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CITTA DI CASTELLO | Pinacoteca Comunale, Palazzo Vitelli alla Cannoniera | 22 agosto – 1 novembre 2015

Intervista a FLAMINIO GUALDONI e LORENZO FIORUCCI di Luca Bochicchio

Seguendo, per quanto possibile, il dipanarsi dei progetti espositivi italiani intorno all’arte ceramica contemporanea, non si può rinunciare a uno sguardo (anzi a più sguardi incrociati) su Città di Castello (Perugia), che quest’anno emerge dalla trama nazionale con un progetto solido e ben articolato. La mostra TERRAE. LA CERAMICA NELL’INFORMALE E NELLA RICERCA CONTEMPORANEA (Pinacoteca Comunale di Città di Castello, dal 22 agosto al 1° novembre), rappresenta senza dubbio un fatto molto positivo nell’attuale trend espositivo per poche ma centrate ragioni: primo perché la mostra considera il radicamento nel territorio e la recente storia dell’arte non come meri spunti, o ancor peggiori mantra retorici, ma come concreta lezione di metodo e terreno di ricerca; secondo perché sgombera in partenza il campo da parziali e rischiose pretese di esaustività, focalizzandosi su precisi nodi critici; terzo perché apre con una modesta consapevolezza al contemporaneo e al futuro, sia con i contenuti messi in gioco sia per i futuri sviluppi che si propone fin da questa prima edizione. Quarto e forse più importante merito è il fatto che TERRAE riesce a far passare in secondo piano il medium rispetto al linguaggio. Merito, quest’ultimo, anche di un catalogo (Silvana Editoriale) che – è giusto sottolinearlo – oltre ad essere piacevole e curato nei dettagli, svolge in modo efficace la funzione di strumento per l’approfondimento e la lettura critica delle opere.

Annalisa Guerri (Roma 1979) Ancora qui, 2013, porcellana e paperclay colorata, cm 120x90

La mostra nasce da un’idea di Simona Baldelli – ceramista e figlia d’arte di tre generazioni – e si divide in due sezioni: quella dedicata alle ricerche informali degli anni ’50 e ’60 (con opere di Enrico Baj, Nino Caruso, Pino Castagna, Sandro Cherchi, Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Franco Garelli, Nedda Guidi, Leoncillo Leonardi, Fausto Melotti, Franco Meneguzzo, Pompeo Pianezzola, Amilcare Rambelli, Emilio Scanavino, Giancarlo Sciannella, Giuseppe Spagnulo, Alessio Tasca, Nanni Valentini e Carlo Zauli) e quella riservata ad alcune ricerche contemporanee (Arcangelo, Simona Baldelli, Claudi Casanovas, Sara Dario, Terry Davies, Annalisa Guerri, Simone Negri, Marta Palmieri, Rafael Pérez e Attilio Quintili). L’approccio critico e metodologico è stato vagliato e garantito da un comitato scientifico del quale fa parte anche il curatore, Lorenzo Fiorucci, accanto a Lorenzo Fiorucci e a Enrico Crispolti, Flaminio Gualdoni, Antonella Pesola e Stefania Petrillo. Si può notare a tal proposito come il comitato sia composto esclusivamente da storici dell’arte contemporanea, appartenenti a tre generazioni che hanno vissuto il rapporto con il medium ceramico in tempi e modi diversi. I membri del comitato, autori dei saggi in catalogo, hanno evidentemente svolto un lavoro accurato non solo nella scelta degli artisti e dei lavori, ma nell’individuazione dei criteri di selezione e di un metodo adatto agli obiettivi culturali dell’intera operazione. La coscienza storica e la ricerca sono dunque alla base di questo progetto, che dichiaratamente si pone in continuità con tre importanti “premi” che dagli anni cinquanta hanno interessato l’Umbria, più o meno costantemente e con longevità diverse: Gualdo Tadino, Deruta e Gubbio.

Nanni Valentini (Sant'Angelo in Vado (PU) 1933 - Arcore (MI) 1985),  Impronta, 1963,  terracotta refrattaria, cm 66x87x4 (Collezione Archivio Nanni Valentini, Arcore)

Anche su questa scorta si comprendono le parole introduttive di Fiorucci, quando afferma che «l’intento di Terrae è dunque quello di avviare un percorso strutturato, anche metodologico, in cui alla sempre più diffusa moda di mostre preconfezionate e celebrative, spesso più consone a trovate pubblicitarie che a vere e proprie riflessioni critiche, venga contrapposta l’idea di esposizione quale momento di conoscenza e acquisizione di nuove esperienze… ». Al di là di ogni legittimo giudizio personale, credo che in Italia ci sia senz’altro bisogno di simili approcci non soltanto in un settore negletto dalla storiografia come la ceramica, ma anche nel più ampio panorama dell’arte moderna e contemporanea. Per approfondire l’argomento abbiamo scelto di intervistare il curatore, Lorenzo Fiorucci, insieme a un esponente del comitato scientifico, Flaminio Gualdoni.

