba denunciare con fermezza e coraggio anche ciò con cui è scomodo confrontarsi, magari solo perché a volte si preferirebbe voltar pagina e guardare altrove, contribuendo a creare un sentire comune e condiviso delle priorità a cui dedicare almeno parte del proprio tempo e delle proprie risorse. Quello che scelgo come tema delle mie narrazioni è per me sempre un forte impegno di testimonianza sociale, non solo una rappresentazione, anzi, direi che per me questi costituiscono due momenti inscindibili, entrambi essenziali sia come artista sia ancor prima come persona.

Anna Skoromnaya, Steps, 2014 - dettaglio, stampa Lambda, light box con intervento di luce LED dinamica, sequenza 7’ 35’’, cm 130x180

Anna Skoromnaya, Steps, 2014 – dettaglio, stampa Lambda, light box con intervento di luce LED dinamica, sequenza 7’ 35’’, cm 130×180

Anna Skoromnaya. Kindergarten

6 luglio – 22 ottobre 2017

Must Gallery
via del Canvetto, 6900 Lugano

Orari: martedì 14-18 | giovedi 14-18 e su appuntamento

Info: +41 919702184
info@mustgallery.ch
www.mustgallery.ch

Catalogo: Vanillaedizioni, con testo di Antonio D’Amico

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