Luca Bochicchio: Flaminio Gualdoni, sessant’anni sono trascorsi dalle ricerche di cui ti occupi nel catalogo della mostra TERRAE. Oggi tutto è cambiato, non solo il mondo dell’arte. Che fase sta vivendo, secondo te, il settore della ceramica artistica italiana? Cosa c’è di meno o di più rispetto ad altre realtà nazionali e quale effettivo rapporto con le ricerche degli anni ‘50-‘60?
Flaminio Gualdoni:
Fondamentalmente è cambiato il territorio della scultura, e inevitabilmente ciò ha comportato momenti complessi di ridefinizione del sottocampo specifico della scultura ceramica. È rimasto tuttavia un ambito molto vivo di ricerca. Semmai, continuo ad avvertire un forte attardamento e un provincialismo fastidioso nella critica e negli studi, spesso non all’altezza.

Ti chiedo ora una considerazione critica – il più oggettiva possibile – per quanto tu conosca o abbia conosciuto molti dei protagonisti di quell’epoca: i critici d’arte e gli storici italiani del secondo Novecento (dai primi cinquanta in avanti), hanno mancato, in tutto o in parte, nei confronti di una complessiva e oggettiva valutazione delle ricerche plastiche in terracotta? O meglio: vi è stata un’effettiva sottovalutazione degli artisti che lavoravano solo o prevalentemente in ceramica rispetto agli altri? E se si, perché a tuo avviso?
F. G
: Siamo passati da una generazione che, salvo isolatissimi casi, mal sopportava di “contaminare” ciò che riteneva l’arte alta con cose che odoravano di “artigianale” a una che, in nome dell’extramedialità eccetera, semplicemente ha ignorato quest’area. Non so, mi sembrano forme di “ignoranza preventiva” che non hanno senso, comunque figlie di un sistema di prevenzioni da cui ancora non si esce.

Fausto Melotti (Rovereto 1901 – Milano 1986), Piatto, 1958, ceramica smaltata policroma, 7.5 x 28,5 x 26 cm  (Collezione privata)

Da quattro anni sei il direttore artistico di una rivista importante come “La Ceramica in Italia e nel mondo” (Officine Saffi). Un bilancio fino a qui? Credi che si stia affermando come punto di riferimento importante in Italia? E all’estero? 
F.G: Sicuramente è un punto di riferimento importante, magari con un tipo di incidenza all’estero, dove c’è una cultura critica meno gregaria, maggiore che da noi. Qui alla fine il suo ruolo è letto come quello di una rivista di settore, e quindi i militanti e gli accademici per ragioni diverse si ritengo esentati dal guardarci dentro e vedere di cosa si parla.

Da storico dell’arte e da curatore, che ruolo e che tipo di utilità culturale e sociale (in senso lato) vedi in progetti espositivi come TERRAE
F.G: Ho curato la mia prima mostra su questi temi, “Censimento della ceramica”, nel 1979, e da allora mi son sempre fatto un punto d’onore di occuparmi ampiamente di ricerca ceramica, a tutti i livelli.
Poi adesso finalmente si dà per scontato che ad esempio quello che facevano Fontana, Baj & Co. ad Albisola nei primi anni ’50 non erano divertissements estivi, ma storia, e son contento. Ma bisogna continuare a documentare, studiare, divulgare queste cose.
Tra l’altro, visto che si recita continuamente la litania del “fare italiano”, se c’è un ambito in cui l’arte italiana primeggia con continuità dai primi del ‘900 a oggi – per dire: da Cambellotti a Bertozzi & Casoni – è proprio la scultura in ceramica. “Terrae” tra l’altro si tiene in una delle capitali della ceramica, e dunque ha anche un sano e non equivoco sapore identitario.

Enrico Baj (Milano 1924 – Vergiate (VA) 2003),  Testa - montagna, 1958,  terracotta refrattaria ingobbiata, 21x44x11 cm (Archivio Baj, Vergiate)

Passiamo al curatore di questa prima edizione di TERRAE: Lorenzo Fiorucci, come e quando è nato il tuo interesse per la ceramica?
Lorenzo Fiorucci
Sono nato in Umbria, una regione che conserva nella sua storia una ricca tradizione nella lavorazione della ceramica sia tradizionale (Deruta  – Gualdo Tadino – Orvieto e Gubbio), sia contemporanea con centri come Perugia, Torgiano Città di Castello e soprattutto Umbertide, che negli anni ’30 del secolo scorso è stata una vera fucina catalizzatrice di artisti in primis Cagli e Leoncillo.  Infine il ruolo delle Biennali di Gubbio, dal 54 ad oggi, hanno fatto si che la regione fosse a contatto con artisti di alto livello nell’utilizzo di questo medium. Pertanto fin da studente di storia dell’arte ho avuto modo di conoscere e frequentare quest’ambito che con il tempo ho approfondito con ricerche condotte in modo individuale.

Leoncillo Leonardi (Spoleto 1915 - Roma 1968),  San Sebastiano, 1962,  grès e smalti, 54 x 16 x 11 cmLa vostra mostra esce in un momento in cui in Italia è evidente il tentativo di riconsiderare l’eredità storica delle ricerche dell’ultimo secolo nel presente. Di queste tendenze TERRAE ha tenuto conto? Sei stato ispirato e/o condizionato da alcuni di questi eventi? (penso alle recenti esposizioni del MiC di Faenza, alla Biennale di Frascati, alla rassegna alla GNAM di Roma e alle molte altre mostre storiche degli ultimi anni)
L.F
: In ambito ceramico mi pare ci sia un tentativo di pareggiare la distanza teorica tra le così dette arti maggiori e arti minori, concentrandosi dunque sul tema della ceramica come mezzo che rivendica pari dignità rispetto alle altre tecniche artistiche. Sicuramente legittimo come scelta, ma credo non efficace in termini di resa. Un simile percorso genera ambiguità nel pubblico e un senso di autoreferenzialità che di fatto costringe la ceramica in un nuovo recinto che si autocostruisce da sola. Ciò che ha mosso Terrae nella sezione storica è stato, invece, un recupero della ricerca storiografica e quindi metodologica nell’approccio anche scientifico che ha portato alla mostra.  L’indagine si concentra in una tendenza specifica del novecento (e nella fattispecie l’Informale) registrabile in un determinato periodo storico (primo ventennio del dopoguerra italiano) in una regione specifica (l’Italia) mettendo in evidenza le problematicità critiche e artistiche del periodo e non del mezzo in quanto tecnica, ma in quanto scelta consapevole dell’artista. Credo che attraverso questo metodo, con tutti i limiti e le problematicità del caso, si possa valorizzare anche il mezzo ceramico per quello che rappresenta nella sfera della storia dell’arte.

Cos’ha di diverso o di speciale, a tuo avviso e a inaugurazione avvenuta, la mostra TERRAE
L.F: Di speciale credo nulla. Di diverso, come ho tentato di illustrarti sopra, l’approccio metodologico e se vogliamo un doppio registro sul quale si struttura tutta la mostra e cioè una sezione storica dove appunto si approfondisce un periodo ed una tendenza circoscritto con artisti consolidati dalla storiografia e una sezione aperta sul contemporaneo, limitata a pochi nomi e in alcuni casi che sono fuori dai circuiti espositivi tradizionali come il MIC o la recente mostra della GNAM o le gallerie private, ma che in alcuni casi lavorano nel sottobosco del sistema dell’arte e questo credo sia comunque un tema di cui tener presente che si pone fuori dall’ufficialità.

Quale futuro prossimo immagini per le ricerche artistiche in ceramica? 
L.F: Come faceva notare Maurizio Calvesi negli anni sessanta in relazione alla ceramica, la tradizione proprio per non ucciderla, replicando le stesse cose provenienti dal passato, è necessario rinnovarla anche coraggiosamente. Io spero ad un recupero dell’identità artistica territoriale legata alla ricerca che il mezzo offre e all’integrazione con altre tecniche eterodosse, ma lascio all’artista il compito di fare proposte. Ciò non significa tornare a fare come qualcuno ha detto “i cocciari”, ma partire dalle radici di ogni singolo territorio, e l’Italia ne ha molti di luoghi vocati alla produzione ceramica, e sviluppare dalla tradizione queste premesse per una ricerca in grado di rimarcare singole identità capaci di dialogare alla pari con proposte provenienti da altre nazioni e continenti, in una sorta di Glocal della ceramica, ma anche dell’arte in genere.

Sara Dario (Venezia 1976) Favela (Installazione), 2015 Fotoserigrafia su porcellana e colombino, misure varie

Terrae – La ceramica nell’informale e nella ricerca contemporanea

a cura di Lorenzo Fiorucci
da un’idea di Simona Baldelli

Comitato scientifico:
Enrico Crispolti, Lorenzo Fiorucci, Flaminio Gualdoni, Antonella Pesola, Stefania Petrillo

22 agosto 2015 – 1 novembre 2015

Pinacoteca comunale
Palazzo Vitelli alla Cannoniera, Città di Castello (PG)

Info: +39 075 855 4202

Catalogo: Silvana Editoriale

 

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